Natale lascia tracce ovunque: nei riti, nelle tavole imbandite, nei film che rivediamo ogni anno. E, ovviamente, nella musica. Ma forse non tutti sanno che, oltre ai classici di Mariah Carey o Michael Bublé, anche il bergamasco ha costruito nel tempo il suo piccolo repertorio natalizio.
La tradizione più antica passa da canti popolari come le pastorèle (pastorelle in italiano): melodie semplici, tramandate oralmente e costruite su strofe ripetute, che raccontano la nascita di Gesù attraverso immagini quotidiane. Sono canti poveri e immediati che restituiscono la devozione di una società contadina che viveva il Natale con gesti più che con le parole (qui una testimonianza cantata).
Passando ai lavori discografici veri e propri, nel 2010 Luciano Ravasio ha pubblicato «L’è sa Nedàl», un album interamente in dialetto in cui reinterpreta i grandi classici delle feste. Il disco raccoglie, infatti, quattordici brani tradotti e adattati in bergamasco, come «A l’fiòca» («White Christmas»), «Nòcc de Nedàl» («Astro del ciel») e «La nòcc de Santa Lucia» («Santa Claus is coming to town»). A questi, si affiancano melodie popolari come «Pìa Pìa» e «Viaggio a Betlemme» e anche inediti come «Santa Lucia». Grazie agli arrangiamenti di Manlio Cangelli e all’adattamento in dialetto, il risultato è stranamente familiare: melodie che conosciamo da sempre, ma con parole che parlano di un Natale più vicino a casa.
Il dialetto torna anche in chiave diversa grazie a due protagonisti della scena locale: il Bepi (Tiziano Incani) e il Vava (Daniele Vavassori). Entrambi hanno giocato con il Natale trasformandolo in terreno perfetto per la loro ironia: il Bepi, in «L’è sa Nedàl (Uinter Verscion)», ironizza sulle tipiche situazioni di Natale, dalla valle gremita da milanesi, alle code in macchina fino ai regali inutili; mentre il Vava, con il suo album «Vava Christmas», rilegge in dialetto alcuni classici natalizi con un tocco che oscilla tra l’originalità e la goliardia. Due modi di ridere delle tradizioni senza toglierne il calore.
