Antigone
Una tragedia con canzoni che vuole esplorare la fragilità umana e riattivare il rapporto con il dolore. Il canto, nelle sue diverse declinazioni, funge da tramite tra umano e divino, tra classicità e modernità.

Se si chiede a un cittadino europeo quale sia stata l’immagine più impressionante del periodo pandemico, quasi tutti darebbero la stessa risposta: i camion militari carichi di bare che attraversano le strade deserte di una Bergamo notturna e desolata, davanti agli occhi dei cittadini murati nelle case. Ma perché questa immagine ci ha colpito in modo tanto profondo e duraturo? Crediamo, perché spezza quello che potrebbe probabilmente essere uno dei più grandi tabù dei nostri giorni: la morte.Della morte si parla poco e male – viene evitata nei discorsi, crea imbarazzo nelle tavole rotonde, lo si ritiene un tema perturbante e spiacevole, ed è di buon gusto non farne parola. Il tema della morte, rimosso dalla sfera pubblica, continua ad abitare però quella privata. Tanto poco se ne parla, quanto più se ne ha paura. Nella pandemia ci siamo scoperti impreparati a fronteggiare la sua presenza quotidiana, il suo pericolo, il solo pensiero: il non detto represso ci è esploso tra le mani in forma di nevrosi, fobie, ossessioni, ipocondrie, smanie regolatrici, ansie di rimozione. Ma il fatto della morte resta sempre lì. Così, quando ci arriva addosso un’immagine di morte così terribilmente tragica e insostenibile, il confronto con la morte diventa inevitabile: siamo travolti da un argomento che non siamo più capaci di affrontare. Così ci si è apparsa la questione: la società e la cultura di oggi non ci forniscono più gli strumenti per stare davanti alla morte?Il diritto negato alla morte
Lo stesso accade nel teatro e nell’arte: si riesce con facilità a raccontare la morte lontana – nelle guerre, nelle carestie, nei disastri naturali a siderale distanza di sicurezza – ma non si evoca la morte qui, ora, tra noi; il lutto che abita le nostre case, le nostre famiglie, le nostre istituzioni e che ogni volta ci sorprende come fosse una folgore a ciel sereno: uno scandalo. La morte fa parte dell’orizzonte umano dall’inizio dei tempi, eppure proviamo indignazione, sorpresa, smarrimento al suo manifestarsi: come se fosse un diritto dell’uomo il non morire mai, e viceversa il morire fosse sempre un disguido, un problema, a volte una colpa di cui magari individuare il responsabile. La rimozione della morte ha molti responsabili nello sviluppo della società moderna industriale-capitalistica fino alla sua ultima versione neoliberista: la razionalizzazione della vita, la perdita del sacro, la medicalizzazione, la crisi della famiglia. Soprattutto, il mito di una crescita infinita e di uno sviluppo esponenziale e interminabile, che nasconde il particolare che l’uomo non è eterno, e – come ricorda la tragedia greca – il suo destino è mortale