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Ridisegnare «Le Vie del Sacro», perché la chiesa non è un museo

Articolo. Fondazione Bernareggi cerca 40 esploratori di bellezza under 30, per rilanciare potenzialità e peculiarità del nostro immenso patrimonio culturale di natura religiosa

Lettura 3 min.
Giovan Battista Tiepolo, Martirio di san Giovanni Vescovo (1745)

Nella sola Diocesi di Bergamo si contano 1340 edifici di culto che custodiscono 300 mila beni culturali, dalle grandi pale d’autore agli oggetti di uso liturgico di mano di ignoti artigiani. Per godere appieno di questo patrimonio straordinario, occorre comprendere fino in fondo quali sono le peculiarità intrinseche dei beni culturali di natura religiosa e quali sono i “privilegi” di cui godono, rispetto alle opere d’arte che sono custodite in museo.

È aperta fino al 13 luglio la open call che si rivolge a “Viandanti, curiosi e sognatori” tra i 19 e i 30 anni tra i quali saranno selezionati 40 aspiranti animatori culturali, ossia uno sguardo giovane e un linguaggio nuovo per ridisegnare «Le Vie del Sacro» in città e sul territorio, in occasione della Capitale della Cultura 2023. È il progetto affidato a Fondazione Bernareggi e condiviso dalle Diocesi di Bergamo e di Brescia, per dare “nuova voce” al loro vasto patrimonio artistico (non sempre accessibile, conosciuto e compreso), puntando sui giovani per un servizio di mediazione culturale che sappia creare ponti culturali, intergenerazionali, linguistici, sociali ma anche spirituali.

I giovani selezionati potranno intraprendere, da settembre a dicembre, in collaborazione con Enaip Lombardia, un percorso formativo professionalizzante nell’ambito della progettazione culturale, sviluppando competenze in merito ai processi di ideazione, pianificazione, gestione e comunicazione (tradizionale e digitale) di progetti di valorizzazione del patrimonio artistico. Successivamente, da novembre a marzo 2023, saranno chiamati a immaginare e progettare qualcosa di inedito intorno a itinerari culturali tematici che nel 2023 attraverseranno la città e il territorio, tra chiese, monasteri e musei della Diocesi.

Da aprile a ottobre 2023 sarà il momento di operare sul campo, con la messa a punto di un calendario di circa 400 eventi, iniziative e attività su tutto il territorio, tra visite guidate, aperture straordinarie, concerti, laboratori per famiglie, scuole e oratori, conferenze, installazioni di arte contemporanea e tour con spostamenti ecosostenibili.

E l’adesione a «Le Vie del Sacro» non sarà a titolo volontario: a ogni giovane sarà riconosciuto un compenso. Il progetto è particolarmente sfidante, perché offre una possibilità concreta – formativa e occupazionale – ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro nel settore culturale; perché si pone come azione concreta per rilanciare la partecipazione culturale, crollata sotto i colpi della pandemia (dal 35,1% del 2019 al 8.3% del 2021); perché intercetta gli importanti segnali di cambiamento culturale che attraversano il mondo ecclesiastico.

Cinque buoni motivi per cui “la chiesa non è un museo”

1. Visitare una chiesa non è come visitare un museo, innanzitutto perché i beni culturali di natura religiosa nascono come beni della comunità , che in essi si riconosce per storia e tradizione, e hanno nella maggior parte dei casi il privilegio di aver conservato nel tempo le funzioni e il contesto per i quali sono stati realizzati.

Un paio di anni fa fece molto discutere la proposta lanciata dal direttore degli Uffizi, Eike Schmidt: «Credo che il momento sia giunto: i musei statali compiano un atto di coraggio e restituiscano i dipinti alle chiese per i quali furono originariamente creati». La dichiarazione di Schmidt ha riacceso il dibattito attorno al concetto che mentre l’opera d’arte è un “oggetto trasportabile”, il suo contesto certamente no. Perdendo il contesto per il quale è stata pensata, come inevitabilmente accade quando viene trasferita in museo, l’opera inevitabilmente si disconnette dal complesso network di valori storici, artistici, sociali, devozionali, culturali e anche economici che esprime. E inevitabilmente si cristallizza, perdendo la naturale capacità di evolvere il suo linguaggio nel tempo, insieme alla sua comunità e al suo mondo.

2. L’arte sacra, tanto più se è fruita nel suo luogo di origine, parla con noi se il suo messaggio è raccontato in tutte le sue dimensioni, non solo come storia di invenzioni stilistiche ed evoluzioni tecniche e iconografiche, ma anche come storia dei sensi, delle sensibilità e delle aspirazioni. L’arte sacra non risponde soltanto al nostro legittimo ma generico desiderio di bellezza, ma è concepita per aiutarci a riaccendere in noi una dimensione spirituale e immateriale, intesa nel senso più ampio possibile, che si sta perdendo ma di cui avvertiamo la profonda necessità.

3. Nelle chiese possiamo vivere un’esperienza multisensoriale. Le opere d’arte, infatti, possono essere fruite in un ambiente sinestetico, che non mette in gioco soltanto la vista. Qui, l’arte intesse relazioni con la musica, il canto, il profumo di incenso e candele.

4. Dal punto di vista “culturale”, le nostre chiese scontano ancora il pregiudizio di essere luoghi dove ci si aspetta di ricevere un’evangelizzazione forzata. Per questo, il loro è ancora un patrimonio “invisibile”, che spesso non riceve sufficiente attenzione da chi deve promuovere l’offerta culturale di un territorio. È vero che il bene culturale religioso ha avuto origine dall’idea di sostenere il ruolo della fede, ma oggi la chiesa è concepita come luogo di contatto, aperto anche alle persone che non vi sarebbero mai entrate. Ha smesso di essere un mondo a parte, nella consapevolezza che la propria identità e specificità culturale è una ricchezza se condivisa all’interno di un circuito culturale più ampio.

La sfida di un progetto come «Le Vie del Sacro» è anche quella di facilitare un dialogo con una società in trasformazione, escogitando attraverso lo sguardo dei giovani una formula per valorizzare le chiese come spazi di incontro e confronto tra culture, generazioni e anche sentimenti religiosi diversi.

5. L’arte sacra e i luoghi che la custodiscono, le chiese, sono spazi per loro natura “familiari”, accessibili e inclusivi: nessun biglietto da pagare, nessuna soglia da attraversare, nessun timore reverenziale. Sono dunque dimensioni ideali per lavorare sull’accessibilità in senso ampio, sia fisico che intellettuale, riuscendo a coinvolgere anche persone che normalmente non frequentano gli spazi culturali “istituzionali”.

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