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Marie De Moliner, «con le mie opere dono una seconda vita a ciò che è ordinario ed effimero rendendolo straordinario ed eterno»

Articolo. Artista francese residente da anni a Bergamo, Marie De Moliner usa materiale di recupero per creare i propri collage. Non solo un processo estetico, ma anche un modo per lanciare un messaggio di attenzione verso l’ambiente

Lettura 4 min.
Un’opera di Marie De Moliner

Donare una seconda possibilità a tutto quel materiale condannato all’ordinarietà del reale, per consegnarlo all’eccezionalità dell’arte. È la cifra stilistica che innerva le opere di Marie De Moliner, artista e architetta francese da anni residente a Bergamo che, attraverso ritagli di giornali, riviste e volantini pubblicitari, realizza collage luminosi, dal retrogusto dadaista e futurista. Una ricerca estetica, quella di Marie, che testimonia, primariamente, un modo di essere.

L’incontro con la «Grande mela»

Fondamentale, a tal proposito, l’incontro con New York. «Sono nata e cresciuta a Parigi e già in tenera età possedevo un certo talento per il disegno – racconta Marie che, tra l’altro, è lettrice presso alcuni istituti scolastici della bergamasca nonché titolare di diversi corsi di lingua francese rivolti alle aziende – Nel 1991, però, io e la mia famiglia lasciamo la capitale francese per trasferirci negli Stati Uniti, poiché mio padre, ingegnere alla Sanofi, viene trasferito a New York. Avevo 15 anni». La «Grande mela» è per Marie un momento di iniziazione umana e culturale. «Abitavamo a New Rochelle, una piccola località residenziale sul mare, a circa mezz’ora di treno da Manhattan – spiega l’artista – All’inizio, confrontarmi con una metropoli come New York è stato un trauma, ma poi mi sono abituata, comprendendo quanto fossi fortunata a vivere in una città dove ognuno poteva fare quel che voleva, essere chi voleva, in totale libertà, senza nessun occhio puntato addosso, senza alcuna forma di giudizio».

A New York, Marie frequenta il liceo francese per poi iscriversi, dopo la maturità, alla Parsons School of Design, posizionata nel Greenwich Village, celebre quartiere bohémien a sud di Manhattan. «Ritrovarmi nel Village a 17 anni è stato qualcosa di incredibile – afferma Marie – mi sentivo come Alice nel Paese delle meraviglie, al centro del mondo. Alla Parsons, studiavo disegno e ancora mi ricordo gli altissimi soffitti della scuola e le enormi finestre che davano sui grattacieli. È stata una profonda esperienza di conoscenza e di crescita personale, all’insegna della creatività ma anche del divertimento. I miei compagni provenivano da ogni parte del pianeta e quest’aria così internazionale e multiculturale si è rivelata per me un’inesauribile fonte di ricchezza, contribuendo a stimolare la mia mente e ad aprire i miei orizzonti».

Al pomeriggio, Marie apprende lingua inglese, cinema e letteratura americana alla Fordham University, mentre alla sera si reca spesso nel quartiere di Theatre Row, dove ha modo di assistere agli spettacoli della compagnia teatrale Malaparte e di conoscere attori del calibro di Robert Sean Leonard, Ethan Hawke e Calista Flockhart. Ma, dopo un anno, Marie decide di tornare in Francia. «Desideravo studiare architettura a Parigi – spiega l’artista – Ancora una volta, quindi, ho cominciato a muovermi in un contesto che non conoscevo ma che si è dimostrato essere grandioso. Mi sono iscritta all’École nationale supérieure d’architecture de Paris-Val de Seine (ENSAPVS) che, all’epoca, sorgeva nel Quartiere latino, un luogo intellettualmente vivace e appagante, pieno di gallerie d’arte e di artisti».

Bergamo e l’amore

«Durante l’università, collaboravo con un “cabinet d’architecture” ma, prima di laurearmi, sono stata selezionata, tramite una borsa di studio, per un progetto di ricerca in Italia della durata di sei mesi, che si sarebbe svolto a San Pellegrino Terme e a Bergamo». Marie arriva in Italia nel 2001 e nel 2002 conosce, a Sorisole, il suo attuale marito. Dopo essersi laureata e sposata, si trasferisce nel capoluogo orobico nel 2004 dove, tutt’ora, esercita la professione di architetto. Un lavoro a cui affianca la passione per il collage .

«Mi sono avvicinata a questa tecnica già prima dei vent’anni – afferma Marie – Ho sempre avuto la tendenza a conservare tutto, persino i biglietti d’auguri o le brochure pubblicitarie, non volevo buttar via nulla. E così, pian pianino, accumulavo una grande quantità di materiale archiviato per genere o per colore in apposite scatole. Un bel giorno ho deciso di farne qualcosa». Ufficialmente, le prime creazioni fanno capolino nel 2009. «Passavo delle ore a selezionare il materiale – racconta Marie – o a scegliere quale tipo di carta impiegare e, successivamente, a incollarla e ciò, nonostante non avessi alcun malessere o disagio, fungeva da terapia, poiché mi procurava (e pure adesso mi procura) un concreto benessere. Trovo infatti estremamente rilassante e quasi epifanico il contatto fra le mie mani e la materia, qualcosa che, a mio avviso, la pittura è incapace di restituire».

Un contatto che richiede accortezza e dedizione. «Dopo aver provato tanti tipi di colla, sono giunta alla conclusione che la migliore è quella da parati – dice Marie – I telai che uso sono fabbricati da un falegname di fiducia. Il legno, del resto, deve essere trattato e resistente, questo perché la colla è molto liquida e quando si asciuga provoca la tensione della tela di cotone che, contraendosi, necessita di una risposta puntuale e robusta da parte del supporto. Una volta che l’opera è terminata e asciutta, procedo con la verniciatura in modo da proteggerla dall’umidità e dai raggi ultravioletti. Un collage, a volte, richiede settimane se non mesi». Tre il numero delle serie in cui si possono suddividere le creazioni di Marie: quella delle «Lettere», quella de «Il giocatore di scacchi» e quella dei «Paesaggi urbani».

«Paesaggi urbani», fra pop e malinconia

Quest’ultima, forse, la serie maggiormente significativa che, più di tutte, fa emergere prepotentemente il “tratto” inconfondibile di Marie. Scenari rigorosi, ispirati all’«International Style» (ma anche al dadaismo e al futurismo), che esprimono la prospettiva attraverso un forte linguaggio geometrico e tramite la sezione aurea.

Un carattere pop, nostalgico (da spleen metropolitano) e, al tempo stesso, contemporaneo, visionario, che evoca un po’ le atmosfere di Edward Hopper e Giorgio de Chirico, senza dimenticare, ovviamente, Georges Braque. Opere che non sono rimaste inosservate e che hanno permesso a Marie di esporre in modo permanente presso la Galleria Colleoni di Bergamo, ma anche di partecipare ad alcune mostre come, per esempio, quella a Villa Suardi a Trescore (2010), a Milano, presso la Galleria Spazio Porpora (2018) e a Venezia, presso La Storta Gallery (2018).

Il recupero dei materiali come cifra stilistica

Protagonista indiscussa e costante sempre presente in ogni serie, la lettera, intesa non come portatrice di un messaggio ma, semplicemente, come abbellimento scevro da qualsiasi significato preciso. E poi, naturalmente, basilare per i collage, il materiale di recupero.

«In un’epoca come quella che stiamo vivendo, considero indispensabile il recupero e il riutilizzo del materiale – afferma Marie – È necessario dare una seconda esistenza a ciò che si è scartato, anche perché non tentare di usare di nuovo tutta la carta che abbiamo per le mani è davvero un peccato, uno spreco. Con il mio lavoro, dunque, cerco di trasfigurare e nobilitare qualcosa che ha una vita ordinaria e effimera, in modo da renderlo straordinario e eterno. Del resto, questo è il senso dell’arte ed è questo che gli artisti fanno da sempre. E se, nel mio piccolo, attraverso un processo estetico riesco pure a veicolare un messaggio etico non posso che esserne orgogliosa e contenta».

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