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Siamo orfani di identità, per questo ci facciamo un tatuaggio

Intervista. Abbiamo chiesto all’antropologo Vincenzo Matera di analizzare la scelta sempre più diffusa di avere un disegno sulla pelle. Da venerdì 1 a domenica 3 novembre il Tattoo Weekend di Chiuduno

Lettura 4 min.

Le cifre sono impressionanti: in Europa sono più di 60 milioni le persone che possiedono almeno un tatuaggio. E non si tratta solo di giovani e giovanissimi, perché se fino a qualche anno fa ai genitori si rizzavano i capelli quando scoprivano sui figli un minuscolo tatuaggio, adesso sono loro i primi a desiderare di sfoggiare un disegno sulla pelle. Lontanissimi anche i tempi in cui era appannaggio della cultura underground, visto che oggi le spiagge brulicano di corpi tatuati.
C’è chi ad esempio ai tattoos deve il successo, come il modello Rick Genest, alias Zombie Boy, scomparso nell’estate del 2018, con il corpo quasi interamente ricoperto da disegni dell’apparato scheletrico e muscolare, scelto anche da Lady Gaga per il videoclip di “Born this Way”.

Lo sdoganamento è totale ed evidente: il tatuaggio è diventato a tutti gli effetti un linguaggio della contemporaneità e ha conquistato un’accettazione sociale impensabile anche solo fino a una ventina di anni fa.
Il tatuaggio stesso evolve rapidamente, sconfinando nella dimensione dell’arte. I maestri dell’inchiostro più abili e innovativi sono diventati a tutti gli effetti artisti di fama internazionale, come il giapponese Horiyoshi III, l’italiano Davide Andreoli aka Italian Rooster e il californiano Mike Giant. Viceversa, ci sono artistar che utilizzano il tatuaggio, come Wim Delvoye con i suoi maiali tatuati, Santiago Sierra nelle sue perfomance in Messico, lo scozzese Douglas Gordon, l’austriaca Valie Export o l’artista femminista americana Mary Coble. Ma anche l’italiano Fabio Vitale, che tatua statue classiche.

Dall’1 al 3 novembre ritorna a Chiuduno il Tattoo Weekend, una full immersion tra 190 tatuatori, spettacoli, musica, food e vintage, con proposte adatte a tutte le età, bambini compresi.
Per noi è l’occasione di chiedere all’antropologo Vincenzo Matera – che insegna alle Università di Bologna, Bergamo e Milano Bicocca – di accompagnarci in una breve riflessione sui valori sociali, culturali e simbolici della pelle scritta.

BM: Perché il tatuaggio è diventato un must have?

VM: La domanda che viene da porsi osservando la straordinaria diffusione e varietà dei tatuaggi che da qualche anno dilagano sulle persone intorno a noi è, perché? Perché una persona decide di iniettarsi dell’inchiostro sotto la pelle, pagando e sopportando dolore, per ottenere un segno indelebile per la vita? Un antropologo risponde prima di tutto ricordando che la pratica di marcare il corpo rientra nella categoria attestata in tutte le epoche storiche e pressoché in tutto il mondo delle cosiddette modificazioni corporali. Si modifica o si altera il corpo per segnare l’impronta della cultura, proprio come la nudità del corpo viene cambiata, mascherata con gli indumenti, secondo un particolare codice vestiario, anche un tatuaggio segna l’appartenenza dell’individuo al mondo della società umana, secondo regole codificate.

BM:Come nasce?

VM: Un approccio comparativo a largo raggio consente di approfondire il significato del tatuaggio oggi nelle società occidentali tracciando delle connessioni e delle fratture con pratiche analoghe altrove e nel passato. Nelle società tribali, per esempio, le linee sociali che passano per un tatuaggio sono quelle del potere, della spiritualità, del genere, della sessualità. I segni sul corpo esprimono identità, a vari livelli della vita sociale: segnano una condizione sociale elevata, quella dei capi, a volte più il corpo è coperto da tatuaggi più è elevato il rango della persona; hanno un valore simbolico e magico, per esempio volto a proteggere le attività di caccia; esprimono la condizione sociale di una ragazza, fidanzata, sposata, o assumono valore propiziatorio (fertilità dopo il matrimonio); in molti casi però hanno anche puro valore estetico e ornamentale. La caratteristica del tatuaggio è che si tratta di un segno indelebile: questo ne rafforza il potere e il significato. Il corpo disegnato, in modo permanente, è molto diverso dal corpo “muto”, è un corpo che parla, e dice qualcosa della persona che lo porta.

BM: Come approda nei codici culturali dell’Occidente?

VM: Se in linea generale cercando altrove troviamo quasi sempre dei valori positivi espressi dal tatuaggio, un segno desiderato dagli individui, se ci spostiamo indietro nel tempo non sempre è così: nella Roma antica, per esempio, il tatuaggio segna la condizione di schiavo, o di criminale. Sia pure in modo un po’ ambiguo, anche il Cristianesimo alimentò una visione negativa del tatuaggio, come pratica pagana. Nel mondo occidentale si afferma quindi la visione del tatuaggio / marchio come una imposizione del potere su individui devianti. I disertori, i criminali venivano marchiati a vita. Una drammatica prosecuzione di questa pratica è il marchio dei prigionieri nei campi di concentramento nazisti.

BM: Ci sono però anche delle eccezioni.

VM: Sì, ad esempio i tatuaggi dei marinai e degli esploratori che entrarono in contatto con popolazioni dell’area melanesiana, esperte dell’arte del tatuaggio, e da cui nacque la tradizione dei tatuaggi dei marinai. Agli inizi del Novecento, comunque, in pieno evoluzionismo, il tatuaggio viene ritenuto segno di arretratezza e barbarie; sebbene alcuni grandi personaggi della politica e della nobiltà europea si fecero tatuare, e anche grandi rockstar degli anni Settanta, i primi come vezzo estetico, le seconde come segno di trasgressione, fino alla fine del Novecento il tatuaggio in Occidente resta marginale e segno di bassa estrazione sociale, di delinquenza e di devianza.

BM: Che cosa è cambiato negli ultimi decenni?

VM: La percezione del tatuaggio è profondamente cambiata, si è costituita una vera e propria industria del tatuaggio, ed è divenuto un elemento di punta della moderna cultura consumistica, parte della moda, ma anche espressione di forti spinte individualistiche maturate sulla scia dei grandi cambiamenti sociali e culturale del terzo millennio.

BM: Il tatuaggio come generatore di identità.

VM: Il tatuaggio ha una grande capacità di generare identità: è un marchio indelebile, doloroso e costoso impresso sul corpo, quindi quanto di più personale e “proprio” possa esserci. Riflettiamo quindi sulla diffusa crisi delle identità collettive specifiche provocata dai processi di globalizzazione economica e culturale, e al senso di smarrimento che da questo può derivare in tante persone, che reagiranno cercando un mezzo per “distinguersi” e valorizzarsi in quanto individui specifici e particolari. Ecco che possiamo allora rispondere in parte alla domanda da cui siamo partiti, scoprendo nel tatuaggio un potente strumento per esprimere se stessi, come individui e come gruppi. Per questo il tatuaggio oggi attraversa tutte le separazioni di classe, di genere, di potere, emerge in ogni ambiente culturale, è privo di quelle connotazioni classificatorie o discriminatorie che abbiamo presentato ed è diventato parte della moderna identità contemporanea a tutti gli effetti.

BM: Che cosa comunica?

VM: Imprimere sul corpo, la sola cosa che “possediamo” veramente, un segno equivale a prendere un impegno totale e profondo con ciò che quel segno rappresenta, evoca, ricorda, e trovare in quello un radicamento per la nostra identità: il nome del nostro animale domestico, il nome della persona amata, del proprio idolo musicale, un simbolo della nostra bevanda preferita, una storia, la moto, l’auto, elementi decorativi vari. Ci fa sentire unici, ci distingue nel mare dell’omologazione sempre più pressante. Naturalmente è in atto anche una logica consumistica, guidata dai media e dal conformismo, proprio come nel caso della moda. La differenza sta nella potenza del tatuaggio, in termini di personalizzazione assoluta, che è minore nei capi d’abbigliamento. Il “mio” tatuaggio è unico, nessun altro lo può avere. Almeno nel significato che ha per me.

Sito Tattoo Weekend