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Diamanti grezzi e piccole donne: grandi film in streaming da guardare durante le feste (anche se state pensando di finirla qui)

Guida. Abbiamo scelto sette fra le migliori pellicole dell’ultima stagione, attualmente disponibili online. Ce n’è per tutti i gusti e vi salveranno dalla noia durante il lockdown

Lettura 6 min.
“High Life” di Claire Denis

Come un po’ tutto il resto anche le feste di Natale, in questo 2020, si passeranno perlopiù fra le quattro mura di casa. Forse non uno sforzo eccessivo e nemmeno un cambiamento troppo traumatico per chi – e non sono pochi – del relax domestico fra la vigilia e l’Epifania ha fatto una tradizione, un piccolo sacrificio in più per chi invece le feste è abituato a passarle viaggiando o stando all’aria aperta.

Per tutti però l’occasione per rispolverare quei film che per un motivo o per l’altro ci siamo persi durante l’anno e grazie allo streaming possiamo recuperare in un attimo. Ai consigli dei mesi scorsi (molti dei quali ancora più che validi) vogliamo aggiungerne ancora qualcuno per chiudere l’anno in bellezza (si fa per dire…). Ecco quindi sette film da vedere durante le feste, facilmente reperibili direttamente dal divano.

“Diamanti grezzi” di Benny e Josh Safdie

I Safdie brothers, giovani cineasti newyorkesi attivi da sempre nei territori del cinema indie, forse non sono ancora molto conosciuti qui da noi (nonostante abbiano all’attivo già sette film e un’infinità di corti), ma siamo sicuri lo diventeranno molto presto. E “Diamanti grezzi” è il film perfetto se si vuole scoprire il loro cinema. Straordinaria sintesi di uno sguardo e uno stile che sono andati raffinandosi negli anni, il film racconta la storia di un gioielliere ebreo di New York sommerso dai debiti di gioco e del suo tentativo di tirarsi fuori dai guai attraverso la vendita all’asta di una pietra preziosissima della quale è entrato in possesso in modo losco.

In un’azione ipercinetica fatta di dialoghi spediti e riprese camera a mano mobilissime, assistiamo a un susseguirsi di eventi, personaggi e luoghi tutti sovrapposti l’uno all’altro. Al centro la vita banale di un uomo senza qualità per mezzo di cui emerge lo spaccato di una contemporaneità esplosa e multiforme, profondamente materialista, attaccata al denaro e alle cose tangibili. Una società dolente, squallida ed egoista che come la New York del film si specchia in se stessa senza riuscire a capirsi e senza nemmeno provarci. (Netflix)

“Piccole donne” di Greta Gerwig

Per il suo secondo film da regista Greta Gerwig, già attrice e sceneggiatrice di successo, sceglie di adattare uno dei grandi romanzi di formazione della tradizione anglosassone. E di confrontarsi con una lunga schiera di trasposizioni cinematografiche, soprattutto hollywoodiane, firmate da grandissimi registi e altrettanto eccellenti attrici (da Katharine Hepburn a Elizabeth Taylor, fino a Susan Sarandon). Ma se è giusto che ogni epoca abbia le sue “Piccole donne” quello di Gerwig è un film centratissimo sul presente, capace di mettere in evidenza gli accenti femministi (già presenti nel libro) e di creare uno stato di sospensione della storia.

La regista non segue fedelmente la fabula del romanzo di Louisa May Alcott ma sovrappone momenti, piani temporali e ricordi spostando continuamente avanti e indietro il racconto. Ne risulta un’opera suggestiva con al centro la vita della protagonista Jo (Saoirse Ronan), facendone risaltare il carattere fiero e ribelle così come il lato nostalgico e malinconico e la complessità del carattere. Combattiva e determinata nel saper mettere a frutto il proprio talento di scrittrice e nel ricercare nell’arte una forma di appagamento, ma allo stesso tempo fragile e disincantata nell’affrontare la vita e i legami sentimentali. Con una modernità di pensiero oggi più che mai attuale. (Rakuten, Chili, Google Play, Apple, Tim Vision)

“The Gentleman” di Guy Richie

Il nuovo film di Guy Richie – da alcuni giorni disponibile su Amazon – è un ritorno al passato. Il regista britannico riprende le atmosfere delle sue pellicole anni ’90 e si mette, ora come allora, a giocare con i generi, il citazionismo e il meta-cinema. Fa il verso a Tarantino infarcendo il film di dialoghi overlapping (in sovrapposizione, ndr) e inserendo nella storia altre storie, come in un gioco a scatole cinesi. E per non farsi mancare nulla dichiara anche esplicitamente, per bocca di uno dei personaggi principali, che il film è pensato e scritto per il cinema e “non è tv, è formato cinematografico: vecchia scuola”, salvo – ironia della sorte – trovarsi a distribuirlo in mezzo mondo proprio sulle piattaforme televisive.

I “gentiluomini” protagonisti sono ovviamente dei gangsters da fumetto, ricordano quelli dei vecchi “Lock & Stock” e “Snatch”, ma sono aggiornati ai tempi della Brexit, meno cockney di allora e decisamente più imborghesiti, adulti e preoccupati di garantirsi una ricca pensione. Cosa che a ben vedere rende “The Gentlemen” non un semplice ritorno ma un vero e proprio addio. (Amazon Prime)

“Sto pensando di finirla qui” di Charlie Kaufman

Il cinema di Charlie Kaufman richiede sempre un’immersione nel suo mondo stralunato, grottesco e ricco di simboli, divagazioni, situazioni oniriche e paradossali. Con “Sto pensando di finirla qui” lo sceneggiatore (di film come “Essere John Malkovich”, “Il ladro di orchidee” e “Se mi lasci ti cancello”) e regista newyorkese radicalizza ancora di più il proprio sguardo e confeziona un film che somiglia a un viaggio dentro i meandri di una mente. E nello specifico dentro a quella di una giovane donna nel giorno in cui si reca insieme al neofidanzato a conoscere i genitori di lui. Lucy, Lucia, Louisa cambia continuamente nome e durante tutto il viaggio medita di finirla lì. Nel senso di chiudere la relazione con il compagno, ma forse di farla finita in senso più ampio.

“Sto pensando di finirla qui” è una riflessione sul tempo, sulla vita, sui ricordi e sul significato di tutto questo. Una lettura, attraverso l’universo mentale di un personaggio che è tutti i personaggi insieme, delle nostre paure, i nostri dolori e i nostri rimpianti. In una costruzione filmica non semplice, ellittica, disordinata e divagante cui bisogna aderire e, anche se non è semplice, restare attaccati. Ma nella quale possiamo trovare i medesimi interrogativi di cui siamo fatti e con cui ci torturiamo durante la nostra esistenza. Anche senza necessariamente trovare le risposte. (Netflix)

“La ragazza d’autunno” di Kantemir Balagov

È quasi incredibile pensare che Kantemir Balagov abbia fatto un film come questo a soli 27 anni. Il regista russo, originario della regione caucasica meridionale, vicino alla Cecenia, è il vero enfant prodige del cinema contemporaneo e dopo il già notevole “Closeness” (2017) suo saggio di diploma, confeziona un film di complessità formale e estetica tali da sembrare l’opera di un autore maturo. “La ragazza d’autunno” racconta una storia di guerra nella Leningrado del 1945, quando il conflitto sta terminando e a restare sono solo morte e desolazione, ma lo fa dal punto di vista di due donne: un’infermiera e una soldatessa, amiche dilaniate e svuotate di tutta la loro umanità.

Un film fatto di pochi elementi, pochi personaggi e girato quasi solo in interni. Balagov esplora un territorio vuoto in cui le prime a essere svuotate sono le sue protagoniste. Entrambe spogliate di ogni umanità e incapaci di esprimere anche la propria femminilità. Ma è forse la loro stessa distanza, la loro diversità a renderle quasi complementari, reciprocamente funzionali: specchi di una guerra che “agisce” dentro e fuori di loro. Ma anche la fotografia di un’epoca storica complessa, cangiante e inafferrabile, un presente inumano ancora più agghiacciante perché parla solo per se stesso: non contempla alcun passato e non prevede alcun futuro. (Chili)

“Mank” di David Fincher

Da uno dei maggiori registi contemporanei uno dei film più importanti dell’anno. Fincher racconta la storia della genesi di “Quarto potere” – l’opera cinematografica più famosa, amata e imitata della storia, quella che sta in cima a tutte le classifiche e al gradimento di critici e studiosi – attraverso la biografia del suo sceneggiatore. Che non è stato Orson Welles (nemmeno in collaborazione, come si legge nei credits del film), ma Herman J. Mankiewicz, per gli amici Mank. Intellettuale raffinato, uomo ironico e brillante ma dedito all’alcol, al gioco d’azzardo e all’autodistruzione Mank scrisse “Citizen Kane” da solo in meno di due mesi dettandolo a una dattilografa mentre si trovava paralizzato a letto in seguito a un incidente stradale.

Il film però racconta ben più di questo: stratificatissimo, complesso e temporalmente disordinato “Mank” ci parla di una terra fantastica – la Hollywood degli anni Trenta – spogliandola della sua aura mitica e mostrandone la patina di artificialità. Un mondo in cui il cinema può inventare la vita e non esiste niente di vero, perché tutto si regge su un’illusione e un’evanescente stato di apparenza. Una terra di scrittori, attori, simulatori e interpreti dove non c’è sogno e non c’è realtà, ma solo un infinito e indomabile immaginario. (Netflix)

“High Life” di Claire Denis

Un film sull’ignoto, sull’inesplicabilità della vita e la sua finitezza. Come spesso accade il cinema sceglie lo spazio per riflettere e rappresentare il mistero dell’esistenza. Claire Denis racconta un viaggio verso il nulla di una navicella spaziale all’interno della quale per un tempo indefinito si consumano le vite di un padre (Robert Pattinson) e una figlia, che da neonata cresce e diventa donna. Attraverso alcuni flashback ci viene raccontata la scomparsa del resto dell’equipaggio, fra cui una dottoressa (Juliette Binoche) ossessionata da esperimenti riproduttivi.

Non c’è spazio per i sentimenti, esistono soltanto la solitudine e l’attesa infinita. Uno spazio e un tempo sospesi in cui la regista mette a nudo i tabù, le regole sociali, i bisogni e le speranze di una civiltà (la nostra) inesorabilmente destinata a morire. Un film complesso e tutt’altro che immediato, ma ricco di spunti riflessione e capace di interrogare le nostre coscienze al livello più profondo. (Chili, Tim vision)

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