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“SanPa” e Vincenzo Muccioli, l’uomo forte al potere fra soldi e catene

Articolo. La docu-serie disponibile su Netflix dice molto sull’Italia Settanta-Ottanta e forse qualcosa anche su quella di oggi: possono essere violati i diritti basilari di un tossicodipendente?

Lettura 3 min.
Vincenzo Muccioli in mezzo ai ragazzi di San Patrignano

La storia di San Patrignano si è eclissata con la morte nel 1995 di Vincenzo Muccioli, che la fondò nel 1978 a Coriano, in provincia di Rimini. Che ora venga fatta riemergere in una docu-fiction in cinque episodi, la prima realizzata in Italia, non può che essere positivo, perché “SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano” è un’opera avvincente, ben documentata e ricca di testimonianze e dettagli. Dal 30 dicembre è disponibile su Netflix, e anche questo è un punto a favore di un’indagine giornalistica che si rivolge a chi, come il sottoscritto (classe 1983), ha delle vaghe reminiscenze della vicenda e agli under 30 che di San Patrignano e della sua storia controversa sapevano poco o niente.

Scritta da Gianluca Neri, Paolo Bernardelli e Carlo Gabardini, per la regia di Cosima Spender, “SanPa” ruota attorno alla figura di Vincenzo Muccioli, padre-padrone della comunità che a fine anni Settata, poco prima del riflusso e in anticipo dell’AIDS, è l’unica risposta alla diffusione dell’eroina di quegli anni, con lo Stato assente e tante famiglie inevitabilmente impreparate e disperate.

In una situazione del genere può succedere di tutto o quasi, e difatti succede: Muccioli non ha alcuna competenza in materia – ma un passato da spiritista e una fede incrollabile verso l’omeopatia – ma avvia un’attività che da subito prende piede, forte di quelle iniezioni d’amore che SanPa e Muccioli in primis danno a ragazze e ragazzi distrutti dalla dipendenza. Una parola, “amore”, dal carattere a dir poco ambiguo, se è vero che la San Patrignano muccioliana potrebbe essere riassunta con un “sorvegliare e punire” che rimanda non casualmente a Focault.

La stampa e la tv iniziano a occuparsi di San Patrignano quando Muccioli viene messo pesantemente in discussione con un processo ai metodi della comunità (i famosi incatenamenti nella piccionaia). SanPa intanto è un’azienda agricola che si espande velocemente, grazie anche ai contributi di Gian Marco e Letizia Moratti.

Muccioli comincia a essere molto presente sui giornali e in televisione: alto più di 1,90 e con una stazza importante (arriva a pesare più di 160 kg), è la quintessenza di un approccio patriarcale ai problemi, affrontati con il carisma di una specie di santone megalomane, che funziona benissimo nei programmi di approfondimento (nel documentario si vedono le ospitate da Costanzo, Lerner, Biagi e molti altri) ed inizia a dividere il pubblico fra pro e contro SanPa. Secondo alcuni, nasce qui la tipica polarizzazione con cui abitualmente affrontiamo i problemi: bianco o nero, giusto o sbagliato, bene o male, e tanti cari saluti ai dettagli che spesso raccontano la realtà molto meglio di tanti dogmi calati dall’alto.

In fondo se negli anni Novanta ci fu dopo Tangentopoli un attacco alla magistratura a testa bassa lo si deve anche a una vicenda che riscosse tanto clamore, nella quale i giudici mettevano fortemente in discussione il metodo Muccioli: quest’ultimo diventava uno dei personaggi più potenti del nostro Paese, intanto che tutta Europa guardava al (presunto) modello San Patrignano.

La storia è quella dell’uomo forte al potere, una ricorrenza che in Italia ha attraversato tutto il Novecento e che Muccioli – l’omone romagnolo dalla fisicità esplosiva che ballava il valzer e abbracciava paternalisticamente tutti – incarnava alla perfezione. Sono tanti gli episodi di “SanPa” da raccontare, ma per non rovinare la sorpresa di una narrazione che entra ed esce dalla storia italiana e le spiega, ne citiamo solo due che in forma di dettaglio raccontano quanto e come San Patrignano riuscisse a violare la libertà dei singoli individui: all’inizio era vietato andare a messa, anche se si era fortemente credenti; in biblioteca certi libri mancavano e se si avesse avuto la possibilità di analizzare i titoli presenti forse avremmo le idee più chiare sull’ideologia che più o meno volontariamente animava San Patrignano, comunità all’inizio piccola e poi sempre più grande, capace di ospitare più di mille persone (il bilancio 2017, l’ultimo disponibile, riferisce di un ricavo di oltre 27 milioni di euro).

In molti passaggi Muccioli, con le maniere forti che gli erano proprie, specifica che a San Patrignano si entra ma non si esce più fino alla guarigione. E coloro che scappano vengono recuperati, anche a suon di catene e punizioni. Di questo passo non può che scapparci il morto e difatti ci sarà un secondo processo per l’omicidio di Roberto Maranzano (Alfio Russo, membro della comunità e responsabile della macelleria, prenderà otto anni) oltre a due suicidi, quelli di Natalia Berla e Gabriele De Paola nel 1989 – le cronache raccontano anche del suicidio nel 1992 di Fioralba Petrucci.

Fra spezzoni d’archivio, soldi (tanti soldi), testimonianze come quelle di Fabio Cantelli, Walter Delogu (autista, guardia del corpo e factotum di Muccioli) e del giornalista Luciano Nigro nonché l’agiografia di Red Ronnie, “SanPa” racconta una realtà al contempo tragica e salvifica che continua a dividere. Alla fine rimane la domanda: possono essere violati i diritti basilari di un tossicodipendente? Per qualcuno probabilmente, ancora oggi, sì. Ma disperazione e megalomania tirano brutti scherzi e il secondo processo abbatterà Vincenzo Muccioli, che morirà nel 1995. San Patrignano verrà diretta per 16 anni dal figlio Andrea e oggi continua a vivere sotto il coordinamento di un comitato di gestione. La Storia recente del nostro Paese passa anche da un piccolo paesino in provincia di Rimini.