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Nausee, balene e superdonne: la maternità e il corpo

Articolo. Il primo episodio del nostro viaggio attorno ai temi dell’essere madre inizia dal corpo femminile. Che durante i nove mesi della gestazione si trasforma. Ma la maniera di vivere il cambiamento è anche profondamente culturale

Lettura 6 min.

Una terrificante notte di Ferragosto di molti anni fa, quindicenne, lessi un racconto di fantascienza dei più inquietanti, di cui purtroppo non ricordo né il titolo né l’autore. L’ambientazione era una tranquilla periferia suburbana di un qualche stato del Midwest americano, nella seconda metà del secolo scorso. In quel contesto dei più banali, capita una sera che una giovane moglie venga fecondata artificialmente da un alieno, a sua insaputa. La donna, che non sospetta nulla, comincia ad assumere suo malgrado comportamenti bizzarri, esponendosi nuda alle intemperie (la temperatura del pianeta di provenienza dell’extraterrestre era ben più rigida della nostra) o divorando quantità abnormi di caffè, perché il suo piccolo ospite ne va ghiotto.

Non ricordo come finisse il racconto – credo in tragedia, o forse veniva salvata in qualche modo dal marito? – ma ci ho ripensato quando sono rimasta incinta, chiedendomi se più che un’opera di fantascienza non fosse un’allegoria di quella che è una gravidanza “normale”, senza alieni di mezzo.

In gravidanza il nostro corpo non ci appartiene, o almeno non ci appartiene del tutto. Una scoperta sconvolgente, per chi non ha mai sperimentato la malattia ed è abituata a farsi “obbedire” dal proprio corpo, magari anche grazie a una vita sana e alla pratica sportiva.

Ci sono mille variabili, è persino inutile dirlo, e non è che tutte le gravidanze siano traumatiche come quella della signora incinta di E.T.: ce ne sono di serenissime, ma ciò non toglie che il nostro corpo sia abitato da uno sconosciuto, che fa valere le proprie esigenze.

Le nausee e le voglie

Lo stereotipo vuole che le voglie siano una “bizzarria” della gestante capricciosa. Del resto come non farsi viziare in gravidanza? A volte lo saranno, ma nella maggior parte dei casi sono una necessità indifferibile. Ho visto perfette salutiste, abituate a mangiare le 5 porzioni giornaliere di frutta e verdura raccomandate dall’Oms, buttarsi su patatine in busta e noccioline. E non è golosità, c’è persino un leggero senso di nausea nel cedere all’unto: è bisogno di sale e cibo secco. Incinta di mio figlio, io che non ho mai amato le bibite mi sono scolata litri e litri di acqua tonica (poi ho scoperto che non fa benissimo perché contiene il chinino, ma pazienza: vomitavo l’acqua naturale).

Ma se le voglie rimangono nel novero delle curiosità, le nausee sono un problema dannatamente serio. Talvolta invalidante. Ci sono donne che nel primo trimestre della gravidanza – e anche oltre – perdono peso perché non riescono a trattenere nulla. A volte finiscono in ospedale con le flebo, a causa della disidratazione. Come successo a Kate Middleton (tra le mie debolezze: il gossip sui reali inglesi), bullizzata sul web perché è proprio da principesse sul pisello farsi ricoverare per un po’ di nausea. A me è successo due volte, e ricordo ancora il benessere della flebo come uno dei più intensi della mia vita. Così come uno dei miei ricordi più belli del reparto maternità è quello del primo pranzo fatto dopo il parto: pasta al pomodoro, pesce, zucchine e acqua fresca. L’ebrezza di mangiare e bere senza la paura di vomitare, esaltante.

Il corpo sotto esame

Mai come in gravidanza il nostro corpo viene medicalizzato. Gli esami del sangue, che una persona in buona salute e distratta come me non faceva praticamente mai, si susseguono al ritmo di uno al mese. Il test delle urine, la curva glicemica per vedere se abbiamo il diabete gestazionale. Le visite interne ed esterne dal ginecologo. Le ecografie, che da prassi dovrebbero essere tre, quelle che passa la mutua, ma diventano molte di più.

Ma soprattutto: la diagnosi prenatale. Un mondo in continua evoluzione, sempre più sofisticato, per rispondere alla fatidica domanda: nostro figlio starà bene? La risposta è una sola: chissà. Meglio rassegnarsi ancora prima del concepimento: la gravidanza e il parto sono sempre un terno al lotto, anche adesso che la mortalità è bassissima e possiamo avere un sacco di informazioni sul feto e persino vedere la sua faccia in 3D. Ci possiamo affidare alla scienza, alla provvidenza, al fato, alla statistica, ma risposte certe e sicure al cento per cento non le avremo mai.

Un’amica mi chiama, affranta e terrorizzata, perché ha parlato con una sua ex compagna di università, madre di una bimba piccola. La figlia, che pareva in ottima salute, non cammina. Dopo milioni di visite, il verdetto: una malattia genetica rarissima, che sembra non lasciare scampo. Al momento di apprendere la notizia, la mia amica era incinta e aveva appena speso un migliaio di euro per il più sofisticato dei test prenatali sulla piazza. Nemmeno questo, però, copriva la malattia incriminata, come centinaia e centinaia di altre sgradevoli possibilità.

Più che toglierci ansia, questi continui esami ce la fanno venire, proprio come se fossimo a scuola. Il sollievo di un test andato “bene” non fa che ricordarci tutte le altre cose che potrebbero andare male. Non che io non sia riconoscente ai progressi della scienza: grazie agli esami del sangue in gravidanza ho scoperto di avere una tiroidite cronica, che avrebbe potuto dare problemi a me e al bambino. Da allora mi curo e va tutto bene. So di essere stata fortunata.

Non è una malattia, ma

Forse qualcuno è arrivato a leggere fin qua pensando: quante storie! In fondo la gravidanza non è una malattia. Qualcun altro potrebbe anche aggiungere che le nostre (bis)nonne facevano dodici figli senza mai essere viste da un medico, e partorivano in casa. A quest’ultima obiezione è facile rispondere che su dodici figli circa la metà non raggiungeva i tre anni di vita, e non era infrequente che la madre morisse di parto con l’ultimo di loro.

Alla prima obiezione “La gravidanza non è una malattia”, invece, non si può che dare ragione. Non è una malattia. Capita, anzi, che le donne vivano alcuni mesi della gravidanza (quelli centrali, di solito) in uno stato di grazia, con energie fisiche e psichiche rinnovate. Questo però non vuol dire che la gravidanza sia un periodo della vita uguale a un altro.

C’è un fortissimo pericolo nel credere che tra l’essere incinte e il non essere incinte non ci sia differenza, che quella doppia lineetta rosa sul test di gravidanza non porti a un sostanziale cambiamento nelle nostre vite. È un po’ la pretesa del mondo di oggi: sì, ok, fai un figlio se proprio sei convinta, ma non trascurare tutto il resto della tua vita (come ho scritto qui). Esci, mantieni i tuoi interessi, fai ginnastica, lavora fino al nono mese di gravidanza (si può!), non hai sentito di quella ministra che ha partecipato alla riunione con Conte in collegamento web dall’ospedale dove stava partorendo?

È una narrazione pericolosissima, che rischia di farci perdere le conquiste sociali della generazione delle nostre madri, grazie alle quali abbiamo una delle leggi sulla maternità migliori al mondo. Non perché una donna – se sta bene e non fa un lavoro a rischio – non possa lavorare finché non se la sente, anzi. Ma perché ci distrae da un punto fermo: la maternità deve essere tutelata. La salute della madre e del bambino devono venire prima di tutto. Il lavoro della madre e la stabilità economica della famiglia devono essere protetti.

Una ministra, o chiunque faccia un lavoro d’ufficio e goda di un’eccellente salute e ottime tutele, può effettivamente lavorare fino al parto. Non è così per una commessa che sta in piedi 8 ore al giorno, per una turnista, per chi fa continue trasferte di lavoro, o anche solo per chi sta sempre alla scrivania ma soffre di un qualunque normale disturbo tipico dell’ultimo trimestre di gravidanza (dall’ipertensione alla pubalgia). Perché dovremmo fare finta di non avere il pancione? Che lavorare con un’enorme anguria al posto della pancia non faccia per noi alcuna differenza?

Eppure pensano che il nostro più grande problema sia diventare delle balene

Non c’è nessuna mia amica che, nell’arco variabile di qualche mese, non abbia smaltito i chili della gravidanza, tornando all’incirca alla sua forma originaria. E non frequento malate di fitness. Chiaro, è una cosa che può succedere, e non serve colpevolizzarsi.

A questo proposito, apro una parentesi: quella che in alcuni casi sembra semplice pancia in eccesso a volte è diastasi dei retti addominali. Vale a dire che la parte destra e quella sinistra del muscolo addominale si separano troppo. Cosa che può capitare in gravidanza, a causa della pressione interna del feto. I visceri sono meno protetti dalla fascia muscolare e la pancia rimane gonfia e sporgente. A volte il problema si risolve da sé, altre è necessario un intervento chirurgico. Ecco una ulteriore ragione, se servisse, per evitare di dire “Si è lasciata andare” di una donna che ha ancora la pancia dopo un po’ di tempo dal parto.

Ma possono accadere cose ben peggiori rispetto a qualche chilo di troppo o una pancia sporgente. Chiedete a una donna che ha perso il controllo del proprio tratto urinario se non preferirebbe essere in sovrappeso, piuttosto che farsela addosso. O se non sia più accettabile una smagliatura rispetto a una dolorosissima ragade anale.

Solo che i problemi intimi sono, per l’appunto, intimi. Ed è probabile che nessuna donna abbia voglia di parlare in pubblico delle sue emorroidi. Questo non significa che la sua principale preoccupazione sia tornare ad avere un ventre liscio. Anche se la pubblicità vorrebbe farcelo credere.

Sì, sono passata direttamente al puerperio saltando un piccolo dettaglio: il parto. Non si può certo parlare del corpo in gravidanza escludendo questo argomento… Ma, per quello, ci servirà un capitolo a parte.

(illustrazioni di Anna Khramova)

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