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Conosco Lorenzo Lotto. Sicuro?

Articolo. Il volume «Lorenzo Lotto. Lettere. Corrispondenze per il coro intarsiato», curato da Corrado Benigni e Mauro Zanchi e promosso da Fondazione MIA, ci accompagna dentro l’immaginazione dell’artista. Appuntamento in Accademia Carrara il 13 aprile alle 18.30

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Un’immagine in alta definizione di una lettera di Lotto, come appare nel volume, e dove compare anche la firma dell’artista

Abbiamo la pretesa di conoscere Lorenzo Lotto, ma in realtà ci siamo semplicemente innamorati dell’idea di un animo tormentato, inquieto, libero, così in sintonia con il sentire contemporaneo. È ciò che ci ha trasmesso il brand, efficace senza dubbio, di «genio inquieto del Rinascimento», con cui la figura dell’artista è entrata con prepotenza nell’immaginario collettivo per non andarsene più. Nessuno dice che Lotto non sia stato inquieto – lo è stato, eccome – ma è stato anche molto altro: buono, generoso, mite (ma non umile), ironico e persino simpatico, affettuoso, religioso fervente, e per contro anche «rabisso» (arrabbiato), ansioso, ossessivo, solitario. E tanto altro ancora. Ma non possiamo conoscere davvero Lorenzo Lotto se non abbiamo mai letto le sue pagine scritte: le Lettere alla Misericordia Maggiore di Bergamo (1524-1532), il «Libro di spese diverse» (1538-1552) e il testamento (1546).

A dare questa possibilità – a tutti, e non soltanto agli addetti ai lavori - arriva, finalmente, il volume «Lorenzo Lotto. Lettere. Corrispondenze per il coro intarsiato» (Ed Officina Libraria) che, curato da Corrado Benigni e Mauro Zanchi, viene promosso da Fondazione MIA in occasione dell’impresa in corso del restauro del coro ligneo di Lotto e Capoferri nella Basilica di Santa Maria Maggiore.

Il volume sarà presentato in anteprima dai curatori, giovedì 13 aprile alle ore 18.30, in Accademia Carrara, con la partecipazione straordinaria dello storico dell’arte Enrico Maria Dal Pozzolo, autore dell’ultimo catalogo ragionato delle opere di Lotto.

Un caposaldo per capire Lorenzo Lotto

Il volume riproduce integralmente le trentanove lettere inviate tra il 1524 e il 1532 da Lorenzo Lotto ai reggenti della Misericordia Maggiore di Bergamo, conservate nell’archivio della Congregazione (oggi Fondazione MIA) presso la Biblioteca Civica di Bergamo. La corrispondenza, corredata da trascrizioni e note a fronte, verte sulla realizzazione dei cartoni per il progetto del coro di Santa Maria Maggiore di Bergamo: circa settanta disegni poi tradotti a intarsio con una quindicina di essenze lignee da Giovan Francesco Capoferri e dalla sua bottega. Le lettere, oltre a fare luce sulle questioni pratiche dell’incarico, si integrano perfettamente con il processo creativo di Lotto e sono una fonte preziosa per ricostruire la storia e la vita del maestro rinascimentale, per comprendere il suo animo inquieto e geniale attraverso una scrittura che conserva ancora oggi tutto il suo mordente, nelle sottigliezze della lingua volgare del suo tempo, nelle inflessioni dialettali, nei registri e nei toni.

I saggi di Antonella Anedda, Franco Cardini, Marco Carobbio, Enrico Maria Dal Pozzolo, Telmo Pievani e dei curatori esaminano le lettere, in cerca, come recita il sottotitolo del libro, di «corrispondenze», ossia di inedite aperture critiche e semiotiche, facendo emergere relazioni e connessioni tra linguaggio verbale, aspetti iconologici e storico-artistici, scoperte d’archivio e accadimenti storici, che aprono nuove piste interpretative della corrispondenza di Lotto e della sua pratica artistica. Il volume è arricchito dalla riproduzione di tutte le tarsie bibliche del coro, da poco restaurate, associate ai corrispondenti coperti.

Ut pictura poesis

«Come nella pittura così nella poesia» diceva Orazio. E così è per la straordinaria commistione tra scrittura, immaginazione creativa e vita che emerge dalle lettere di Lorenzo Lotto. Certo, il pittore non fu scrittore come Michelangelo con le sue rime o Leonardo con i suoi volumi di appunti, eppure i suoi scritti, da leggere quasi come “diari” in cui annota maniacalmente ogni cosa, spiegano perché la sua sia la personalità probabilmente più documentata di un pittore del Cinquecento.

«Lorenzo Lotto mi parla con un’immediatezza assai maggiore di quanto accada con qualsiasi altro artista». Così scriveva Bernard Berenson, trentenne e non ancora una delle voci più autorevoli della storia dell’arte, in una lettera alla sorella nel 1894. È nelle sue lettere, infatti, che Lotto si lascia conoscere in modo diretto, snocciolando, nel rincorrersi del suo minuscolo corsivo, le mille sfumature del suo animo, dei suoi pensieri, delle sue visioni creative.

Racconta Corrado Benigni: «Alimentato da un’immaginazione fervida, frutto di una sapienza in equilibrio con un estro inquieto, la sua scrittura è testimonianza di un esercizio della mente, di un percorso che passo dopo passo viene a tessere i momenti di un’avventura dell’esistere. Perché dunque queste lettere autografe sono importanti per comprendere più a fondo Lorenzo Lotto? E, soprattutto, che cosa cerchiamo nella scrittura epistolare di un artista e in particolare del maestro veneziano? Chi se ne occupa per mestiere cerca qualcosa che lo aiuti a perfezionare la conoscenza delle opere: una circostanza, la figura reale che ha ispirato un personaggio, la soluzione di un mistero interpretativo. La maggior parte dei lettori però non è interessata a questo: non cerca una soluzione, cerca l’autore: la sua vita, la sua voce, il suo carattere. Può farlo per curiosità, per verificare se il profilo che ne ha ricavato dalle opere – il cosiddetto autore implicito – corrisponde alla persona vera; oppure per passione, per capire quel che l’autore ha provato e vissuto, e misurare i suoi sentimenti sui propri».

«Quando interviene questa pretesa di condivisione, le lette¬re, come in questo caso, cessano di essere solo un documento utile e diventano interessanti di per sé, come frammenti di un’esperienza che è realmente stata e che perciò poteva (o potrebbe) essere anche la nostra. Ecco allora che queste trentanove lettere sono interessanti perché forniscono certamente elementi per comprendere tempi, modi, finalità del lavoro di Lotto, ma soprattutto dati preziosi sulla sua indole: ne esce il profilo di un uomo sensibile e generoso, buono ma pignolo e pedante. Fondamentalmente un solitario, dunque, inafferrabile e per questo non mai pienamente compreso. Le sue lettere sono il frutto di un’esigenza costante, la più semplice, in fondo: quella, umana, di comunicare. Di confrontarsi con gli altri sui temi della vita, della religione, delle arti. È possibile tracciare un ritratto dell’artista attraverso la sua corrispondenza. Un ritratto di parole che restituisce a Lotto ciò che gli è stato tolto. È così che possiamo ritrovare uno sguardo più vicino al pittore, all’uomo autentico, alla sua complessa e sfaccettata personalità».

Quello che di Lotto non troveremo, invece, nelle sue parole scritte, è la soluzione di quelle metafore e di quegli enigmi che tanto amava nascondere nei suoi ritratti e che nelle tarsie per il coro di Santa Maria Maggiore diventano la vera e propria struttura dell’immagine. Un’architettura che rende il coro bergamasco un unicum nel suo genere, in cui si incrociano, come sottolinea Mauro Zanchi, «tutto un repertorio di figurazioni, allegorie, metafore, geroglifici tardo-rinascimentali, dispositivi mnemotecnici, rimandi a più suggestioni (neoplatoniche, ermetiche, religiose, letterarie)».

Ma se una risposta ai suoi “rebus” non riusciamo proprio a trovarla né scrutando le sue opere né leggendo i suoi scritti, il motivo non sta nel nostro ignorare, ma proprio nel fatto che Lotto ha voluto lasciarci, almeno in parte, il regalo del mistero. «Le imprese lottesche – prosegue Zanchi – potrebbero intimidire chiunque non abbia una adeguata formazione o cultura e creare una barriera impenetrabile per la comprensione dei significati allusi o evocati. Se da una parte è vera l’asserzione precedente, non è altrettanto errato dire che le immagini simboliche e le imprese comunque lascino ampi margini di interpretazione ai fruitori, a prescindere dal loro grado di iniziazione, dalla qualità di lettura o dallo spessore intellettuale. Ogni simbolo – geroglifico, impresa, emblema, allegoria – è al contempo chiuso e aperto, posato o in sospensione dentro una dimensione polisemica, in grado di innescare più letture e interpretazioni, senza che nessuno abbia mai la certezza di aver colto pienamente il significato dei messaggi messi in campo… Lotto fa in modo che le sue imprese e i geroglifici abbiano la capacità di conformarsi al livello culturale di chi si pone in relazione con le immagini simboliche, di eludere le false certezze di chiunque, e mantenere sempre aperte le ulteriori possibilità di altre letture, dentro la dimensione ludica della decodificazione semiotica».

Quattro incontri per quattro visioni di Lotto

Sono in programma quattro incontri gratuiti – sempre il giovedì, alle ore 20.45, nella Basilica di Santa Maria Maggiore – con altrettanti saggisti del volume: il 20 aprile Flavio Caroli con «Lorenzo Lotto e la nascita della psicologia moderna»; il 27 aprile Franco Cardini con «Lorenzo Lotto e il suo tempo»; il 4 maggio Telmo Pievani con «Lotto, Copernico e la lanterna del mondo».

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