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5 film politici, introspettivi, civili, satirici, socialmente impegnati

Guida. Una primavera di cinema d’autore per parlare del mondo di oggi. I nostri consigli per chi cerca una serata in sala che non sia solo svago, ma faccia anche riflettere sul presente complesso in cui viviamo. Dalla Francia all’Ucraina

Lettura 5 min.
Bad Roads di Natalya Vorozhbit

Dall’ultimo film di Carrère alla guerra del Donbass raccontata da Natalya Vorozhbit. E poi Maggie Gyllenhaall da Elena Ferrante, l’incontro fra culture di Clio Bernard e l’ultimo gioiello comico di Mariano Cohn e Gastón Duprat. Mentre ci si avvia verso la stagione estiva, in sala la qualità non manca.

«Tra due mondi» di Emmanuel Carrère

Emmanuel Carrère, celebre scrittore, saggista e sceneggiatore francese – al suo terzo film da regista – adatta il romanzo autobiografico dell’autrice Florence Aubenas «Le quai de Ouistreham». La storia è quella di una ricca e affermata scrittrice di mezz’età che per preparare un libro sul lavoro precario si iscrive all’ufficio di collocamento e finisce a fare le pulizie sui traghetti in servizio nel canale della Manica, sostenendo turni massacranti, continue mortificazioni e nessuna gratifica né soddisfazione personale. Allo stesso tempo però la donna (interpretata nel film da Juliette Binoche) scopre l’umanità, lo spirito solidale e la grande dignità delle colleghe e dei lavoratori con cui condivide l’esperienza.

Carrère riflette sulla spietata divisione sociale e il classismo che caratterizzano il mondo del lavoro nella Francia (e l’Europa) di oggi. Dà vita a una caratterizzazione sincera e autentica di un mondo invisibile e quasi sconosciuto, sfruttando l’ambiguità che il romanzo mette in campo – è eticamente giusto fingersi qualcun altro per provare a dar voce a chi non ce l’ha? – e tentando di complessificare il quadro al fine di non fornire né suggerire facili interpretazioni allo spettatore. Non riesce fino in fondo a scrollarsi di dosso un certo sguardo paternalista e, potremmo dire, “coloniale” per come tenta di solidarizzare con persone che sono posizionate ad anni luce di distanza dal suo milieu sociale e culturale, ma in tempo di elezioni il film è un ottimo strumento per provare a farsi un’idea di cosa sia la Francia del 2022.
(Capitol/Anteo Spazio Cinema Treviglio)

«La figlia oscura» di Maggie Gyllenhaall

Tratto dal romanzo omonimo di Elena Ferrante il primo film da regista di Maggie Gyllenhall è la storia di una donna di quasi cinquant’anni (Olivia Colman), professoressa universitaria, che durante una vacanza in Grecia da sola fa la conoscenza di una ragazza (Dakota Johnson), madre di una bimba di tre anni, verso la quale sembra provare un sentimento misto fra l’invidia e l’affetto. Attraverso numerosi flash-back si scoprirà che la protagonista da giovane è stata una madre assente per le sue due figlie. Concentratissima a perseguire la propria carriera accademica e a lungo impegnata in una relazione extraconiugale con un collega la donna ha infatti finito per trascurare la famiglia.

Il film, seguendo accuratamente il romanzo, è una lunga introspezione psicologica di una donna dal carattere complesso e dall’interiorità irrisolta. Fare un lavoro del genere con il cinema è molto difficile e richiede una grande capacità di lavorare con le sfumature della messinscena e le caratterizzazioni dei personaggi, per far emergere attraverso le immagini ciò che in letteratura è affidato alla parola scritta. Gyllenhall è brava a dar vita alle atmosfere disagevoli e tese in cui la storia si muove e a descrivere la tensione emotiva che circonda la protagonista. È meno convincente invece nel dare risalto al racconto, continuamente frammentato, scisso e con una forma narrativa non sempre coerente che rischia di banalizzare la portata delle riflessioni. Tuttavia «La figlia oscura» è un’opera suggestiva e profondamente centrata su un universo femminile sfaccettato, multiforme e ricco di complessità nel solco di una tendenza che il cinema di oggi utilizza sempre più di frequente.
(Conca Verde/Anteo Spazio Cinema Treviglio)

«Ali & Ava – Storia di un incontro» di Clio Barnard

Un film piccolo, semplice e fatto con pochissimi elementi quello della regista britannica Clio Barnard. Un film musicale, anche senza essere un musical, perché racconta l’amicizia, l’affetto e l’amore che nasce fra due persone diverse in tutto – età, origine, sesso, colore della pelle, estrazione sociale e relazioni familiari – ma accomunate dalla passione per la musica, che poi, per la verità, non è la stessa nemmeno quella. Ali, ex dj di origine indiane, e Ava, assistente scolastica di origine irlandese, sono i volti, i corpi e l’energia di questo racconto intimo di due solitudini colte dentro il mondo piccolo, grigio e periferico della provincia di Bradford, West Yorkshire, Inghilterra centro-settentrionale.

Un racconto sincero, profondo e ricco di umanità che si regge su due attori straordinari e un umorismo intelligente e garbato. Perché sono proprio lo spirito e la leggerezza con cui i due protagonisti affrontano la vita – e le resistenze alla loro unione che si manifestano un po’ dappertutto dentro il tessuto di una cittadina di provincia come quella in cui vivono – ad annullare le distanze della geografia culturale e sociale che li divide e a incarnare la possibilità concreta di affermarsi come individui, scegliendo dove stare. La regista restituisce con grande sensibilità questa voglia di vivere, ridere e ballare sulle difficoltà della vita, affidando ai caratteri complessi dei personaggi il senso più profondo di quello che mette in scena. Perché a volte sono proprio dentro i piccoli film a nascondere le emozioni più grandi.
(Conca Verde)

«Finale a sorpresa – Official Competition» di Mariano Cohn e Gastón Duprat

Fra i più talentuosi autori della commedia contemporanea i registi argentini Mariano Cohn e Gastón Duprat tornano al cinema con un film imperdibile. Divertente, brillante e con tre attori formidabili come Penélope Cruz, Antonio Banderas e Oscar Martínez, «Finale a sorpresa» è uno spietato ritratto, virato al grottesco e al paradossale, del mondo dell’arte e dello spettacolo contemporanei. Un ricchissimo imprenditore prossimo alla vecchiaia vuole lasciare un segno indelebile prima di andarsene per sempre e allora decide a produrre un film. Sceglie di adattare l’opera di un premio Nobel, ingaggia una premiatissima e celebrata regista del cinema d’autore e due attori all’apice del successo ma completamente opposti caratterialmente. I tre si isolano in un grande studio di proprietà del produttore per lavorare al film ma la convivenza forzata, i piccoli e grandi narcisismi, le ossessioni, i tormenti e la rivalità fra i due interpreti rendono l’esperienza un incubo.

Una satira in piena regola su un mondo, quello del cinema, che i due autori conoscono bene e del quale evidenziano isterie, stigmi e paradossi. Chiedendo anche ai tre interpreti di ironizzare su sé stessi e sul loro mestiere. Il risultato è una commedia spassosa, raffinata e intelligente, capace di parlare in maniera mirabile della contemporaneità, ma anche di ragionare sui meccanismi sempre più incomprensibili, fasulli e inautentici che regolano i rapporti nel mondo dell’arte.
(Conca Verde)

«Bad Roads» di Natalya Vorozhbit

Mentre la guerra in Ucraina infuria e non sembra volersi attenuare, i distributori di casa nostra stanno portando in sala molti film che hanno tenuto nel cassetto per mesi e ora, d’improvviso, scoprono essere d’estrema attualità. Mentre è ancora in sala il bellissimo «Atlantis» di Valentyn Vasjanovyč uscito nelle scorse settimane, arriva anche «Bad Roads», presentato alla mostra del cinema di Venezia nel 2020 e diretto dalla giovane regista ucraina Natalya Vorozhbit. Il film racconta il Donbass e una guerra che dura da quasi otto anni, ma lo spettatore meno attento potrebbe pensare che sia una sorta di instant movie sul conflitto di questi mesi. Perché gli scenari sono gli stessi che vediamo ogni sera nei notiziari tv e la violenza e l’aberrazione sono quelli dei racconti che arrivano dall’Ucraina occupata quasi ogni giorno.

Vorozhbit trae ispirazione da quattro fatti realmente accaduti e dà forma ad altrettanti episodi raccontando storie che sembrano marginali, lontane dal teatro dove va in scena il volto più feroce della guerra, ma che rendono in maniera incisiva tutta la brutalità di quest’ultima. Sono luoghi, quelli dell’Ucraina orientale in cui il film è ambientato, dove ogni azione, anche la più banale, sembra contorcersi su sé stessa e assumere significati assurdi e inquietanti. E dove le situazioni più assurde, paradossali e spaventose finiscono per diventare la normalità. Come rischiare la vita se si passa un check point o se ci si ferma ad aspettare un autobus o se si tenta di mantenere un briciolo di umanità provando a fare un gesto di gentilezza nella barbarie del quotidiano. Ed è proprio questa distorsione, questo senso di impossibilità a comunicare e di dare un senso all’orrore a descrivere l’insensatezza della guerra meglio di ogni altra cosa.
(dal 28 aprile)

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