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Giuseppe De Rita e il “sovranismo psichico” italiano

Intervista. Sabato a BergamoIncontra. Abbiamo parlato con lui delle incertezze e delle paure del Paese

Lettura 4 min.
(La locandina di BergamoIncontra)

BergamoIncontra ospita Giuseppe De Rita, presidente del CENSIS. L’organismo che ogni anno, dalla sua fondazione nel 1964, fotografa le trasformazioni della realtà socio-economica del Paese, tra lavoro, cultura, welfare, formazione, territorio e cittadinanza.

Nel rapporto più recente – di cui si è parlato parecchio sui giornali – è emerso il malcontento degli italiani e il loro incattivimento in questi ultimi anni. Si delinea così l’immagine di un tessuto sociale in mutazione nelle relazioni affettive e nei sistemi famigliari sempre più slegati. Mentre affiora dai cittadini una contrapposizione fra speranze e paure, fra bisogno di sicurezza (dovuto in parte alla disoccupazione) e ricerca del benessere.

Sabato 29 giugno De Rita sarà alle 15.30 in Piazza Dante. Con lui al tavolo dell’incontro “È possibile un nuovo inizio?” altri due relatori. Ferruccio Bonacina, che insieme alla moglie Claudia Zini, nel 2014 ha rilevato la 3B Meccanica di Urgnano dove lavorava, rimettendola in piedi dopo il fallimento. E Don Roberto Trussardi, direttore della Caritas diocesana di Bergamo, Partner dell’Accademia per l’Integrazione.

Che cosa può far ripartire lo Stivale – diviso, litigioso e con prospettive di crescita praticamente nulle – e come è possibile per ognuno riprendere fiducia e ricominciare a sperare: sono questi gli interrogativi a cui cercherà di rispondere De Rita durante il suo intervento. Ovviamente partendo dai risultati delle indagini del centro studi che presiede.

SV La situazione è davvero così nera?

GDR Naturalmente quando ci sono periodi critici c’è sempre la sensazione che la fine non arrivi mai e che per risalire si debba per forza toccare il fondo. Ma questa visione non rispecchia la realtà attuale, non si può pensare di arrivare per forza a quel punto per risalire. Quello che accade è preoccupante certo, ma è sempre parte di un’evoluzione: tra gli anni ’70, ’80 e buona parte degli anni ’90 abbiamo vissuto un grande sviluppo, che poi si è sfaldato. Eppure c’è molto ancora di vivo: penso ai localismi industriali, ai distretti, alla piccola impresa. Il problema è la percezione collettiva, rinforzata dall’informazione, che ritrae una società immersa nel declino più nero.

SV Riguardo alla percezione della realtà da parte degli italiani, nelle più recenti analisi del CENSIS è emersa l’espressione sovranismo psichico.

GDR Nord-sud, governo e anti-governo, est-ovest, Lega o altro, le divisioni sono poco importanti per comprendere quello che accade oggi. Dobbiamo invece andare oltre, cercare più in profondità e ragionare sull’esaltazione della dimensione individuale che si è diffusa nel Paese. Per sovranismo psichico intendo proprio questo: ciascuno di noi vuole essere padrone di sé stesso e dominare sull’altro che vede come una minaccia. Questo sottofondo collettivo di massa è una sorta di illusione di autosufficienza destinata al fallimento.

SV Cosa intende?

GDR Una somma di singoli isolati, incapaci di cooperare realmente e di funzionare come gruppo non può cambiare le cose. Oggi ci troviamo davanti a un cambiamento antropologico, non sociale. Mi spiego: non sono cambiati i gruppi, ma i loro atteggiamenti: i nervosismi, le paure, le ansie e le insicurezze. Se la questione fosse solo un fatto economico si potrebbe provvedere più facilmente, mettendo a punto una politica contro la povertà. Se fosse invece un fatto sociale, un’attenta politica basata su iniziative di welfare potrebbe funzionare. C’è molto di più però: quando la questione riguarda il sentimento e la paura, fare politica seriamente diventa molto complesso e delicato.

SV Cosa si può fare allora?

GDR La mia idea è che quando c’è un determinato fenomeno in corso, questo debba continuare a esplicarsi, prendendo prima picchi di importanza e poi declinando. Anche la realtà scoppiata negli ultimi cinque anni è destinata a refluire. Noi però, diversamente dagli altri paesi, non abbiamo quella capacità di restare sulle cose costantemente, gestendo bene le trasformazioni e i sentimenti che ne derivano. Quest’aspetto della politica non l’avevamo mai considerato abbastanza forse. Per noi la politica è ancora molto ideologia: fascismo e antifascismo. Invece che la politica comprenda anche la gestione dei sentimenti è un tema quasi ordinario in altri paesi tipo quelli nordici o la Germania. Non viene messo come intervento urgente all’ordine del giorno.

SV Che significa “gestione dei sentimenti” in ambito politico?

GDR Pensiamo alla mancanza di sicurezza e al senso del futuro. Queste due cose per noi rappresentano un’angoscia collettiva: arriviamo a chiudere i porti o sprofondiamo nella paranoia. La gestione di sentimenti simili è una questione culturale: in Francia ad esempio l’incertezza viene vissuta in modo differente. Penso alla gestione dell’angoscia di una mancanza di traguardi futuri: in Francia si ragiona sull’onda dell’“intanto continuiamo così e poi vediamo”. Se facessimo un discorso del genere in Italia saremmo tacciati di conservatorismo reazionario.

SV Come è possibile per ognuno riprendere fiducia e ricominciare a sperare?

GDR Prendendo coscienza delle nostre possibilità. Possiamo rinascere anche da adulti e le nostre società con noi. Sapersi rinnovare e rigenerare è una necessita e una questione che deve affrontare ogni società sviluppata. Siamo una società matura ormai, non siamo più quell’Italia giovane nata nel 1860. Possiamo cambiare sì, ma lentamente e quotidianamente, dobbiamo imparare a farlo però e tenere presente che i cambiamenti non sono mai collettivi al 100% in modo monolitico, sono diversificati. Se osserviamo bene la realtà, la nostra società non è ferma.

SV Può fare qualche esempio?

GDR Pensiamo a quel 32-33% di Pil che facciamo con le esportazioni. Dietro quel dato ci sono persone e aziende che non sono più quelle di qualche anno fa, si sono trasformate da sole, con il tempo, adattandosi e trovando nuove soluzioni.

SV In un suo recente editoriale apparso sul Corriere suggeriva di guardare agli Appennini, lo scheletro d’Italia come modello. Tra le montagne – scriveva – è custodita una possibilità di rinascita…

GDR Ho cominciato a lavorare negli anni ’50 girando principalmente il Mezzogiorno appenninico. Quelle zone sono l’osso dell’Italia, mentre la polpa ricca e vigorosa è rappresentata dalla pianura e dalle coste. La montagna in apparenza rende poco, la popolazione scende a valle e spopola le terre alte. La verità però è che senza osso nessuna polpa regge, ma decade e si sfascia. Quello che salva il paese è il suo scheletro e l’Italia ha nell’Appennino la sua spina dorsale contadina. Non si tratta solo di un fatto fisico, ma di una cultura della sobrietà, della tenacia, dell’affrontare le difficoltà quando vengono e del sacrificio. Una realtà non di cronaca ma di tempo lungo, una cultura diversa, che è importante che l’Italia mantenga. Di contadini ne abbiamo sempre troppo pochi.

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