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Per Alberto Meli, “ l’artista che non se la tirava ”, un libro e una mostra di opere mai catalogate

Articolo. Nel centenario dalla nascita il volume “Alberto Meli, l’arte che vive” e l’esposizione “Alberto Meli, cento anni e non dimostrarli”, presentate sabato 28 agosto a Luzzana

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Alberto Meli

Ci sono artisti che stanno fra gli interstizi della storia dell’arte. I cosiddetti “minori”, più per fama che per la qualità delle loro opere. Uno di questi è sicuramente Alberto Meli: piccolo, grande tesoro che la provincia di Bergamo, e in particolare il paese di Luzzana, custodisce con un certo orgoglio. Proprio a Luzzana Meli è nato cento anni fa e per festeggiare questa ricorrenza gli Amici del Museo di Luzzana e il Museo d’arte contemporanea di Luzzana – Donazione Meli organizzano due avvenimenti che continuano l’opera di diffusione dell’artista: il libro “Alberto Meli, l’arte che vive” e la mostra temporanea Alberto Meli, cento anni e non dimostrarli” presso l’ex chiesa di San Bernardino da Siena. Il volume verrà presentato sabato 28 agosto al Castello Giovanelli alle ore 18, a seguire l’inaugurazione della mostra (ingresso gratuito, necessario il possesso del Green Pass).

Di tutto questo abbiamo parlato con Carlo Pinessi, fondatore e membro dell’associazione Amici del Museo di Luzzana: “Per conto del Comune ci occupiamo del Museo, che raccoglie le circa 220 opere che Alberto Meli e la moglie Ester Gaini hanno lasciato all’Amministrazione. Organizziamo le visite e diverse iniziative come rassegne e concorsi. Ora un libro e la mostra”. In questi anni prima della pandemia, peraltro, i numeri non sono mancati, “4500 visitatori nel 2019, di cui 2600 provenienti dalle scuole”.

Vita di Alberto

Come già accennato Alberto Meli nasce nel 1921. Trascorsa la guerra, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bergamo dove incontra la pittrice Ester Gaini, che diventerà sua compagna di vita e d’arte (lei è pittrice e il Museo d’arte contemporanea di Luzzana le dedica oggi una sala). Nel 1955 i due si trasferiscono a Locarno, in Svizzera, dove risiedono alcuni rappresentanti delle avanguardie del tempo: Richter, Probst, Valenti, Bill, Glarner e in particolare lo scultore francese Jean Arp, uno dei fondatori del dadaismo, “che per otto dei dieci anni svizzeri stringe un legame di profonda collaborazione con Meli”. Il maestro francese è anziano (era nato nel 1887 e morirà nel 1966), dunque modella bozzetti che Alberto trasforma in opere più grandi.

Un anno prima della morte di Arp, Alberto e Ester tornano a Luzzana e l’arte di Meli è profondamente mutata. La coppia adotta Giorgio, accolto in famiglia in tenerissima età, che però muore quando ha ventiquattro anni. Un accadimento che segna profondamente l’esistenza umana e artistica dello scultore, il quale insieme alla moglie Ester condivide temi come la maternità, le crocifissioni, gli scorci tratti dalla vita di cortile, le ballerine e i ritratti del figlio. “Alberto era un artista di grande introspezione. Sapeva distillare in una scultura ciò che viveva o riceveva dagli altri. Un esempio è il portale della chiesa di Lizzola, uno dei pochi veramente astratti”. La scelta tematica infatti si accompagna ad una progressione dal “figurativo” (virgolette d’obbligo, Meli non sarà mai uno scultore “realista”) fino ad un astrattismo che si arricchisce via via di nuovi elementi.

Nel 2001, Alberto ed Ester, “senza figli ed eredi”, donano la loro estesa produzione artistica all’Amministrazione comunale di Luzzana, contribuendo in modo significativo all’allestimento del nascente Museo d’Arte Contemporanea, inaugurato nel 2003, pochi mesi prima della scomparsa di Alberto, avvenuta nel mese di dicembre dello stesso anno. “Lo abbiamo allestito insieme. Tre mesi dopo è morto, aveva 82 anni. Nel libro cerchiamo di raccontare anche l’attività della nostra associazione in questi diciotto anni che sono passati. E cataloghiamo le opere che stanno fuori dal Museo”.

Il libro

Alberto Meli, l’arte che vive” (AA.VV., Edizioni arTEcoN) è un’indagine – efficace ma inevitabilmente incompleta – che raccoglie gran parte delle sculture custodite in collezioni private, chiese e altri luoghi di pubblica fruizione della provincia di Bergamo (piazze, parchi, cimiteri e giardini), per un totale di circa quattrocentocinquanta lavori secondo precisi itinerari culturali oppure suddivise in aree tematiche (i ritratti, le Genesi, le Maternità, i disegni e i bozzetti). Il libro, completato da una serie di interventi di taglio critico, fra cui quelli del docente di estetica e critico d’arte Michele Bertolini e della storica dell’arte moderna e docente Cecilia Cavalca, arricchisce e integra il catalogo pubblicato nel 2005 (dedicato alle opere del Museo e a quelle donate “da chi ha partecipato alle nostre iniziative”).

Le due pubblicazioni formano un cofanetto, che allarga lo sguardo su Meli e consente un approccio più approfondito alla sua arte. L’iniziativa editoriale si deve agli Amici del Museo di Luzzana e nasce da un lavoro decennale sull’opera di Meli fuori dal Museo da parte dei volontari, in particolare coloro che fanno parte del Comitato Scientifico. “Con queste iniziative vogliamo tenere viva la memoria del Museo ma anche della comunità della Valcavallina. Il Museo adesso ha esteso le sue competenze all’attività turistica e ha stretto degli accordi partenariato con altri musei”.

La mostra

Curata da Consuelo Gaini, “Alberto Meli, cento anni e non dimostrarli” sarà visitabile fino al 26 settembreall’ex chiesa di S. Bernardino da Siena, poi dal 16 novembre al 10 gennaio 2021 nella sala dedicata alle mostre temporanee del Castello Giovanelli.

In qualche modo l’esposizione prosegue la ricerca del libro, perché propone alcune opere inedite all’interno della suggestiva sede della chiesa vecchia. Sculture ricche di fascino in grado di esprimere empatia e coinvolgimento, sia che si tratti di manufatti di modeste dimensioni, sia che ci si trovi di fronte ad opere più imponenti.

Chi era Alberto

Alla fine del nostro colloquio chiedo a Carlo che tipo era Alberto Meli: “Lui era uno schivo, per usare il linguaggio dei giovani non se la tirava per niente. Era anche un po’ irascibile, ma in un modo che valorizzava il suo carattere, che non era spigoloso come dice qualcuno, ma determinato. Detestava le gallerie d’arte e il mercato dell’arte, che secondo la sua etica passava sopra l’opera. Nonostante ciò è riuscito a riuscito a vivere d’arte”. Insomma era un outsider: fuori dai giochi del mercato, ma profondamente incuneato dentro l’esistenza di tutti.

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