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Roboante, una rivista che non sta in silenzio e “rutta” quello che le pare

Articolo. Il collettivo, che coinvolge attivamente non vedenti e ipovedenti, ha pubblicato il numero 0 della propria rivista dedicato ad una fenomenologia del rutto. E in futuro previsti eventi culturali sempre all’insegna dell’inclusività. In attesa del nuovo numero che sarà “una sorpresa”

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L’usignolo di Linda Falabretti

Un termine che dagli anni Settanta è caduto un po’ in disuso, e che nell’ultimo decennio abbondante è tornato in auge nelle forme più differenti – forse come reazione alla poca vicinanza alla realtà della politica, o semplicemente per fare qualcosa per il bene comune – è attivismo. Di cui a Bergamo vi è tutto un sottobosco in emersione accomunato da questa parola, che si potrebbe anche declinare semplicemente come migliorare la propria comunità.

È una rete di gruppi, iniziative, azioni che diventano un altro modo di fare politica, nel senso più nobile del termine (ovvero occuparsi della polis), oltre i partiti e le ideologie, a volte con il supporto delle istituzioni, a volte no. La pandemia ha visto nascere una realtà come S.U.P.E.R. Bergamo, che poi è anche diventata un libro; nelle scorse settimane Città Alta è stata animata dall’Exsagera Festivaldi Ba.Be.L.E., un luogo di contaminazione tra realtà artistiche e culturali; per non parlare dell’EXSA, l’ex carcere di Sant’Agata: approdo di alcun delle situazioni sopra citate ma anche luogo che ha ospitato “Se quei muri”, una mostra organizzata da Isrec in collaborazione con l’Associazione Maite e il Comune di Bergamo per raccontare alcune delle storie di vita accadute tra le mura del carcere di Città Alta.

Per prenotare la rivista basta fare una donazione a partire da 10 euro all’account @roboantemagazine di PayPal

Attivismo, dicevamo, un mood di stampo fortemente generativo che ha visto nascere anche Roboante, collettivo di persone, fra cui ragazze e ragazzi non vedenti o ipovedenti, che lo scorso 30 ottobre hanno presentato a Daste (l’ex centrale elettrica Daste e Spelenga) il numero 0 di un’omonima rivista dedicata a temi insoliti, ma tutt’altro che di nicchia, all’insegna dell’apertura e dell’inclusività.

Ad accendere la miccia di tutto ciò è stata Arianna Lenzi, educatrice ma soprattutto agitatrice culturale, già coinvolta in alcuni dei progetti di attivismo di cui sopra: zazzera di capelli ricci, voce ferma e chiara, Arianna è una di quelle persone che non si fermano davanti a nulla, e Roboante nasce da un suo spunto, “ma senza gli altri componenti del gruppo non avrei fatto nulla”.

Il desiderio alla base, mi racconta, è quello di “rendere la cultura accessibile a tutte le persone, utilizzandola come strumento e valore per cambiare la percezione all’interno della nostra società. Per il collettivo la diversità è una ricchezza, non un limite”. Roboante è una rivista monografica, ben bilanciata fra parole e immagini ad effetto; ricorda le riviste delle avanguardie del Novecento e di movimenti come il Dadaismo ha sicuramente conservato lo spirito provocatorio, incline a spiazzare, autofinanziando un numero 0 decisamente scoppiettante – “ma ci stiamo già muovendo per capire la forma giuridica più appropriata per poter diventare un progetto sostenibile e che possa realizzare tante iniziative riguardo alle tematiche che affrontiamo”, precisa lei.

Viene spontaneo chiedere cosa spinga una ragazza giovane ad investire il proprio tempo, denaro ed energie in un’iniziativa simile: “Per me, come per molti giovani, è importante che le azioni che compiamo abbiano dei riscontri positivi nei confronti della comunità in cui viviamo. Per questo il progetto Roboante è una vera e propria dedizione che nasce e si nutre delle relazioni che il collettivo ha creato e che continua a coltivare”. Ed è a questo punto che spunta la parola-chiave attivismo: “Consideriamo il nostro progetto come parte dell’attivismo che sta prendendo sempre più piede tra i giovani bergamaschi, dove per attivismo si intende ingaggiare e consapevolizzare la cittadinanza, affinché si attivi diventando quindi una cittadinanza attiva che si metta in gioco per cambiare le cose e portare avanti l’interesse della comunità con particolare attenzione verso i bisogni e le esigenze delle fragilità”.

Il podcast di Roboante

Roboante prevede il coinvolgimento attivo di persone non vedenti e ipovedenti ed è abbastanza sfogliare la rivista per capire che non sono parole al vento: “Reputiamo che l’arte visiva debba essere resa accessibile anche a chi quell’arte non la può vedere. È per questo motivo che il nostro claim è ‘l’estetico non è solo visivo’. L’80% degli stimoli nervosi derivano dalla vista. Noi vogliamo creare altri canali che possano stimolare con altrettanto impatto altri sensi, godendo dell’arte e della cultura anche attraverso il tatto e l’udito e non solo attraverso la vista”. Da ciò l’idea di rendere la rivista Roboante un podcast, “ovvero la narrazione della fanzine che si può trovare gratuitamente su Spotify e Google Podcast. Inoltre l’accessibilità ad altre disabilità sensoriali è possibile attraverso la rivista stessa”.

È importante sottolineare che Roboante nasce in sinergia con l’Unione Italiana dei Ciechi e Ipovedenti di Bergamo e, in particolare, con il presidente dell’Associazione Claudio Mapelli (“per ampliare le nostre conoscenze e quindi affrontare questo progetto con la giusta serietà)”. Un rapporto che continuerà di modo che la collaborazione “possa aiutare sia a farci comprendere le modalità e gli strumenti più efficaci da adottare per l’accessibilità sia per riuscire a coinvolgere giovani non vedenti in progetti culturali e sociali”.

Altra collaborazione essenziale è quella con i tiflologi Sara Caloi e Gabriele Gervasoniche ci hanno dato gli strumenti adatti per poter raccontare un’immagine nel giusto modo affinché sia comprensibile a chiunque: vedenti, non vedenti e ipovedenti. La loro consulenza è stata molto preziosa per la narrazione delle immagini che potete sentire nel podcast”.

Tutto molto bello, centrato, lucido. Ma di che parla il numero 0 di Roboante? Del rutto, risultato di una linea editoriale ben precisa. “In modo quasi provocatorio, si parla di tematiche che, soprattutto nella comunità bergamasca, sono spesso evitate perché considerate tabù. La tendenza della nostra città all’interno delle famiglie spesso è il ‘fare finta di niente’ e non parlarne anziché sviscerare, analizzare e affrontare con intelligenza tematiche che di primo impatto possono imbarazzare o che per retaggio sono da evitare: questo sarà molto evidente nel prossimo numero”, di cui Arianna mi anticipa che sarà una sorpresa.

Nonostante sia la cosa più naturale del mondo – e in certi paesi come la Cina è considerato un segno di gradimento del pasto e un modo per complimentarsi con lo chef – in effetti in Occidente il rutto è un tabù. Non se ne parla mai, in società (ad esempio al ristorante) si tenta in tutti i modi di evitare di ruttare e quando scappa ci si imbarazza parecchio. “La scelta del rutto voleva essere, in senso non solo metaforico, l’idea di lanciare un progetto facendo rumore, facendosi sentire in tutti i modi ma affrontando sempre le questioni attraverso un approccio di senso”. O, come si legge nell’editoriale di apertura del numero 0, il rutto è un “fenomeno letteralmente risonante. Verrà indagato come atto politico, come azione di dissidenza e, ancora, come eruttazione metaforica del pensiero o di sola anidride carbonica”.

Mai proclama fu più coerente: c’è un qualcosa di situazionista in Roboante che rende la rivista curiosa, interessante, ironica e soprattutto liberatoria. Roboante, cioè plateale, rimbombante, ma con tanta sostanza che rimane dopo il frastuono. “Il nostro collettivo è composto da scrittori e scrittrici che si sono divertiti nel creare citazioni filosofiche e politiche più o meno esplicite come scelta personale, in quanto funzionali al contenuto editoriale che voleva essere proposto”. Un ruolo tutt’altro che secondario l’ha avuto Dario Carta di #cartadesign che ha concepito la grafica di Roboante, richiamando esperienze artistiche di forte impatto. “Il contributo di Dario è stato fondamentale. Di fatto ha ‘costruito’ questo numero; dal prossimo ci farà da guida per quanto riguarda la strutturazione figurativa della rivista”.

Roboante costruisce pagina dopo pagina una fenomenologia del rutto, che viene analizzato come suono, recuperato dall’Odissea nell’episodio di Polifemo, letteralmente sviscerato nella digestione metanica della vacca, ritratto come espressione di un usignolo, descritto come elemento fondamentale per chi subisce una laringectomia (e dunque parla ruttando); senza contare l’eruttamento di idee (di cui mai come ora abbiamo bisogno) e la presenza in ben 27 dischi di un rutto, che dunque diventa musica (da “Raw Power” di Iggy Pop a “Craccracriccrecr” di Elio e le Storie Tese).

Roboante tuttavia non è solo una fanzine, ma anche un progetto culturale più ampio. Lo scorso 6 novembre ad esempio è cominciato un laboratorio chiamato “Allenamento alla fantasia e alla creatività” a cui partecipano otto non vedenti e cinque vedenti di età compresa tra i 15 e i 28 anni “con l’intento di sviluppare strategie di stimolazione della creatività per fare in modo di essere pronti e pronte per la realizzazione dei contenuti del prossimo numero. Una delle ispirazioni per me fondamentali per la costruzione di questo laboratorio è stato il libro di Gianni Rodari ‘La grammatica della fantasia’. Il prossimo numero verrà realizzato da persone vedenti e non vedenti”. La progettualità di Roboante prevede anche l’organizzazione di eventi culturali che sono ancora in fase di costruzione e il collettivo si augura di poter iniziare a realizzarli nel 2022.

Noi intanto ci godiamo il numero 0 e trasformiamo in un augurio, per il collettivo e per tutti, l’ultimo manifesto che chiude Roboante, tratto dal “Don Chisciotte” di Cervantes: “ruttare, o Sancio, significa mandar fuori per la bocca il vento che è nello stomaco”. Perché in fondo, come diceva quel tale, “la risposta, amico mio, sta soffiando nel vento”.

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