Venerdì
13
Gennaio
Né accanimento, né abbandono
Il dilemma dell’accompagnamento al fine vita. In un dialogo serrato, i due interlocutori cercheranno di coinvolgere il pubblico su un tema tanto attuale e delicato quanto evitato e incompreso: l’accompagnamento della persona nel fine vita.
EVENTO CONCLUSO

Un
incontro con un ospite speciale, il dott. Davide Gandini, dirigente
dell’Istituto che gestisce le case orionine in Italia, intervistato dal
dottor Roberto Allieri, presidente del Movimento della Vita Valle
Cavallina.
In
un dialogo serrato, i due interlocutori cercheranno di coinvolgere il
pubblico su un tema tanto attuale e delicato quanto evitato e
incompreso: l’accompagnamento della persona nel fine vita.
Diverse
sono le soluzioni prospettate da chi si occupa di tali questioni.
Ciascuna di esse deve però partire da un presupposto: la comprensione
del concetto di dignità della persona.
Il
dottor Gandini cercherà di spiegare cosa significhi accompagnare chi è
in condizioni di fragilità, partendo dalle sue esperienze professionali e
dalla quotidiana frequentazione delle corsie di ospedali e case di cura
nonché dei malati e del personale che li gestisce.
La
statura di bioeticista del dottor Gandini non è solo frutto di studi,
corsi e seminari ma matura prima di tutto ‘sul campo’. Ecco perché
merita di essere ascoltato. Oltretutto, le sue doti di abile
comunicatore, affinate nelle innumerevoli conferenze alle quali è stato
invitato oltre che nelle quotidiane riunioni di lavoro, riescono a
suscitare nell’ascoltatore un vivo interesse e a far apprezzare la
competenza e il garbo delle argomentazioni.
Non
mancheranno infine riferimenti inediti su una persona, cara ad entrambi
i protagonisti dell’intervista dialogata, morta qualche anno fa dopo un
lungo calvario causato da malattia.
Testimonianze
toccanti verranno riproposte per far capire che nessuna malattia è
incurabile (casomai inguaribile) e che la cura migliore è dare un senso
alla sofferenza. In ciò aiuta particolarmente la presenza e vicinanza di
persone care.
Il
suicidio del malato (e non solo) che oggi si vorrebbe legalizzare si
fonda invece sul suicidio di senso e sull’assenza di quel sostegno umano
e morale che nasce dalla presenza al capezzale dell’infermo. Quando non
c’è più niente da fare, un conto è considerare inutili le terapie un
altro considerare inutile la vita, perché perde di qualità. La vita è
sempre preziosa e merita rispetto, anche quando giunge il tempo di
‘lasciare andare’: che deve essere un atto di amore e accompagnamento,
non di abbandono.