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Maria Rita Parsi: “Uscendo di casa i bambini potrebbero avere paura di ‘perdere’ i genitori”

Intervista. Come vivono i più piccoli il distanziamento sociale, la mancanza di contatto con i loro coetanei, la permanenza costante in famiglia? Lo abbiamo chiesto alla nota psicopedagogista e psicoterapeuta

Lettura 4 min.

Il problema principale dei bambini sono i genitori. Da loro dipende la serenità con la quale i figli affrontano l’isolamento sociale, il cambio della loro routine, la libertà sacrificata. Ma i genitori non sono supereroi e non hanno, ad esempio, il dono dell’ubiquità. La buona notizia è che, a differenza nostra, i piccoli un modo di cavarsela lo troveranno sempre, grazie alle loro straordinarie capacità di adattamento. Ecco cosa ne pensa la nota psicoterapeuta e psicopedagogista Maria Rita Parsi, presidente della Fondazione Movimento Bambino Onlus, saggista molto attiva anche nelle attività di divulgazione.

MM: Lei ha parlato della quarantena come di una regressione al grembo materno, tale per cui uscire di casa non è più una prospettiva allettante. Molti bambini hanno sviluppato un’avversione nei confronti dell’esterno. Cosa possono fare i genitori?

RP: Da parte dei bambini, soprattutto i più piccoli, ci potrebbe essere paura di “perdere” i genitori, dopo averli avuti, per tanto tempo e con soddisfazione, in casa. Vicini, presenti, attenti. Dobbiamo rassicurarli: “Staremo ancora tutti insieme, così bene, a casa. Ma, ora, non dobbiamo avere paura di uscire per fare, finalmente, una bella passeggiata. Prima non si poteva, ora sì”. Ai bambini bisogna parlare direttamente e con chiarezza. Sembra che i bambini non capiscano, invece hanno grande capacità di sentire e di comprendere con “la mente intuitiva”. Conta molto anche il tono di voce, la mimica facciale, gli sguardi, la gestualità.

MM: Le mascherine sono obbligatorie dall’età di 6 anni, ma il Comune di Bergamo ha avviato la loro distribuzione anche ai bambini fra i 3 e i 6. Da che età si può chiedere a un bambino di rispettare il distanziamento sociale?

RP: È assai difficile che un bambino in età di scuola dell’infanzia rispetti il distanziamento sociale, se non sotto la costante supervisione degli adulti autorevoli. Possono essere aiutati a farlo, però, attraverso la comunicazione fiabica: si può dire al bambino che siamo “eroi mascherati” perché combattiamo un nemico invisibile. La mascherina, che è scomoda e fastidiosa, possiamo provare a farla diventare un gioco alla “Zorro”. Ricordiamo ai bambini che si può comunicare molto anche con lo sguardo. Proprio come quando, dagli occhi della mamma e del papà, capiscono se sono contenti o preoccupati o severi.

MM: I bambini, specie quelli più piccoli, sono i più colpiti dalle misure di contenimento del virus perché – al contrario degli adulti, che qualche spazio di libertà lo hanno – non possono riprendere la loro vita di prima, con gli amichetti, la scuola, i giochi di contatto. Che effetto può avere una quarantena prolungata su di loro?

RP: Oggi non possiamo prevedere con esattezza gli effetti e, mi si consenta, i danni che queste misure procureranno al bisogno di socializzazione e di contatto, anche fisico, con gli altri bambini e con gli educatori. Con la mia la Fondazione “Movimento Bambino ONLUS” affianchiamo il progetto del CNR “Mutamenti sociali in atto-Covid19” per analizzare gli effetti psico-sociali della contrazione dell’interazione, della prolungata convivenza e del distanziamento sociale dovuti all’emergenza. Io credo che i bambini si adatteranno a giocare a distanza e impareranno a comunicare sempre di più, ahimè, virtualmente. Ma questa loro “resilienza” deve trovare, negli adulti, degli esempi da emulare e una guida – chiara e competente – che li aiuti ad affrontare questa fase di “perdita” in modo sereno, consapevole, positivo e, perfino, piacevole. Per poi recuperare più facilmente, dopo la fine del Covid 19.

MM: Sarà immediato recuperare la socialità?

RP: In generale, i bambini hanno grande capacità di adattamento, certamente maggiore a quella di tanti adulti. Per alcuni sarà immediato, soprattutto per chi ha fratelli e vive in un contesto, familiare e sociale, allargato e partecipe. Per altri sarà più difficile. Specie se hanno fatto del virtuale il loro rifugio.

MM: Ha senso portare un bambino al parco, se i giochi sono impacchettati e non può stare con gli altri bambini? O a quel punto tanto vale tenerlo a casa?

RP: La mia tentazione sarebbe dire: “Aspettate che le cose vadano meglio!”. Ma i bambini hanno bisogno di uscire di casa e stare nel verde. La vita ci sottopone, in ogni età della crescita, a delle prove. Sono esperienze che possono anche essere insoddisfacenti, frustranti, dolorose. Dobbiamo educare i bambini ai cambiamenti improvvisi e alle difficoltà della vita, offrendo loro dei validi punti di riferimento, di consiglio, di guida educativa e normativa, poiché questo favorisce la loro crescita psicoaffettiva e cognitiva. E questo li aiuta, tra l’altro, a non avere la tentazione di ripiegare su un tablet.

MM: Mi sembra che lei si molto preoccupata dell’abuso di strumenti digitali da parte dei minori.

RP: Certamente, poiché bisogna essere educati al loro uso e, se possibile, utilizzarli in modo limitato e in tempi quotidiani ben definiti: per le lezioni scolastiche online, per le video chiamate con gli amichetti e con i parenti, per lo svago. Proponiamo, anche e soprattutto, attività manuali e fisiche: colorare, scrivere, poetare, fare musica, teatro, giardinaggio sul balcone. Qualsiasi cosa che non comporti uno schermo davanti agli occhi.

MM: Che idea si è fatta della didattica a distanza?

RP: Per ora è necessaria, ma bisogna, da subito, provvedere alla “Formazione dei Formatori”. Per molti insegnanti la “didattica a distanza” è stata un’esperienza nuova. Poi io sono, da sempre, per l’adozione di una misura drastica.

MM: Quale?

RP: Fare a meno dei voti. Gli alunni devono avere l’autentica consapevolezza del grado di competenza che hanno raggiunto, ma i voti non tengono conto della situazione psicoaffettiva e cognitiva degli allievi e costituiscono una minaccia al “piacere di sapere”. Un piacere che va alimentato, oggi, anche tramite un utilizzo virtuoso del virtuale: diamo spazio ai bambini e ai ragazzi per approfondire temi loro cari e focalizzarsi sui loro veri interessi e passioni. Gli insegnanti dovrebbero anche essere consapevoli che non tutte le famiglie sono serene e riescono a seguire i ragazzi nello stesso modo. Non carichiamoli, dunque, di compiti! Non è il momento di penalizzare nessuno con la paura dei voti.

MM: Il prolungarsi dello stato di emergenza ci obbliga a fare i conti con l’incertezza, la frustrazione, la preoccupazione. Come possono fare i genitori a gestire le loro emozioni e quelle dei figli?

RP: I genitori, se sono in crisi, preoccupati, stanchi debbono ricercare sia il confronto con altri genitori sia il sostegno di psicologi e psicoterapeuti. L’Ordine Nazionale degli psicologi e quello della Lombardia, hanno messo a punto tante iniziative utili, compresi sportelli di aiuto come Pronto Psy. Gli adulti dovrebbero mettersi in condizione di essere sostenuti, senza nascondere il loro affaticamento, i loro dubbi, i loro problemi ma, anzi, chiedendo aiuto per gestirli e ricevere consiglio e conforto riguardo le loro scelte educative.

MM: Molti bambini a Bergamo hanno perso qualcuno di caro, senza poterlo salutare. Come aiutarli a rielaborare il lutto?

RP: I bambini debbono poter parlare liberamente di quello che provano di fronte alla perdita di una persona cara, ancor più se si tratta dei nonni. E anche di sentire parlare gli adulti di quello che è accaduto. Bisogna dire ai bambini che i nostri cari rimangono per sempre con noi e che nessuno perde le persone amate se le porta nel cuore. Ciò che possiamo sempre fare, quando perdiamo qualcuno, è condividere i ricordi, anche con gesti creativi, come scrivere una lettera a chi non c’è più. Non bisogna né tacere un dolore né tenere il segreto di una morte. Parliamo, piangiamo, condividiamo, ricordiamo. I bambini impareranno da noi ad affrontare quelle perdite.

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