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Bergamo-Parigi sola andata: intervista a Elia Cortinovis

Articolo. Nato a Bergamo nel 1996, da alcuni anni il giovane cuoco è capo partita in uno dei ristoranti stellati più eleganti della capitale francese, all’interno del 5 stelle di lusso Le Bristol. Elia racconta la sua storia – anzi, il suo viaggio – che da sempre ha avuto una meta precisa: la culla della haute cuisine

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«La prima volta che ho visto “Ratatouille” mi sono innamorato del messaggio che porta. Ho sentito tante persone dire che non tutti sono fatti per la cucina. Invece no, nella mia esperienza ho scoperto che chiunque abbia la passione può tirare fuori qualcosa di bello, ed è questo secondo me l’aspetto più entusiasmante del mio mestiere». Elia ammette che può sembrare un cliché, ma la pensa proprio così.

Elia Cortinovis ha ventisette anni, è nato e cresciuto nel quartiere di Monterosso, a Bergamo, e per amore ha scelto di trasferirsi ad oltre 800 km da casa. Amore per la cucina, si intende, con il sogno di imparare tutto ciò che la haute cuisine ha da offrire e insegnare.

L’incipit di questo articolo è un po’ diverso da quello a cui vi abbiamo abituati, ma l’ho voluto così. In primis perché quella che vi racconto oggi è una bellissima storia. Di quelle da «c’era una volta». E in secondo luogo, ma non meno importante, perché il pensiero di Elia sul film «Ratatouille» (che, per la cronaca, è uno dei miei preferiti di sempre) mi ha colpito tantissimo, come la sua umiltà nel dirmi che oggi ricopre il ruolo di capo partita in uno dei più eleganti ristoranti di Parigi, con una stella Michelin.

C’era una volta…

Come in tutte le storie, è bene partire dall’inizio. Elia Cortinovis è un ragazzo semplice: ha sempre saputo di voler fare il cuoco, anche da bambino, quando aiutava la sorella a preparare le crêpes. Quasi come se la Francia fosse già nel suo destino. Ha studiato alla scuola alberghiera IPSSAR di San Pellegrino Terme e ha avuto alcune importanti esperienze nelle cucine più “luminose” di Bergamo (Da Vittorio e poi Il Pianone). È proprio qui che ha capito, un po’ come il protagonista di «Ratatouille», che nella vita avrebbe indossato la divisa e il toque (l’alto cappello da chef, ndr).

A circa vent’anni Elia sceglie di partire. Prima tappa nelle più innovative e tecniche cucine di Milano, e poi in Liguria, a Rapallo, dove riesce ad approfondire la cucina di pesce. Rientra in seguito a Bergamo alla corte di Ezio Gritti: è proprio in questa brigata che il giovane cuoco riesce a crescere, passando da chef de partie (il capo partita) a sous chef, il “vice” del caposquadra. A Bergamo, sì, ma mica per restare.

Le prime esperienze francesi

«Già alle superiori ero rimasto affascinato dalla ristorazione francese e, grazie alla mia insegnante, avevo conosciuto alcuni locali molto interessanti». Il sogno di Elia parte da qui: con il camper di papà, una valigia colma di entusiasmo e passione e un grande serbatoio da riempire di esperienza. «Ho letteralmente bussato alla porta dei ristoranti che mi piacevano. Così mi hanno chiamato, dopo poche settimane, al Restaurant di Yoann Conte ad Annecy, nella stessa cucina dove fino a pochi anni prima aveva lavorato anche Marc Veyrat» (l’uomo noto nel mondo per essere stato il primo a “restituire” le stelle Michelin, chiedendo di essere tolto dalla «Guida rossa»).

La prima esperienza in Francia serve ad Elia per approfondire le basi e per migliorare il suo francese. Ma l’obiettivo era chiaro fin dall’inizio: Parigi. La città lo accoglie nel 2019 ed Elia ha tre diverse opportunità di lavoro nei migliori ristoranti fine dining. Sceglie il palace Le Bristol, un hotel 5 stelle che ospita al suo interno un ristorante stellato.

L’arrivo a Parigi

«Riuscire ad entrare nella brigata di questi ristoranti è abbastanza difficile. Proprio per il grande pregio della struttura, tutti i cuochi entrano partendo “dal basso” della piramide. Io sono entrato come “commis”, l’aiuto cuoco» ricorda Elia. Parla al passato perché da quel 2019 ne è passata di “acqua sotto i ponti” (si intende il Pont Neuf, ovviamente!).

La pandemia, intanto, costringe il settore ad uno stop forzato. «Ho approfittato del tempo libero durante il Covid per approfondire nuove tecniche di cucina e la fermentazione, studiando libri e manuali». Ma non solo. Elia ha fatto parte dello staff che, in quel periodo, serviva pasti ai senza tetto di Parigi. «Avevamo “occupato” un ristorante ovviamente chiuso per cause di forza maggiore e, con gli alimenti scartati dai supermercati della città, riuscivamo a realizzare anche 800 e oltre pasti al giorno. Un’esperienza davvero gratificante che mi ha permesso, dopo soli pochi mesi in città, di conoscere nuove persone ed entrare in sintonia con la cultura locale».

La differenza tra le cucine professionali italiane e quelle francesi

Alla ripartenza del settore, Elia rientra a Le Bristol. Qui, insieme a circa venti altri cuochi, contribuisce al successo della «brasseria di lusso» – come viene definita – 114 Faubourg, uno dei diversi punti di ristorazione della struttura.

Ho utilizzato la parola «insieme» e c’è un motivo. «Le brigate di cucina in Francia funzionano in modo un po’ diverso rispetto a quelle italiane – racconta – qui le partite non sono suddivise a seconda della portata, ma per elementi». Oltralpe, infatti, ogni cuoco si specializza in una preparazione specifica e ne è totalmente responsabile. Chi prepara la carne, chi si occupa delle garniture (i contorni) e chi completa le salse. «In questo modo, tutti sono responsabili della buona riuscita del piatto. Se uno sbaglia, il risultato sarà pessimo per tutti. Se tutti fanno bene, il merito è condiviso, ed è un concetto che mi piace molto». Si impara così il vero lavoro di squadra, dice Elia.

A questo punto della nostra chiacchierata, penso che si sia proprio ambientato bene, un parigino modello. Ma ci pensa Elia a smentirmi. «La mia cucina preferita rimane quella italiana. Qui mi mancano moltissimo i prodotti italiani, la biodiversità che abbiamo e la tradizione delle ricette regionali». I francesi non hanno una dieta varia, e soprattutto non hanno un’alimentazione molto leggera. Per esempio, utilizzano molto burro per cucinare, mangiano proteine animali ad ogni pasto e concludono sempre con del formaggio. «Ci sono piatti molto diffusi come la “raclette” o le lumache alla bourguignonne, ma sulla varietà di ricette tradizionali vinciamo noi!».

Cosa manca alla cucina francese? Risotti e primi piatti (che in Francia non ci sono), il Taleggio, un buon Parmigiano Vacche Rosse, l’olio extravergine d’oliva (quello buono), il basilico: «Sembra assurdo, ma trovare un buon basilico fresco in Francia è davvero difficile, soprattutto qui al nord».

Mi chiedo quindi quale sia il primo piatto che assaggia quando ha l’occasione di rientrare a Bergamo. «Sicuramente la polenta taragna preparata con un buon formaggio Branzi e servita con burro nocciola, salvia e aglio. Ma anche un ricco piatto di casoncelli fatti in casa: mi mancano sempre!».

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