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Andrea Vavassori, la concentrazione del tennista

Intervista. È stato uno dei protagonisti degli ultimi Internazionali di Tennis di Bergamo «Trofeo Perrel-Faip, presented by BPER Banca» arrivando ai quarti nel tabellone del singolare. Ma Andrea è anche un eccellente doppista (numero 52 nella classifica ATP) che sa ben raccontare la sua professione, fatta di racchette, palline e capacità di «stare in gara»

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Andrea Vavassori

Con lui ho parlato di cosa significhi vivere di tennis, viaggiando molto ma rischiando di vedere poco dei luoghi d’approdo; di quanto sia importante sapersi gestire, in primis finanziariamente, e quanto conti l’aspetto mentale in una partita.

LB: A Bergamo sei arrivato ai quarti perdendo con Nuno Borges, numero 92 della classifica ATP. Come consideri questo risultato?

AV: Sono soddisfatto perché sono riuscito ad arrivare sino ai quarti, dopo aver fatto delle buone qualificazioni in singolare ed aver vinto tre partite, fra cui quella con Nicolas Jarry che è stato numero 39. Quest’anno ho giocato tantissimo, non è stata una settimana semplice perché la stanchezza a Bergamo si è fatta sentire ed è stato difficile mantenere la concentrazione, ma sono comunque soddisfatto.

LB: Tu sei uno specialista del doppio, hai vinto parecchi tornei e oggi sei numero 52 della classifica ATP di doppio.

AV: Ho sempre percorso entrambe le strade, sia in singolare che in doppio, perché penso che uno aiuti l’altro a migliorare. In doppio ho raggiunto risultati di rilievo prima del singolare e ciò mi ha permesso di fare un salto nel minor tempo possibile arrivando a disputare tornei ATP. L’anno scorso ho giocato soprattutto in doppio e raggiunto degli ottimi risultati, come la vittoria del torneo ATP 250 di Cagliari con Lorenzo Sonego. Da lì sono migliorato anche come giocatore in singolare, ottenendo ottimi risultati anche in singolo.

LB: I tennisti viaggiano molto e devono essere in qualche modo degli imprenditori di sé stessi nel gestire le spese dei viaggi e di tutto il resto.

AV: Sì, esattamente. Il tennis rispetto ad altri sport a livello professionistico è molto dispendioso perché devi badare a tutte le spese da solo: quelle dei viaggi, del coach, del preparatore atletico, del mental coach. Quindi bisogna essere bravi a far quadrare tutto quanto e non è sempre semplice. Però penso sia una cosa che ti faccia maturare prima rispetto ad altri sport, perché devi pensare a molte più cose: ti devi organizzare i viaggi, prenotare gli hotel, cercare di spendere comunque il meno possibile.

LB: Si dice che un tennista viaggi molto ma veda poco dei luoghi in cui va. È così?

AV: Sicuramente non dobbiamo essere degli automi che vanno da un posto all’altro solo per giocare a tennis. Bisogna essere bravi a ritagliarsi del tempo libero, e non è tanto semplice riuscire a visitare i luoghi in cui si va per giocare, perché comunque si hanno tante cose da fare: preparare e giocare le partite, studiare gli avversari e anche organizzarsi per andare nel luogo successivo, come ti dicevo prima. Però credo sia un aspetto molto importante nella crescita di una persona riuscire ad organizzare il tempo che si ha e trovare dei momenti per la propria crescita personale. Dobbiamo sfruttare i viaggi per ampliare la nostra opinione sul mondo, conoscere persone, culture e lingue diverse.

LB: Una vita come quella del tennista non è a rischio solitudine?

AV: Per quanto mi riguarda giro con mio padre che è il mio primo allenatore e con Davide Della Tommasina che è il secondo, quindi non sono mai veramente solo. In generale dipende da quanto uno ha giocato e a che è punto della stagione è: ad esempio a inizio stagione uno è riposato e quindi riesce più facilmente a staccare la spina, viaggiare e conoscere posti. Inoltre non siamo mai veramente soli perché nel circuito ci sono tante amicizie, io ho un ottimo rapporto con tanti giocatori, sono uno che tende a legare abbastanza con le persone. Sono amici con cui magari ho stretto un bel legame fin da piccoli, come Sonego o Pellegrino; poi ci sono anche amici stranieri con cui gioco in doppio. Ovviamente c’è competitività fra i tennisti, ma solo in campo. Fuori siamo tutti amici, con legami di intensità differente da persona a persona.

LB: Ci saranno però anche dei momenti di stanchezza, immagino…

AV: Sì, in quel caso si sta in camera cercando di staccare con una serie tv o un libro. Io se vinco una partita nelle ore successive alla vittoria cerco di staccare completamente dal tennis e poi la sera prima mi studio la gara del giorno dopo, guardo dei video sul computer riguardanti l’avversario che incontrerò e mi confronto con mio padre sulla strategia da adottare. Poi ci si prepara mentalmente alla battaglia.

LB: Questo stile di vita psicologicamente può avere delle implicazioni negative?

AV: Sicuramente non è sempre semplice, perché uno da fuori vede solo le cose positive, come giocare le partite. Invece da dentro è uno stile di vita molto impegnativo, perché viaggi per trentacinque settimane l’anno, sei lontano da casa, dagli affetti, dagli amici, a volte ti senti un po’ fuori dal mondo, ma sei costretto comunque a viaggiare per fare più punti possibili. Io fino ad oggi sono sempre riuscito a godermi questo stile di vita, in ogni caso si arriva a fine stagione che si è molto stanchi. Ad esempio a Bergamo sono arrivato un po’ sopraffatto dalla stanchezza, anche perché, per quanto mi riguarda, la cosa si complica quando giochi singolo e doppio come me. 110-120 partite l’anno sono tante. È normale che ti venga da staccare completamente e non pensare solo allo sport.

LB: Nell’immaginario collettivo il tennis è uno sport piuttosto silenzioso. In realtà, rispetto a qualche anno fa, sta diventando sempre più rumoroso, con pre-partita in forma di spettacolo, musica fra un break e l’altro e gente che inneggia non come allo stadio ma sicuramente con un certo vigore. In un contesto simile è diventato più difficile tenere la concentrazione durante la gara?

AV: Secondo me è la naturale conseguenza di come sta evolvendo lo sport in generale. Se vai a vedere una partita di NBA o di football americano – che sono le cose un po’ più innovative dello sport mondiale per quanto riguarda il “contorno” alle partite – loro puntano tanto sullo show, le persone vengono intrattenute anche per due o tre ore ed escono divertite dall’esperienza della partita. Anche il tennis sta andando verso questa direzione, in cui le persone non devono stare in silenzio due ore ma possono parlare tra di loro e avere un divertimento intrinseco alla gara. Penso che lo show faccia bene allo sport in generale, anche se è giusto che il pubblico rimanga in silenzio durante il punto, perché per i giocatori ci vuole molta concentrazione. Ma ci sta che ci sia musica e rumore tra un break e l’altro.

LB: Tu hai dei metodi particolari per concentrarti e mantenere la concentrazione. Insomma per «stare in gara»?

AV: Lavoro con un mental coach da tanti anni, purtroppo non abbiamo la possibilità di lavorare a stretto contatto perché vive in Sicilia. Mi ha dato alcuni consigli pratici da sviluppare durante il gioco, come la respirazione oppure delle parole chiave che mi permettono di tranquillizzarmi durante i momenti decisivi della partita. La concentrazione durante il match è un aspetto del proprio gioco che migliora con il tempo, disputando sempre più partite.

LB: La partita si gioca anche su due stati mentali che si incontrano.

AV: Bisogna essere bravi a non “rompere” la concentrazione prima dell’altro, soprattutto quando due giocatori stanno lottando per la vittoria finale e magari uno “rompe” la concentrazione prima. Ad esempio a Bergamo, per la gara con Borna Goyo agli ottavi (che aveva appena vinto un Challenger a Ortisei e arrivava da un momento di ottima fiducia), avevo studiato molto il pre-partita e in campo ho giocato tante rotazioni slice, non dandogli ritmo, alzando le traiettorie, non concedendogli il tempo di sviluppare il suo gioco molto aggressivo, che punta tanto alla rete. In questo modo ha perso la concentrazione, si è anche “attaccato” alle chiamate dell’arbitro ma alla fine non è servito e ho superato il turno. Insomma conta molto preparare una tattica specifica per l’avversario che hai di fronte.

LB: Sei soddisfatto del percorso che hai fatto fino a qui?

AV: Sicuramente è stato un percorso lungo e non sempre facile, però penso di potermi ritenere soddisfatto perché mi trovo a ventisette anni con un’ottima classifica sia in singolo che in doppio e con tanto margine di miglioramento. Ho avuto un percorso un po’ atipico rispetto agli altri perché ho fatto la scuola pubblica fino a diciotto anni, cosa che richiedeva tante ore di studio e quindi non avevo tantissimo tempo per allenarmi. Solo dopo ho deciso di intraprendere la carriera professionistica e da lì è stato un percorso di miglioramento step by step con dei buoni tempi di crescita. Dopo dieci anni di professionismo non siamo all’inizio del mio percorso ma c’è ancora una grande carriera che mi aspetta.

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