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Siamo “grandi abbastanza” per permettere ai bambini di essere autonomi?

Articolo. «Old Enough» è il format giapponese (visibile su Netflix anche in Italia) che vede i bambini alle prese con la loro “prima commissione” fuori casa. Un evento da celebrare, in una società che premia il senso di responsabilità e l’autonomia infantile

Lettura 4 min.
Old Enough (Netflix)

Per mettere in discussione il proprio modello educativo nulla è più salutare che osservarne un altro. Lo spunto lo dà una serie giapponese, visibile anche in Italia su Netflix con il titolo «Old Enough». Il format, che in Giappone è un vero e proprio cult, vede protagonisti bambini tra i due e i cinque anni chiamati a svolgere – da soli – piccole commissioni fuori casa. Il titolo originale «Hajimete no Otsukai» significa proprio «prima commissione» e, tramite lo svolgimento di questa sorta di “prima missione nel mondo”, evidenzia l’importanza dell’emancipazione dei più piccoli nel passaggio verso l’età adulta.

Si vedono – ad esempio – bambini di tre anni attraversare strade anche trafficate per andare a fare la spesa al minimarket, e tornare vincenti a casa, fra il sollievo e l’orgoglio dei genitori. Bimbi dell’asilo che vanno a comprare i fiori per i defunti o che portano il pesce a sfilettare, piccoli eroi che vanno in lavanderia a ritirare i panni di papà o che portano a fare riparare l’orologio di mamma.

La trasmissione è in realtà alquanto ripetitiva (offre agli amanti della cultura giapponese scorci interessanti e sempre diversi di vita quotidiana) e mostra spaccati di realtà completamente diversi dalla nostra.

Cosa c’è di vero?

Certo, i bambini sono selezionati prima di partecipare alla trasmissione e sono seguiti da cameramen. Non possono farsi “veramente” male e tutti gli adulti coinvolti collaborano al risultato finale. Però, oggettivamente, un bambino di tre anni non è manovrabile davanti alle telecamere (il più delle volte nascoste) e conserva tutta la sua spontaneità.

In più, la tradizione della “prima commissione” è autenticamente giapponese. Qualcosa che potremmo paragonare al nostro “primo giorno di scuola” per l’importanza simbolica che gli viene attribuita. Quindi, anche al di là della costruzione televisiva, i genitori organizzano davvero la “prima commissione” dei loro figli, magari avvertendo il negoziante e osservando il tragitto dei pargoli da lontano. Allo stesso modo, i bambini vanno a scuola da soli, in gruppo, e già durante i primi anni delle elementari prendono il treno o la metropolitana.

I nostri sono più bamboccioni?

C’è sempre un filone moraleggiante quando si parla di educazione, tale per cui qualunque bambino italiano di oggi è invariabilmente meno sveglio di quello di altre culture “meno mammone” oltre che, ovviamente, più rammollito dei bambini italiani “di un tempo”. La colpa, invariabilmente, è dei genitori inadeguati.

Eppure, vedo la mia bambina di 16 mesi che quando dico: «usciamo?» va a prendere le scarpe di tutti, si dirige alla porta, fa le scale del palazzo da sola e mostra di volere aprire il portone di ingresso (non arriva al bottone) per poi proseguire diligentemente sul marciapiede per qualche metro. Sono convinta che, se fosse una piccola giapponese, fra un annetto potrei spedirla a comprare il pane a cinque minuti da casa.

Perché non lo farò mai? Primo perché mi accuserebbero di abbandono di minore, secondo perché lei rischierebbe di rimanere vittima di incidente stradale (i piccoli giapponesi vanno in giro con bandierine gialle che sventolano quando devono attraversare la strada, presumo che gli automobilisti del Sol Levante siano addestrati a riconoscerli).

Per fare un bambino ci vuole un villaggio

«Per fare un bambino ci vuole un villaggio», dice un proverbio non giapponese, ma africano. Dovremmo ricordarcene più spesso, per toglierci un po’ del peso della responsabilità genitoriale che ci viene continuamente caricato sulle spalle. Un peso che si fa sempre più gravoso, visto che – come hanno dimostrato i lockdown degli ultimi anni – da un genitore ci si aspetta che possa essere e fare tutto per suo figlio: il padre, la madre, la guida, il compagno di giochi, l’insegnante, l’amico, l’allenatore, il motivatore, il confidente, il nutrizionista, il pedagogo (e di sicuro sto dimenticando qualcosa).

Tutto il contrario di ciò che si vede in «Old Enough», dove è palese che l’educazione dei figli passi attraverso la collettività. Il bambino viene consegnato al mondo dalla famiglia, ma il mondo è gentile con il bambino e lo aiuta nel suo percorso di crescita. Tutte le persone che interagiscono con i piccoli alle prese con la loro prima commissione tentano di aiutarli (senza mai fare le cose al loro posto), di rassicurarli e incoraggiarli. Generalmente, i bambini si muovono in contesti protetti (villaggi, centri storici) anche se non sono mancate puntate nelle grandi città, in affollatissimi mercati, lungo strade ad alto scorrimento.

Ed è per questo che un programma del genere sarebbe infattibile da noi: il primo passante che vedesse un bambino di tre anni in giro da solo gli chiederebbe se si è perso, dove è la mamma e chiamerebbe (giustamente) i vigili urbani. I negozianti rimarrebbero spiazzati e difficilmente il bambino potrebbe chiudere la vendita.

Come sarebbe bello “lasciare andare”

Non è che i genitori giapponesi non stiano in pensiero per i loro figli. Non sono algidi come vorrebbe lo stereotipo occidentale, sono solo piuttosto fermi nel ricordare al bambino cosa ci si aspetta da lui. In «Old Enough» si vedono padri e madri visibilmente emozionati, anche vicino alle lacrime, e incredibilmente felici e orgogliosi quando il bambino torna vittorioso.

Lasciare andare, lasciare che il bambino ce la faccia (o non ce la faccia) da solo. Ma quanto è difficile? Ancora una volta, io non credo che la difficoltà sia tanto quella del singolo genitore. La difficoltà è quella della società del controllo. Si inizia con il baby monitor, che non è più solo un attrezzo per sentire se il bimbo piange in un’altra stanza (cosa ormai superflua data l’estensione ridicola dei nostri appartamenti) ma che ne monitora le funzioni vitali, ci dice se il neonato respira e se ha fatto la cacca.

La brava mamma è colei che non lascia mai incustodito suo figlio: nei giochi fra bambini bisogna essere sempre pronti a intervenire, non vorrete rischiare che si prendano a spintoni o si litighino il giochino (ma tu, come l’hai educato tuo figlio?). Al parco, se lo perdi di vista, potrebbe farsi male o essere rapito. In casa da solo cinque minuti è abbandono di minore. Abbiamo il registro elettronico, dove essere informati in real time dei voti scolastici. E la scuola non è più un affare dello scolaro, ma coinvolge tutta la famiglia: quante volte ho sentito frasi come «ieri ABBIAMO fatto matematica», «oggi RIPASSIAMO storia», «domani RIVEDIAMO gli esercizi di grammatica».

Se uno prova a sottrarsi a tutto ciò passa per genitore menefreghista. Capite bene che soddisfare tutte le aspettative sopracitate e – allo stesso tempo – educare i bambini a essere autonomi è una contraddizione in termini.

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