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Una passeggiata nel bosco, per fare la spesa: come si usano fiori e erbe spontanee in cucina?

Guida. Curare l’estetica di un piatto è sempre più alla moda. Certo: “l’occhio vuole la sua parte”, “si mangia prima con gli occhi” e tutte le frasi fatte sul tema sono vere. Da qui la scelta, sempre più in voga tra gli chef, di decorare i propri piatti con fiori eduli, erbe e germogli. Ma i piatti, perché siano ben riusciti, devono anche essere buoni. Viene dunque spontaneo chiedersi: è davvero solo una decorazione? O possiamo sfruttare il sapore dei vegetali per arricchire il piatto anche nel gusto?

Lettura 4 min.
(foto Madeleine Steinbach)

Nulla di nuovo, niente di così strano. L’usanza di utilizzare erbe e fiori spontanei, raccolti a mano durante una passeggiata, esiste da sempre. Oggi lo chiamiamo foraging perché – detto tra noi – fa figo. Ma non è nulla di diverso di quello che ho sempre fatto con la nonna, da bambina, quando una scampagnata nei boschi della Val Brembana si trasformava in una caccia al tesoro per la raccolta, a seconda della stagione, di cicorie, castagne, funghi, fragoline di bosco e nespole.

Il foraging è una pratica molto diffusa sia nella cucina casalinga che nell’alta ristorazione. Con questo termine inglese, si intende l’usanza di raccogliere i frutti del sottobosco. Erbe spontanee, fiori eduli, bacche e così via. Ingredienti preziosi da sfruttare in cucina per preparare deliziose ricette, per condire altri piatti oppure per squisite conserve.

Le regole del foraging

Partiamo dalle basi. Ci sono due parole d’ordine che regolamentano questa attività: stagionalità e rispetto. Criteri imprescindibili per il sapore e la consistenza degli alimenti raccolti, ma soprattutto per salvaguardare l’ambiente. Lo ricordiamo anche a chi si mostra green solo durante la Giornata della Terra, celebrata proprio pochi giorni fa.

Non si tratta di una pratica nuova, bensì della riscoperta di primitive azioni di procacciamento del cibo, oggi più consapevoli e attente. Un’attività che moltissimi chef (anche i più famosi) praticano ogni giorno, per garantire ai commensali dei propri ristoranti sapori autentici e uno storytelling profondo legato al territorio, con materie prime raccolte a Km 0.

I grandi chef interpreti del territorio e del vegetale

Quando penso ai grandi maestri della cucina italiana che si sono fatti portavoce di un modello sostenibile, legato alla natura e alle materie prime di provenienza locale e garantita, non posso che pensare a lui: l’altoatesino Norbert Niederkofler.

Tre stelle Michelin conquistate nel 2018 grazie ad una filosofia ben precisa: “Cook the mountain”. Nel menù del suo ristorante St. Hubertus a San Cassiano in Badia (BZ) trovate, per scelta, prodotti che provengono esclusivamente dall’arco alpino, che crescono in quella stagione e che raccontano l’autentica vita di montagna. Per farvi un esempio, nei suoi dessert non troverete mai il cioccolato, ingrediente prodotto principalmente nel sud America o in Africa.

Non tutti hanno la fortuna di vivere vicino ad uno spazio naturale e ricco di materie prime spontanee, ma non per questo abbandonano la volontà di interpretare il vegetale nei propri piatti. È il caso del Ristorante Piazza Duomo di Alba, ad esempio, dove chef Enrico Crippa (tre stelle Michelin) ha costruito negli anni un orto fornitissimo, dove circa 400 varietà tra erbe, piante officinali, piccoli frutti e fiori di diversa provenienza vengono coltivati da un esperto, per uso esclusivo della cucina.

Questi ingredienti vengono impiegati nelle diverse portate di un menù degustazione che ha il costo di 250€. Solo estetica, vi state ancora chiedendo? Direi di no. Soprattutto quando pensiamo ad uno dei piatti signature di chef Crippa: Insalata 21, 31, 41, 51. Un piatto pienamente stagionale, che include diverse tipologie di erbe e fiori – il cui numero di elementi varia in base alla disponibilità del giorno.

Le erbe più comuni nella bergamasca: l’aglio orsino

Sapevate che potete praticare foraging anche poco lontano da casa? In primavera, sulle sponde del Serio e in alcune aree della Valmarina, alle porte della città, potete trovare l’aglio orsino, un aglio selvatico con foglie di un colore verde acceso e un bellissimo fiore bianco.

Con quest’erba dal gusto simile a quella del parente saporito, ma più delicata, si possono preparare salse e condimenti, da spalmare sulle bruschette, per condire la pasta oppure per mantecare un risotto.

Sbollentate le foglie, precedentemente pulite, in acqua salata per pochi secondi, scolate e mettete in abbondante acqua e ghiaccio per mantenere il colore. Una volta raffreddato, scolate nuovamente e frullate per qualche minuto aggiungendo pochissimo olio d’oliva a filo. Aggiustate di sale e conservate in vasetti ermetici e precedentemente sterilizzati.

Il tarassaco, tra i fiori eduli più diffusi a Bergamo e provincia

La Val Taleggio è un’area particolarmente ricca di tarassaco, un’erba perenne abbellita da uno splendido fiore giallo lucente. La sua particolarità è che può crescere ad un’altitudine elevata, anche sopra i 2000 metri, le nostre Orobie ne sono infatti ricche.

Conosciuta da sempre per le sue proprietà diuretiche, quest’erba spontanea può essere utilizzata in diverse ricette. Ottima ad esempio per insaporire le vostre frittate, o semplicemente sbianchita e consumata come contorno; mentre i boccioli del fiore si possono conservare sott’aceto.

Lavate i boccioli e asciugateli con un canovaccio pulito. In un pentolino portate ad ebollizione 100 ml di aceto di mele e 100 ml di acqua, aggiungendo un cucchiaino di sale fino. Immergete i boccioli per alcuni minuti. Toglieteli con una schiumarola e mettete in un vasetto in vetro sterile. A questo punto, versateci sopra tutto il liquido direttamente dalla casseruola. Chiudete ermeticamente e lasciate riposare per almeno 2 settimane per concentrare il sapore. I boccioli sott’aceto vengono anche chiamati “capperi di tarassaco”, proprio perché possono essere consumati allo stesso modo: per insaporire la salsa tonnata, come accompagnamento ad un antipasto, oppure semplicemente su una fetta di pane tostato.

L’erba del buon Enrico, un primo premio per i foragers

Infine, tra le ricompense preferite di chi pratica il foraging nella bergamasca, c’è il parüch o farinel , ovvero l’erba del buon Enrico. Tipica delle nostre montagne, una sorta di spinacio selvatico, è ottima per salse e condimenti, come contorno a secondi piatti, o come ripieno di un raviolo, nel classico duo con la ricotta.

Una volta raccolta l’erba spontanea, lavate e pulite con cura le foglie. Sbollentatele per pochissimi secondi in acqua salata, mettetele subito a riposare in acqua e ghiaccio. Quando si saranno raffreddate, scolate e mettete nel bicchiere di un mixer. Frullate aggiungendo qualche goccia d’acqua e di olio d’oliva, se necessario. Il pesto ottenuto potrà essere utilizzato in purezza per condire pasta e altri primi piatti. Potete unirlo alla besciamella per preparare delle lasagne in versione creativa oppure utilizzarne qualche cucchiaino in mantecatura di un risotto, da abbinare se lo gradite al nostro Taleggio DOP.

Dunque, armatevi di un cestino, scarpe comode e un po’ di pazienza: la vostra passeggiata nel bosco sta per trasformarsi in una nuova modalità di fare la spesa.

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