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Antonio Nicaso e Nicola Gratteri, «lo sguardo miope dello Stato contro lo sguardo presbite della mafia»

Articolo. Ospiti della rassegna culturale «Tierra!», lo storico delle organizzazioni criminali e il procuratore capo di Catanzaro saranno a Mozzo (Auditorium Mozzoni, ingresso gratuito) il 20 marzo alle 21 per raccontare la ‘ndrangheta. Una realtà criminale che è riuscita a estendere a macchia d’olio il suo raggio d’azione, grazie alla sua capacità di rimanere al passo coi tempi. Ma è ancora possibile fermarla?

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Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

Sono finiti i tempi in cui la ‘ndrangheta veniva percepita come mafia rurale dedita ai sequestri di persona che si alimentava sulle faide di paese. Siamo nel 2023 e ad oggi la presenza dell’organizzazione criminale calabrese nel mondo è stata accertata in 34 stati. Intuire come abbia fatto a prosperare è abbastanza semplice: grazie al suo spirito di adattamento. Antonio Nicaso, tra i massimi esperti e studiosi del fenomeno, nell’ultimo li

bro « Fuori dai confini » scritto con il contributo del Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, afferma la necessità di un cambio di prospettiva. Secondo lo storico, infatti, si tratta di scartare quella che lui stesso definisce «ipotesi endemica».

«Si tende a considerare le mafie come agenti patogeni che infettano territori sani. Si tratta piuttosto di inquadrare le mafie come patologie del potere. Se si ripercorre la storia, ci può facilmente rendere conto di come le mafie abbiano agito negli anni come se fossero delle agenzie di servizi in grado di offrire manodopera a basso costo, trasporto di materiali inerti, ecc. Stiamo parlando di tutti i servizi che venivano richiesti dal mercato, soprattutto da quello edilizio e da quello industriale». È proprio in questi settori che la ‘ndrangheta è riuscita a mettere radici, perché sia i mafiosi che gli imprenditori e i locali hanno agito secondo logiche di convenienza. Anche al nord, quindi, la ‘ndrangheta è stata colpevolmente legittimata.

La mafia calabrese – mi spiega Antonio Nicaso al telefono – è riuscita a espandersi in un periodo nel quale l’attenzione del governo era quasi esclusivamente concentrata nella lotta a Cosa Nostra. Quindi, così come aveva fatto in Calabria, anche al nord è cresciuta in silenzio. Dopodiché ha fatto molto di più, perché non si è limitata a voler controllare i territori offrendo voti in cambio di appalti e subappalti: ha cominciato a voler governare le trasformazioni della società, impantanandola nei suoi meccanismi di dipendenza e clientelismo.

Il modello economico della mafia

La Lombardia è la regione italiana nella quale la presenza della mafia è più massiccia. Basti pensare che sul fronte dei beni confiscati la regione si attesta al quarto posto, dopo Sicilia, Campania e Calabria. Ma come ha fatto ad arrivare oltreoceano? Semplice, ha volto quello che Antonio Nicaso nel suo libro definisce «sguardo presbite»: «lo sguardo della mafia ha un’ampia gittata semplicemente perché riesce a guardare oltre il presente a immaginare scenari futuri, rispetto ad uno sguardo miope della politica che fa poco e male per contrastare il fenomeno mafioso».

Il punto è che quando la ‘ndrangheta si innesta in un territorio, il danno non riguarda solo le imprese. La mafia altera gli equilibri economici e democratici, attraverso la concorrenza sleale, gli illeciti, con un tessuto sociale che si ritrova, secondo lo studioso, a fare i conti con l’assenza di una volontà politica di stanare i capitali mafiosi. «I soldi della droga costituiscono l’ossigeno dell’economia legale, motivo per cui non vengono respinti, ma vengono quasi richiesti. E questo è il motivo per cui l’economia della droga e del narcotraffico non è alternativa all’economia legale, con la quale si integra perfettamente».

Da questo punto di vista, l’azione di contrasto non rappresenta assolutamente un deterrente nel riciclaggio e nel reinvestimento dei capitali. «Per capire meglio la portata di quello che sto dicendo le dico un dato molto semplice: in Europa le ricchezze che vengono confiscate alla mafia sono meno dell’1%. Se noi confrontiamo questo dato con quello relativo ai sequestri di droga, la percentuale sale al 10-15% e arriva in alcuni casi anche al 18. Quindi la verità è che si fa poco o niente per arginare il fenomeno».

La forza delle mafie risiede nel fatto che esse non si pongono come un anti-stato. Propongono però un modello di sviluppo per così dire “alternativo” e hanno bisogno di infiltrarsi nelle istituzioni, nella politica e nell’economia, sfruttando le collusioni con professionisti compiacenti. «Le relazioni con l’esterno rappresentano l’ossatura del potere mafioso, la corruzione è un’arma efficacissima perché sostituisce il metodo violento che richiama l’attenzione dei media e delle forze dell’ordine. È molto più subdola perché condiziona le scelte politiche, finanziare e imprenditoriali, senza fare rumore. Un altro aspetto su cui riflettere riguarda il fatto che, quando sono in situazioni di difficoltà, 8 imprenditori su 10 preferiscono aggirare le istituzioni e fare riferimento alla mafia».

E è proprio su queste situazioni di incertezza che la mafia prospera, dimostrando di saper colmare quel vuoto istituzionale. O più precisamente creando l’illusione di poterlo fare per poi intrappolare nella loro rete le loro prede. Prede che non riescono più a trovare una via d’uscita rispetto ai meccanismi di collusione e di complicità. «Molti imprenditori fatturano operazioni di consulenza inesistenti per giustificare il pagamento del pizzo, creando un rapporto quasi simbiotico con l’imprenditoria lombarda e settentrionale in generale».

‘Ndrangheta: dall’Italia al resto del mondo (anche virtuale)

La ‘ndrangheta assume oggi i contorni di una realtà sempre più globale, connessa, ramificata che cerca continuamente opportunità per investire i suoi ingenti guadagni, anche in Europa. Lo strapotere della mafia calabrese risiede nella sua capacità di guardare il mondo con altre lenti, quelle che sospendono la morale e guardano unicamente al profitto.

Una pandemia come quella appena passata è diventata un’occasione ghiotta per rilevare aziende in crisi e proporsi con azioni filantropiche a sostegno di famiglie e imprese in difficoltà, con le quali si innesca un meccanismo di dipendenza da riscattare a tempo debito. La mafia ha imparato ad agire in situazioni nelle quali regna il caos e la fragilità. E così anche la guerra in Ucraina diventa per la ‘ndrangheta uno scenario interessante nel quale infiltrarsi e fare affari: vendita di armi, traffico di esseri umani, sfruttamento della prostituzione sono solo alcune delle estreme conseguenze che viaggiano in sovraimpressione sui media che trasmettono i bollettini di guerra.

E questo è solo l’inizio. Perché la mafia, come i virus, muta continuamente forma per adattarsi ai cambiamenti dell’organismo sociale che la ospita e sta già guardando al futuro. Le associazioni criminali stanno facilmente imparando a centellinare la violenza, a normalizzare la propria immagine, ridisegnando la loro organizzazione per adeguarsi alla contemporaneità.

Da questo punto di vista, Nicaso e Gratteri nel loro libro documentano la capacità della ‘ndrangheta di servirsi della rete per creare nuovi canali per il riciclaggio, con i mafiosi che usano i social network come TikTok per mostrare la loro forza e diventare dei modelli da imitare, soprattutto tra i giovani: «Quello della rete è un mondo sempre più complesso, in continua evoluzione, nel quale non conta più essere o apparire ma essere connessi. Le mafie si stanno adeguando a questi scenari diventando sempre più ibride e muovendosi tra online e offline. Tuttavia, se è pur vero che il mondo digitale offre alle mafie molte opportunità, dall’altro lato le occasioni di contrasto vanno di pari passo, non a caso stanno cambiando anche i protocolli di indagine per cui anche i social network vengono setacciati per cercare di stanare i colpevoli».

Quella che si delinea, secondo Nicaso, è un’inter-realtà nella quale gli scontri avvengono sul terreno fisico e poi proseguono sul terreno digitale, all’interno del quale molto spesso i mafiosi postano contenuti e lanciano messaggi di vendetta anche in modo abbastanza esplicito, con le ritorsioni che tornano nel mondo reale. «TikTok ha garantito ai mafiosi di creare la loro rappresentazione. Tutto ciò è preoccupante, visto l’uso libertario che ne fanno anche i cartelli messicani. La sfida per la giustizia sta dunque nel provare a contrastare quello che gli americani definiscono “cyber banging”: un modo fin troppo esplicito di sfoggiare potenza economica e militare».

«Fuori dai confini» è dunque un invito ad aprire gli occhi per tracciare i contorni di una realtà che sembra nascosta ma ci riguarda tutti e che trova il modo di infiltrarsi ovunque: dalle forniture di carburante in Slovenia alle importazioni di tabacchi dalla Polonia, Romania, Bulgaria, Moldavia. Dal traffico di esseri umani in Nord Africa alle storiche roccaforti negli Stati Uniti, in Australia e Canada. La mafia è presente anche in Liberia, Marocco, Brasile, Colombia e Argentina; spinge lo sguardo anche verso l’Asia e più in generale a tutte quelle zone in cui è più difficile risalire ai capitali mafiosi e nei quali i controlli sono meno stringenti.

E poi, da non tralasciare sono gli sviluppi dell’intelligenza artificiale. Da un lato c’è chi si ingegna per creare droghe virtuali in grado di produrre gli stessi effetti sull’organismo, delle droghe sintetiche. Mentre dall’altro lato c’è chi spera di poter utilizzare i meccanismi di riconoscimento facciale per stanare i latitanti. Nel mezzo c’è l’assuefazione di chi preferisce non vedere o si gira dall’altra parte. A noi dunque, come cittadinanza attiva va il compito di non finire come i pesci rossi di David Foster Wallace descritti da Nicaso, che se ne stanno tranquilli a nuotare mentre non sanno l’acqua neppure cos’è. A noi va il compito di utilizzare la storia e la cultura come strumenti per svegliarci dal tepore, dallo spirito di assuefazione che ci impedisce di guardare al di là del nostro naso. Il rischio è di finire come i poveri, ignari, pesci rossi.

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