93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

America oggi, 2021

Articolo. Il cinema americano di questi mesi è lo specchio di un’America spaccata in due, divisa, che ha appena cambiato pelle e guarda al futuro: 5 pellicole uscite da poco (o in procinto di uscire) sulle piattaforme. Per capirne qualcosa di più

Lettura 6 min.
“Una donna promettente” di Emerald Fennel

Questo 2021 si è aperto all’insegna dell’America. La fine del mandato Trump, l’insediamento di Biden e in mezzo l’assalto al Campidoglio con lo stupore e l’incredulità di tutto il mondo. Fatti che hanno riportato gli Stati Uniti al centro del dibattito, casomai ce ne fosse bisogno. Il 2020 si era infatti chiuso consegnando il ritratto di un paese profondamente lacerato da scontri ideologici e fazioni politiche. In cui temi come la questione razziale e le disuguaglianze di genere, oltre alle controversie sulla gestione della pandemia, avevano già fortemente polarizzato l’opinione pubblica e incendiato animi e coscienze.

Capire dove stiano andando gli Stati Uniti e in quale modo – soprattutto in termini di cultura e società – da sempre ci aiuta a farci un’idea, almeno parziale, di come sarà il mondo di domani e di cosa possiamo aspettarci per il futuro più immediato anche qui dalle nostre parti. E se esiste un dispositivo in grado di offrirci un’idea del mondo in cui viviamo, delle tendenze e di quello che succede intorno a noi, canalizzando gli stimoli ed estrapolando gli stati d’animo della contemporaneità, quello è il cinema. Proviamo allora vedere se osservando alcuni dei titoli più significativi in distribuzione in queste settimane – negli Usa, ma anche qui da noi – riusciamo a capire meglio cosa sta succedendo in questi mesi in seno alla società americana. E su quali strade si sta orientando il dibattito sui grandi temi d’attualità.

Da sempre questi primi mesi dell’anno sono cruciali per la delineazione della stagione cinematografica e danno chiare indicazioni su quali saranno i film di punta, sia in termini di mercato che di risonanza mediatica. Il motivo è che negli Usa fra gennaio e febbraio sono racchiusi tre degli appuntamenti cinematografici più determinanti di tutta l’annata: i Golden Globe, il Sundance Film Festival e naturalmente gli Oscar. Nel 2021, per ovvie ragioni, tutti e tre questi eventi hanno subito sconvolgimenti e se le cerimonie dei Golden Globe e degli Oscar sono slittate di circa due mesi (i primi da inizio gennaio al 28 febbraio e i secondi da febbraio addirittura al 25 aprile), per quanto riguarda il Sundance l’edizione, pur essendosi svolta regolarmente fra il 23 gennaio e il 2 febbraio scorsi, è andata per la prima volta completamente online.

Insomma se le conseguenze del Covid hanno gravato pesantemente sulle produzioni e anche ai maggiori eventi cinematografici (come a ognuno di noi) tocca “aspettare” i film, diventa chiaro che su ogni opera in uscita incomba un’importanza (e se vogliamo una responsabilità) infinitamente maggiore rispetto a prima. E anche solo per questo ogni nuovo titolo merita tutta l’attenzione possibile.

Uno dei film che di certo farà la parte del leone ai prossimi Oscar è “Malcolm & Marie” di Sam Levinson, disponibile su Netflix dal 5 febbraio. Scritto, realizzato e distribuito a pandemia in corso, è un film di un’ora e mezza ambientato tutto in un unico spazio (la casa dei protagonisti), girato in bianco e nero, in 35mm e con soli due personaggi. Parla di una giovane coppia di artisti – interpretata da John David Washington (“BlacKkKlansman”, “Old Man & the Gun”, “Tenet”) e dall’astro nascente dell’entertainment americano Zendaya Maree Stoermer Coleman (nota sinteticamente come Zendaya) – che rientrata a casa dopo la première dell’ultimo film da regista di lui, inizia a discutere sul proprio rapporto oscillando fra pesanti litigi e temporanee riconciliazioni. Un’opera schematica, scrittissima come si dice in gergo, ovvero pensata tutta a tavolino e con dialoghi studiatissimi, privi di qualsiasi autenticità (nessuno parla davvero così!), eppure un vero e proprio trattato sul ruolo degli afroamericani nel cinema di oggi. I protagonisti a fianco dei loro problemi come coppia tirano fuori quelli come neri in una società ancora profondamente segnata dal razzismo. Ma allo stesso tempo emergono anche la questione di genere, quella dell’estrazione culturale e di classe. Di fatto un film su tutte le tematiche più spinose del dibattito contemporaneo e un viaggio tortuoso (con la giusta dose di furbizia) fra le insidie del politically correct.

Un altro film black di cui si parla molto in questi ultimi tempi è “Quella notte a Miami...” di Regina King, su Prime da gennaio. Come “Malcolm & Marie” è un one location movie anche se non per questioni legate al Covid ma in quanto adattamento di una pièce teatrale. Ambientato il 25 febbraio del 1964, la notte in cui Cassius Clay (non ancora Muhammad Alì) sconfisse a Miami il campione dei pesi massimi Sonny Liston aggiudicandosi il titolo, il film si sofferma sull’incontro fra Clay e altre tre icone della comunità nera dell’epoca: Malcom X, il cantante Sam Cooke e il giocatore di football Jim Brown. I quattro si incontrarono veramente quella notte, per festeggiare e parlare fra loro, ma nessuno sa cosa si dissero.

Gli autori del film provano a immaginarlo riuscendo a costruire un piccolo capolavoro. In maniera per certi versi simile a “Malcolm & Marie” ma con un registro totalmente differente “Quella notte a Miami...” affronta temi chiave della questione razziale come il rapporto con l’élite bianca e il doppio legame fra finanziatori, produttori, manager e impresari con artisti, sportivi e personaggi in vista come i protagonisti: chi è lo sfruttato e chi lo sfruttatore se il denaro dei bianchi finisce nelle tasche dei neri? Quali sono i confini della militanza politica e dell’adesione alla causa? Può l’identità personale separarsi da quella razziale? Domande divisive a tal punto da mettere i protagonisti l’uno contro l’altro e a esacerbare gli animi fino allo scontro fisico. Ma anche interrogativi che restano senza risposta, diventano spunti di riflessione e riverberano sul presente temi politici, sociali e culturali che l’America degli anni Sessanta consegna nelle mani di quella del 2021 scoprendo come le differenze fra oggi e allora non siano poi così tante.

Anche “Ma Rainey’s Black Bottom” (nel catalogo Netflix) è tratto da un’opera teatrale, scritta nel 1984 da August Wilson e adattata per il cinema da George C. Wolfe. Racconta un pomeriggio dell’estate 1927, giorno in cui la leggendaria Ma Rainey, cantante afroamericana considerata l’inventrice del blues, si reca in uno studio di registrazione di Chicago per incidere alcune canzoni del proprio repertorio. Bizzosa, irascibile e piena di pretese la diva rende la vita impossibile a tutti: i membri della band, il suo agente e i tecnici dello studio. Ma è soltanto il suo modo di prendersi qualche piccola rivincita sui bianchi, ben consapevole del fatto che la sua voce sia un dono del cielo, unica e inestimabile, la vende a caro prezzo. Di nuovo unità di spazio e un racconto condensato in poche ore, di nuovo un tema enorme e cruciale come l’identità culturale afroamericana, il razzismo e la blackness. Monologhi, racconti drammatici e piccoli conflitti fra i personaggi non riescono però restituire la complessità culturale e politica di quel particolare momento storico, come non riescono dotare i personaggi della necessaria profondità. Rimane tuttavia il ritratto fuori da tutti gli stereotipi di una donna – interpretata magistralmente da Viola Davis – che ha certamente cambiato il modo di ascoltare musica e forse anche un po’ quello di vedere il mondo (il trombettista Levee è Chadwick Boseman, al suo ultimo ruolo cinematografico).

E a proposito di visione del mondo c’è un film, disponibile su Netflix a partire da oggi, che apparentemente non ha nulla in comune con i temi di cui stiamo parlando e invece riguarda l’America di oggi ben più di quanto sembri. Si intitola “Notizie dal mondo”, è diretto da un veterano di Hollywood, Paul Greengrass, e ha come protagonista Tom Hanks. È un western, ambientato in Texas pochi anni dopo la fine della guerra civile. Racconta di Jefferson Kidd, ex capitano dell’esercito, che si guadagna da vivere spostandosi da un villaggio all’altro e mettendo in piedi degli incontri pubblici in cui legge al pubblico pagante le notizie dei quotidiani nazionali. Gli eventi lo porteranno a prendersi cura di una ragazzina bianca, Johanna, rapita dagli indiani da piccolissima e rimasta orfana per la seconda volta.

Un film convenzionale e dagli intenti civili, capace di porre in risalto il potere della stampa come strumento di democrazia ma allo stesso tempo di mettere in discussione il mito della frontiera e di conseguenza l’idea stessa della nazione americana. Cercando di comunicare con Johanna, che parla solo la lingua dei Kiowa, Kidd descrive lo spazio naturale della prateria di fronte a lui come una strada da percorrere (da conquistare) mentre la ragazzina lo rappresenta come un cosmo, un tutt’uno sferico in cui terra e cielo sono perfettamente bilanciati. Forse sta in questo dialogo il significato più profondo del film e, in senso più ampio, di un certo modo di osservare gli Stati Uniti di oggi. Come qualcosa cioè percorso da anime diverse e da differenti concezioni del mondo e della vita. Da un lato una visione etnocentrica, limitata a una sola una direzione, mentre dall’altro uno sguardo più ampio e complesso, lontano da ogni idea di finitudine. Eppure due spiriti che possono imparare l’uno dall’altro e dare vita a un pensiero virtuoso e costruttivo.

Chiudiamo con un film ancora non disponibile per lo streaming ma in procinto di essere distribuito anche in Italia (dovrebbe arrivare a inizio marzo): “Una donna promettente”, esordio alla regia dell’attrice inglese Emerald Fennell. Uno dei casi cinematografici dell’ultimo anno, presentato al Sundance 2020, rimandato causa Covid e poi sbloccato nel periodo natalizio. Un film dichiaratamente femminista e volutamente scorretto, eccessivo, sopra le righe, con una sceneggiatura che sembra scritta copiando i tweet e gli slogan del movimento #metoo e ideologicamente piuttosto aberrante. Eppure un’opera perfettamente centrata sul mondo di oggi, della quale si parla e si continuerà a parlare ancora a lungo (soprattutto dopo gli Oscar). Apparentemente estremista, ma molto meno grossier di quanto sembri il film è un vero e proprio testo ideologico, segno dei tempi e assolutamente impossibile da ignorare. Perché una grossa fetta dell’America, oggi, è fatta proprio così.

Approfondimenti