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Sul Monte Cereto, un giro ad anello partendo da Nembro

Articolo. L’estate sta giocando a nascondino e programmare una gita in alta montagna è un’incognita. È in momenti come questo che mi sento di consigliare un’uscita vicino a casa con un duplice obiettivo: allenarsi e conoscere. La proposta di oggi è perfetta per chi vive in città: richiede spostamenti minimi (si può anche utilizzare il tram), si completa in un paio d’ore (riducendo il rischio di prendere acquazzoni) e riserva alcune interessanti sorprese

Lettura 5 min.
Il Monte Cereto

Ci rechiamo a Nembro, in zona san Faustino, per un giro ad anello sul monte Cereto. Partiamo dalla cappella della Madonna dell’Uva (340m) seguendo le indicazioni del sentiero CAI n° 536/A. Si procede lungo via Trevasco per imboccare, poco dopo, una gradinata sulla destra. Il percorso, ben segnalato, attraversa ripetutamente la strada asfaltata e, anche se noioso, in un quarto d’ora consente di raggiungere la località Piazzo (478m).

L’atmosfera cambia radicalmente: ci troviamo ad attraversare un dolce pianoro tra prati e boschetti con cascine rurali sparse e alcune ville ben inserite nell’ambiente. Una di queste è villa Rumi, dimora di origini antiche riportata sulle mappe storiche di Nembro. Il sentiero costeggia le recinzioni delle abitazioni fino ad impennarsi con decisione. Si risalgono prati da sfalcio sfiorando alcune belle cascine. Il tracciato corre sempre protetto da palizzate per evitare l’attraversamento dei prati che qui, come un tempo, vengono tagliati a mano. Volgendo lo sguardo verso la vallata si nota, in lontananza, l’inconfondibile profilo di Bergamo alta.

Raggiungiamo una curatissima piana erbosa con un capanno ben mimetizzato nella vegetazione. Siamo in località piazza Canterina (660m). Il nome così singolare ed evocativo è da ricondurre al fatto che questi prati, nelle sere d’estate, sono un tripudio di canto dei grilli. Com’è noto, il cri-cri del grillo è una sorta di canto nuziale che il maschio produce per richiamare le femmine ed è dovuto allo sfregamento delle ali. Il concerto dei grilli indica l’arrivo della bella stagione e del bel tempo… speriamo di sentirli presto!

Superata l’ultima cascina il sentiero si raddrizza nuovamente. Guardandosi intorno appare evidente che quassù il prato non viene più falciato e il bosco ne sta approfittando per impossessarsi dei pascoli. È bello voltarsi per ammirare il panorama che, passo dopo passo, diviene sempre più ampio e spettacolare. Camminiamo su pendenze impegnative ma ciò rende il percorso particolarmente allenante, soprattutto se fatte tutte d’un fiato.

Tra sbuffi e poche parole raggiungiamo la vetta (936m). Caratteristica del Cereto è la presenza di due cime: una rivolta verso Nembro e la pianura, l’altra guarda Albino e la media Valle Seriana. La croce si trova sulla seconda cima, quella orientale, sita a una quota di poco inferiore ma con una vista decisamente più aerea. Il nome Cereto, con le varianti Cerete, Cerrete, Cerreto e Cerro è molto diffuso nella nostra provincia e presuppone un antico Cerretum, un bosco di cerri, una varietà di quercia.

Dopo la fase contemplativa, recuperate le forze, riprendiamo il cammino tornando alla cima più alta. Imbocchiamo ora il sentiero CAI n° 515 che segue il filo di cresta verso nord, in direzione del monte Purito. La dorsale che stiamo percorrendo separa gli aspri versanti delle valli del Carso (Nembro) e dell’Albina (Albino). Si raggiungono alcune piccole forcelle, ormai immerse nella boscaglia, dove un tempo si praticava l’uccellagione. Il sentiero principale evita una piccola cima aggirandola sul lato orientale. Consiglio invece di seguire il crinale risalendo l’evidente traccia. Un pizzico di fatica in più ma un panorama decisamente migliore. In entrambi i casi, in pochi minuti, si raggiunge la località Pià de la Löera (939m), un piccolo valico, crocevia di molti sentieri. L’erba ben tagliata e l’ambiente curato denotano la mano appassionata dell’uomo. In una nicchia del terreno si trovano una statuetta della Madonna del Vento e una panchina che invita alla sosta.

Odo un rumore inequivocabile di gente operosa nel prato sottostante. Non esito ad avvicinarmi. Nei pressi di un capanno incontro Dante, affabile cacciatore di Nembro, indaffarato nella sistemazione di un sentiero. Mi intrattengo in sua compagnia. Chiedo lumi sul significato di Löera: «l’origine non è certa, pare sia riferita a una gola insidiosa. In effetti, qui sotto, la valle si incunea tra pareti rocciose. L’attraversamento è impossibile, esiste un solo passaggio, piuttosto pericoloso, che conosciamo solo noi cacciatori. Si figuri che perfino il cane si rifiuta di passare!». In effetti, in un secondo tempo, apprendo che il termine Löera, nelle valli bergamasche e bresciane (e in particolare in valle Camonica), sta ad indicare una cavità asciutta con andamento quasi orizzontale. È anche sinonimo di luogo insidioso entro cui si rischia di precipitare.

Scopro altresì che nella gola alcuni impavidi appassionati di canyoning amano calarsi con le corde per avventurarsi in un ambiente estremamente selvaggio. Dante racconta: «pochi anni fa, un ragazzo si era perso in zona e, nel tentativo di attraversare la gola, precipitò tragicamente». Il discorso ora si addentra nella sfera dei ricordi: «qui una volta erano tutti roccoli. Si usavano le reti perché non avevamo soldi per le cartucce. Gli uccelli catturati venivano puliti e riposti in ciotole di terracotta. Poi si ricoprivano di burro e venivano conservati in cantina per avere carne per l’inverno. Quando un bambino si ammalava, la mamma toglieva un paio di tordi dalla ciotola e preparava un brodino dagli effetti miracolosi».

Dante rivela una loquacità non comune per un bergamasco doc: «adesso i bambini si svezzano con gli omogeneizzati, mentre una volta le mamme preparavano una cremina squisita tritando minuziosamente le tordelle conservate nel burro». I ricordi “danteschi” si susseguono freneticamente: «l’asilo io l’ho fatto al roccolo con mio papà. Ho imparato tutto del bosco e della natura. Da allora non ho mai smesso di salire quassù. Adesso che nemmeno le pecore vengono portate a pascolare, se non tenessi tagliato il prato ci sarebbe solo il bosco». Molti altri racconti riserverebbe la chiacchierata ma il tempo stringe. Ringrazio Dante e mi congedo non prima di essermi fatto spiegare l’origine del nome Piazza Canterina.

In un attimo risalgo al Pià de la Löera e raggiungo i compagni di escursione, ormai avvezzi alle mie deviazioni. Il mio ritardo ci costringe a rinunciare al periplo del monte Purito, sarà per la prossima volta! Imbocchiamo il sentiero CAI n° 536 in direzione di Trevasco. La discesa è gradevole: inizialmente lambisce alcune cascine con piccoli pascoli, segno inequivocabile dell’antica attività agreste. Successivamente ci si addentra nel bosco puntando con decisione sulle case di Trevasco (500m), frazione di Nembro. Il nome Trevasco ha un’origine antica e sta a significare «luogo di sosta». Come non approfittare di una sosta ad ammirare le case del borgo dal sapore antico e la chiesetta della S.S. Trinità?

Uscendo dal bosco subito appare il campanile. La mulattiera costeggia la casa canonica e, poco sotto, il piccolo sagrato di ciottoli e la chiesa. Un bel porticato precede l’ingresso. Secondo alcune testimonianze storiche, la realizzazione della chiesa risalirebbe alla fine del XVI secolo. Normalmente è chiusa ma oggi siamo particolarmente fortunati: in occasione della festività della S.S.Trinità alcuni volontari stanno mettendo in ghingheri lo spazio antistante la chiesa. Chiedo cortesemente di poter entrare ad ammirare l’interno. La signora Nelli sfodera un mazzo di chiavi giganti, lunghe almeno una spanna. Con due energiche mandate apre il portone.

L’interno è molto semplice con un unico vano e due gradini che accedono al presbiterio. Dietro l’altare spicca, in una cornice dorata, un bel dipinto raffigurante la Trinità. L’opera in passato era attribuita a Palma il Giovane, recentemente viene ipotizzata la vicinanza all’ambito cremonese di Bernardino Campi. Sullo sfondo si nota una città murata che è chiaramente Bergamo alta con le mura venete. Il pittore è verosimilmente bergamasco, degli inizi del ‘600. Altri dipinti interessanti spiccano sugli altari laterali. Chiedo a Nelli quando si può trovare aperta la chiesa: «una volta si diceva messa ogni settimana, poi ogni due settimane in alternanza con la vicina frazione di san Vito; successivamente siamo passati ad una celebrazione al mese, ed oggi, una sola volta all’anno, e sarà proprio domenica!». Prosegue Nelli: «abitavamo in tanti a Trevasco. C’era addirittura la scuola, ospitata nella canonica. La maestra saliva a piedi da Nembro. Una pluriclasse con fior di pluriripetenti!» e Nelli cita qualche nome che suscita l’ilarità tra i presenti. «Oggi la cura della contrada è affidata soltanto ai “giovani” come noi, che qui sono nati e cresciuti». Nelli ricorda quando, da piccola, saliva a piedi al Cereto a fare l’erba e scendeva, la sera, con la gerla piene di fieno. Ringraziamo Nelli per la visita speciale alla chiesetta e riprendiamo il cammino seguendo la strada asfaltata verso Nembro.

Mentre percorriamo via Trevasco i ricordi vanno inevitabilmente alla mitica cava di Nembro. Vi si accedeva proprio da questa strada. Pochi metri e si era catapultati in un ambiente inquietante e misterioso. Una cava dismessa, dal sapore lugubre e al tempo stesso affascinante. Qui si recavano i migliori climber per allenarsi su passaggi particolarmente impegnativi. Si arrampicava anche quando fuori pioveva, tanto, là dentro, l’acqua non arrivava. Il 24 dicembre del 2010 un enorme masso si staccò dalla parete rendendo assai pericolosa l’arrampicata. Dal 2013 l’accesso alla cava è totalmente vietato. Della cava di Nembro rimangono solo i ricordi di chi l’ha vissuta e amata arrampicando o di chi, come il sottoscritto, l’ha semplicemente esplorata rimanendone inesorabilmente affascinato. In questo breve video un assaggio del film realizzato da Maurizio Panseri e Alberto Valtellina a memoria di quel mondo inquietante e seducente che per 30 anni ha ospitato i migliori climber orobici.

P.S. L’itinerario qui descritto è lungo poco più di 8,5 km con 650m di dislivello positivo.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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