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Emanuela Presciani, vita da gipsy worker. Cioè non avere una casa, ma un viaggio

Racconto. Disdire l’affitto, fare le valigie e partire per viversi le città d’Italia lavorando da remoto. Emanuela dopo l’ultimo lockdown ha deciso: la via sarebbe stata seguire la sua passione per i viaggi. Oggi sta vivendo a Torino, tra qualche mese ci sarà solo un grande punto di domanda: dove andare. La costante sarà continuare a viaggiare, da nomade digitale

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Emanuela Presciani

Da qualche tempo la sua casa è a pochi passi dal Balon, in mercato del vintage e dell’antiquariato di Torino e non lontano dai localini di San Salvario, il quartiere dove bersi uno spritz. Prima ancora casa è stata Palermo, con il suo centro storico fatto di palazzi antichi e caffè dove ritrovare ritmi di vita più lenti e rilassati. Casa è stata anche Catania e ancora prima Genova, con i suoi carruggi e il sapore da città di mare, dove le navi ormeggiate al Porto Antico salutano chi parte e chi arriva. Dallo scorso giugno, per Emanuela Presciani casa è dove si sente di vivere in quel momento, senza troppi programmi e con un bagagliaio che si è trasformato un po’ in armadio, un po’ in ripostiglio, organizzato per accogliere lo stretto indispensabile per viaggiare e lavorare leggera.

Davanti ha solo la certezza di restare a Torino fino a fine 2021, dove si sposterà dopo ancora non lo sa. Alle spalle c’è un bilocale a Bergamo, che ha lasciato all’inizio dell’estate. “Ho disdetto l’affitto, non ho più una casa, ma ho un viaggio ed è tutto quello che voglio”.

La storia di Emanuela è simile a quella di molti altri nomadi digitali, persone impiegate in lavori che si possono tranquillamente fare interamente da remoto, il cui numero dal 2009 ad oggi, complice anche la pandemia, è salito del 159% secondo l’indagine General Remote Work Statistics. Ed è proprio durante il primo lockdown che le cose cominciano a cambiare per lei: “Ho sempre lavorato a Bergamo, ma in settori che negli anni mi hanno permesso di muovermi tanto e di viaggiare, una mia grande passione – racconta – Ho sempre avuto la valigia in mano, da quando ero impegnata in GAMeC, a quando poi sono passata a occuparmi di organizzazione per il Teatro Tascabile di Bergamo. A febbraio 2020 avevo deciso di trasferirmi da Dalmine, dove sono nata, in via Moroni alta e vivermi ancora più da vicino la città che era luogo delle mie amicizie e del mio tempo libero, ma forse la strada che dovevo prendere non era quella. La mattina del 29 del mese mi erano arrivati gli ultimi scatoloni del trasloco, a mezzanotte eravamo tutti in lockdown. Ho passato le settimane seguenti con pezzi di mobili non montati e tutti i miei libri nei sacchetti sul pavimento”.

Tra un lockdown e l’altro Emanuela cambia lavoro e comincia a collaborare con Storyfactory, realtà di Milano che si occupa di comunicazione, dove fa la “curatrice”, un termine mediato dal mondo dell’arte, che identifica chi si prende cura delle relazioni esterne, continuando ad avere un legame stretto con la creatività. Un lavoro che diventa una sfida in un momento in cui l’incertezza e il distanziamento sociale diventano la norma per chiunque. “Ho vissuto i due anni dall’inizio della pandemia come tutti, cercando ogni giorno di riadattare la vita che avevo prima allo scenario in costante mutamento che stavamo vivendo, ma quella vita non esisteva più – spiega – L’ennesimo lockdown a marzo di quest’anno mi ha messa all’angolo. Guardavo alla realtà come si guarda ai pezzi di un puzzle che non sai più come incastrare per dargli un senso capace di durare più di un decreto d’emergenza Covid”.

Come molti, Emanuela era in smart working da mesi, “non avevo potuto incontrare i miei nuovi colleghi – ricorda – vivevo da sola in un appartamento carino ma piccolo, senza balcone, dove dividevo l’unico tavolo presente a metà: un lato ufficio, un lato casa. E soprattutto mi mancavano le persone, la loro presenza nella quotidianità. All’inizio ho reagito cercando di fare ritorno allo status quo di sempre, ma ritrovarsi in un ‘come era prima’ non è più stato possibile”.

Ed è a questo punto che Emanuela va incontro al cambiamento: “Lottare contro il fantasma del ritorno ad una quotidianità che veniva costantemente resa incerta dalla situazione che stavamo vivendo era frustrante, personalmente e professionalmente. Finché non ho compreso che quel prima non esisteva più. Paradossalmente cambiare il paradigma e abbracciare l’incertezza e il cambiamento come nuovo modo di stare nelle cose è diventata la soluzione e la mia passione per il viaggio una possibilità”.

Un’opportunità di attivare nuovi sguardi e nuovi punti di vista “anche nel lavoro, in un momento particolare che ci sta regalando un confronto a più voci sul tema dei valori, come alfabeto possibile per iniziare a scrivere un nuovo futuro: più rispettoso e inclusivo per i singoli, per i contesti in cui lavorano e più sostenibile per le imprese stesse, del mondo profit e non”.

La decisione per Emanuela arriva a primavera 2021: la partenza è fissata per giugno. Destinazione: città d’Italia con un porto o una vita dinamica e vitale. “Ho dovuto fare una scelta netta, non ho tenuto l’appartamento in via Moroni. Ho deciso di non avere una casa, ma un viaggio. Venivo da una serie di traslochi e ad ogni trasloco diminuivo la quantità di cose. A Bergamo ero in affitto, quindi non avevo mobili da portare via e ho lasciato in un armadio a casa dei miei i libri e vestiti”.

E a proposito di porti, il viaggio di Emanuela salpa verso un nonsodove desiderato. Destinazione: ovunque. “Non sapevo per quanto sarei stata via, così ho fatto una valigia da quattro stagioni, poco di tutto ma ragionato e pensato per stare tutto in un bagagliaio, compreso l’ufficio, una valigetta con un pc, oltre a un libro di poesie di Chandra Livia Candiani, un’autobiografia di Marina Abramovic, un libro di Maurizio Maggiani dedicato a Genova e una macchina fotografica con rullino per fare poche foto, scelte con cura. Sono partita con la paura di chi esce dalla zona di comfort per lanciarsi verso l’ignoto e il desiderio di chi sa che tentare a volte è l’unica via possibile. Casa è dove sei tu, quindi casa poteva essere ovunque e ovunque era il posto ideale per tornare a incontrare persone, per ridare agli occhi la possibilità di guardare di nuovo l’orizzonte”.

La prima tappa è stata Genova, poi è arrivata Palermo, poi Catania e ora Emanuela si trova a Torino. “Sono gipsy worker da giugno. Gipsy per definizione, da sempre: ‘zingara’ è come mi chiamano in famiglia fin da piccola, quando cercavo di evadere dal cortile di casa, facendo finta di portare a spasso la bambola nella carrozzina”.

Ma per fare tutto questo servono appoggi, una rete di amicizie e conoscenze. In altre parole, non si è mai gipsy worker da soli: “In questi mesi mi sono mossa spesso con Airbnb, o tramite amici che ho scoperto essere in viaggio come me o altre persone che conoscevo, che mi hanno aiutato a trovare casa dove mi stavo spostando – spiega Emanuela – Poi in ogni città, finito il lavoro, scendo per strada e mi immergo nella vita del posto, incontro persone nuove e scopro i dintorni dandomi un tempo che non è quello del turista, che deve visitare per forza tutto in fretta: mi metto in modalità di ascolto rispetto al luogo in cui sono e il resto accade”.

In Sicilia, per esempio, ha conosciuto un fotografo di Milano che aveva deciso di lasciare la città e, potendolo fare, spostarsi al sud per lavorare. “L’idea che non avessi più una casa ha affascinato molte persone che ho incontrato, che mi chiedevano se non fosse una cosa destabilizzante. In realtà non è la casa il punto, non è quello che mi dà radici e non sento di essere mai andata via. Le radici restano lì, ovunque io sia, per questo non provo nostalgia, perché mi sono allontanata da un posto, ma non ho chiuso con qualcosa, il fatto di non vivere Bergamo nella quotidianità non mi ha mai fatto pensare di averla lasciata”.

Per l’inverno Emanuela si vuole riavvicinare un po’ a Milano, ma continuare a stare in viaggio. “Non ho idea di quali saranno le prossime tappe, non dipenderà solo da me, cosa sarà a gennaio non lo so. È curioso però pensare come proprio io, che per lavoro organizzavo qualsiasi cosa, ora non programmi niente, permettendo al viaggio di rendere chiaro il percorso strada facendo. Il modo in cui ho scelto di vivere in questo momento mi ha permesso di rendere l’incertezza una variabile come tante. Una possibilità, non più un vincolo, sia nella mia vita personale che in quella professionale. Mi adatto agli eventi poco a poco, senza che il mutamento, anche repentino possa più togliermi le cose che per me hanno valore e che danno un senso alla mia quotidianità. Quelle restano con me, ovunque io vada”.

Profilo Instagram di Emanuela Presciani

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