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«Perché sei un essere speciale». Arte antica e contemporanea festeggiano la stessa mamma

Articolo. Ci avviciniamo all’8 maggio cogliendo l’indimenticabile suggerimento di Battiato e provando ad esplorare, con l’aiuto dell’arte (ma sottratta allo scorrere del tempo), tutta la complessità di quell’Idea di mamma che ha dato origine al mondo ed è custode del suo futuro

Lettura 3 min.
Josephine Baker con la sua «tribù arcobaleno», 1947, castello di Milandes in Dordogna

Il nostro viaggio nel mondo dell’arte inizia da...

Piero, Louise & Josephine, 1445 – 1947 – 1999

Due, anzi tre gocce d’acqua: la «Madonna della Misericordia» di Piero della Francesca, che con grande naturalezza spalanca le braccia sollevando l’ampio mantello per invitare le persone a trovarvi rifugio, e la «Maman» di Louise Bourgeois, una gigantesca mamma ragno che custodisce nel suo ventre le uova di marmo dei suoi piccoli ma è pronta a proteggere sotto il suo corpo tutti coloro che vi cercano casa. La mamma di Louise era una tessitrice d’arazzi e così Maman è anche la mamma lavoratrice, capace di tessere le trame del futuro dei suoi figli e del mondo.

È una Maman a tutti gli effetti anche la «Venere Nera» Josephine Baker con la sua “tribù arcobaleno”, composta dai dodici figli che volle adottare da ogni parte del mondo.

Michelangelo & Jan, 1497 – 2011

Due Madri che, in tempi lontanissimi, hanno dato scandalo. Al suo apparire, la «Pietà» di Michelangelo sollevò non poche perplessità per quella madre quasi adolescente, tale da apparire addirittura più giovane del proprio figlio. Eppure così è la Trinità, che lo stesso Dante canta nel Paradiso: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio». A oltre cinque secoli di distanza, la «Pietà» di Jan Fabre venne tacciata addirittura di blasfemia.

Ma l’aver sostituito il volto michelangiolesco della madre con un teschio e quello di Gesù con il proprio autoritratto, altro non vuole essere che l’intensa rappresentazione di una madre che non vorrebbe altro che morire al posto di suo figlio.

Ambrogio & Vanessa, 1492 – 2006

La «Madonna del Latte» del Bergognone, custodita in Accademia Carrara, è una delle più tenere testimonianze dell’iconografia forse più ricca della storia dell’arte cristiana.

Sembra la stessa Madonna dai capelli rossi Vanessa Beecroft, che nel 2006 si cala nei panni di una Madre Natura che protegge dal fuoco e allatta i suoi piccoli (i due gemelli orfani Madit e Mongor, incontrati in un viaggio in Sudan) al di là di ogni confine geografico, culturale e genetico.

Piero & Pino, 1450 – 1964

In un altro capolavoro di Piero della Francesca, la «Madonna del Parto» affrescata a Monterchi di Arezzo, ritroviamo Maria nei panni di una qualsiasi gestante, “fotografata” nel gesto del tutto naturale di portare la mano al fianco e inarcare la schiena per reggere il peso del ventre già pronunciato.

Non così diversa è la «Maternità» immortalata da Pino Pascali, immagine contemporanea di una gravidanza permanente, ferma ad occhio e croce all’ottavo mese, nell’eterna attesa di partorire il futuro.

Hieronymus & Anish, 1480 – 2004

Celebre simbolo in arte di maternità, l’uovo in tutte le culture significa vita, nascita, rinascita, rivelazione di una sorpresa. Nel suo «Giardino delle delizie», Bosch ribalta le sorti della Creazione e invece di riprendere un’umanità che esce da un guscio aperto, la immagina farvi ritorno, alla ricerca di una condizione prenatale.

Lo stesso rewind che vive chi si rifugia sotto il grande «Cloud Gate» installato da Anisk Kapoor a Chicago, grande uovo-ventre pronto ad accogliere il finito e anche l’infinito: l’intera città e il cielo che vi si specchiano.

Giacomo & Dorothea, 1730 – 1936

In mezzo a tante rappresentazioni di madri borghesi, alle prese con la cura dei figli nelle loro stanze arredate con gusto, Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto ritrae una madre poverissima, ridotta allo stremo, che non ha più nemmeno il latte per nutrire il figlio.

Stessa sorte tocca a Flores, la «Migrant mother» fotografata da Dorothea Lange nell’immagine diventata icona della Grande depressione americana: una povera madre raccoglitrice di piselli, che vive con suoi figli sotto una tenda.

Francesco & Mariella, 1535 – 2015

Chi non è affascinato dalla «Madonna dal collo lungo» del Parmigianino?

Nella sua serie «L’Era successiva», l’artista bergamasca Mariella Bettineschi ne raddoppia lo sguardo, come a dire che la madre è colei che grazie a due paia di occhi riesce a vedere al di là delle cose, ci indica come affrontare il futuro, è una donna capace “di mettere al mondo il mondo”.

Massimo & Gillian, 1949 – 2003

Madre e figlia a volte coincidono, sono davvero una cosa sola.

Accade in un ritratto di Massimo Campigli, così come nell’«Autoritratto come mia madre» di Gillian Wearing.

Andrea & Ermanno, 1496 – 1978

La maternità non è soltanto un fatto privato ma un segno di speranza e rinascita che coinvolge tutta la comunità, se non l’umanità intera. Nella «Madonna della Vittoria del Mantegna», la nascita del Bambino è condivisa con la comunità dei santi, all’interno di quell’ordine naturale delle cose che si dispiega su una grande pergola, su cui si affastellano frutti rigonfi di succhi simbolici, dai cedri (incorruttibilità) alle melagrane (abbondanza), dal corallo che scaccia le presenze negative alla noce che protegge il frutto in un guscio coriaceo.

I bambini sono garanzia di un futuro anche nel racconto corale de «L’albero degli zoccoli» di Olmi: «I bambini vengono al mondo da soli, senza l’aiuto di nessuno» dice al Batistì la moglie, che ha appena partorito il terzo figlio. E quando il marito le fa notare che è «un’altra bocca da sfamare», lei prontamente risponde: «Ma no, non dovete preoccuparvi. Va rigurdì cusa va disìa la pora òsta màma? Quando viene al mondo un bel bambino, la Provvidenza gli dà il suo fagottino».

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