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“Star Wars: L’ascesa di Skywalker”, tutte le risposte che aspettavamo

Recensione. Il capitolo IX, che vede il ritorno di JJ Abrams come sceneggiatore e regista, chiude una saga lunga più di quarant’anni con una storia dall’impressionante densità narrativa. Ma siamo sicuri che sia davvero finita qui?

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Dopo un’attesa lunga due anni e tante, tantissime chiacchiere, previsioni, speculazioni e ipotesi fantasiose sui contenuti, è finalmente arrivato il giorno di “Star Wars: L’ascesa di Skywalker”. Diciamo subito che nonostante le più ardite supposizioni formulate da fan ed esegeti della serie, i colpi di scena, i risvolti della trama e i twist – sui quali ovviamente taceremo – sono davvero tantissimi e quasi del tutto imprevedibili. Dunque se riuscirete a evitare gli spoiler che già a partire da oggi stanno invadendo il web, la visione potrà essere un’esperienza davvero mozzafiato.

A saltare all’occhio sin da subito, già topic nelle discussioni della stampa americana in queste ore, è la quantità esorbitante di trama che quest’ultimo film della saga mette in campo. In circa due ore e venti di proiezione succedono talmente tante cose da far sembrare “L’ascesa di Skywalker” quasi una trilogia per conto suo. Soprattutto la prima parte riscrive la storia della saga e prende una strada propria, facendo dimenticare quasi del tutto le vicende dei due film precedenti. E preparando il terreno per un finale in cui vengono date tutte le risposte che aspettavamo.

Eravamo rimasti alla durissima decimazione delle truppe della resistenza con cui si era chiuso “Gli ultimi Jedi”. Un finale, quello del film diretto da Rian Johnson, carico di afflizione e sconforto per i ribelli, i quali non solo si ritrovavano come uno sparuto gruppo in rotta dopo una durissima sconfitta, ma facevano i conti con la possibilità di essere rimasti i soli nella galassia a combattere il Primo Ordine. Il sacrificio di Luke e la tenace e coraggiosa guida di Leia avevano permesso la fuga, mentre Rey, scoperto che i suoi genitori l’avevano venduta da piccola in cambio di denaro, non aveva ancora compreso la natura ambigua del suo rapporto con Kylo Ren.

“L’ascesa di Skywalker” riparte più o meno da qui. Rey porta a termine il suo addestramento e scopre di possedere un potere inimmaginabile, mentre – come anticipato sin dai primi trailer – sia i ribelli sia Primo Ordine intercettano una trasmissione che arriva dalle zone più remote della galassia in sui si ode la voce di Palpatine, il vecchio imperatore forse non ancora morto. Kylo Ren si mette in viaggio, usando un antico tracciatore di rotta Sith, per lo sperduto pianeta oscuro di Palpatine con l’intenzione di eliminarlo. Mentre la resistenza – che non possiede la tecnologia per scovare l’imperatore – scopre come Luke prima di morire fosse quasi riuscito a scovare l’ubicazione del misterioso pianeta e manda Poe, Finn, Rey e Chewbecca nel luogo in cui il vecchio maestro Jedi aveva interrotto le sue esplorazioni. Seguendo le tracce i quattro si imbattono nell’ultima persona con cui Luke aveva condotto le ricerche: Lando Calrissian.

Da qui in poi succede l’inimmaginabile e il film riesce con sorprendente coesione a fare le due cose difficilissime che gli si chiedevano. Chiudere una saga lunga nove film senza lasciare questioni sospese e allo stesso tempo dare un senso a “L’ascesa di Skywalker” come film in sé. Costruendo un plot capace, nonostante le ovvie conoscenze pregresse richieste agli spettatori, di stare in piedi da solo. In questo il film somiglia molto di più a “Il ritorno dello Jedi” che a “La vendetta dei Sith”, dimostrando ancora una volta come il riferimento di quest’ultima “trilogia sequel”, sia quella originaria degli anni Settanta e Ottanta.

In realtà però gli elementi che rendono episodio IX assimilabile a episodio VI sono soprattutto estetici. Il film è molto più cupo di quello scritto da Lucas nel 1983 e se anche la successione degli avvenimenti che portano alla battaglia finale sono simili, l’atmosfera è completamente diversa.
JJ Abrams celebra un vero e proprio funerale, seppellisce la saga e i suoi personaggi sotto una coltre spessa di sabbia e, come in un poema epico o in una mitologia sacra, riduce il racconto e fa confluire tutte le storie in un unico contenitore.

Non si tratta quindi, banalmente, di “uccidere” i personaggi, ma di mettere in scena una vera e propria “creazione” entro la quale ogni cosa per rinascere deve necessariamente morire. Non solo il bene quindi, ma anche il male su cui si regge l’equilibrio dell’universo. Questo fa sì che laddove ogni storia trova la sua conclusione possa allo stesso tempo ricominciare da capo. E in effetti il fatto che la futura quarta trilogia sia praticamente già pianificata e l’universo espanso di Star Wars sia in continuo accrescimento – ultima arrivata è la serie “The Mandalorian”, rilasciata da Disney in queste settimane – rende la saga creata da Lucas qualcosa di potenzialmente infinito. Proprio come un mito millenario.

Non è un caso in questo senso che anche ne “L’ascesa di Skywalker” al centro delle vicende che legano i destini dei personaggi ci sia il conflitto generazionale. L’eterna lotta fra padri, madri e nonni con figli e nipoti diventa il tema centrale di questa trilogia. In uno dei primi dialoghi del film Rey e Kylo, ormai in un contatto quasi simbiotico tramite la forza, dicono di leggere l’uno nella mente dell’altra l’incapacità di risolvere il proprio rapporto con le figure genitoriali. Se Kylo è dilaniato dal rimorso per l’uccisione del padre Han Solo, in Rey alberga il rancore per l’abbandono subito quando era troppo piccola per ricordare. Mentre Poe e Finn, destinati a ereditare il ruolo di leader della resistenza, avvertono il peso del loro compito sino a provare lo sconforto dell’inadeguatezza.

Sono questi i traumi che danno origine e soluzione agli eventi ed è dal loro superamento che si risolvono tutte le altre questioni. Ma è anche per mezzo di questa traccia che in una prospettiva metacinematografica si può leggere il senso stesso di un film come “L’ascesa di Skywalker” e di tutta la trilogia. Ovvero provando a osservare quello di Abrams come il tentativo dei figli di ricreare, portare avanti o compiere una variazione sul tema di qualcosa scritto, pensato e realizzato dai propri padri. Come Poe, Rey, Finn e Kylo sono figli di Han, Leia, Luke e Obi Wan e Darth Vader anche Abrams e gli altri autori sono eredi dell’universo creato da George Lucas. E a ben guardare i primi hanno cercato di riattualizzare e rinverdire qualcosa creato prima della loro nascita – senza che ve ne fosse peraltro alcun bisogno.

Eppure complice un’epoca storica in cui i gusti del pubblico sono indirizzati al godimento della reiterazione del racconto e a un’offerta culturale che si sta appiattendo sulla logica del sequel, del reboot e del riciclo, “L’ascesa di Skywalker” fa perfettamente centro. Riuscendo a dare l’idea che anche gli autori, come i personaggi, abbiano ereditato e continuino a combattere all’infinito la stessa mitica e irrisolvibile battaglia. Iniziata tanto tempo fa in una galassia lontana lontana e destinata a finire chissà quando.

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