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Michela Marzano, l’anticonformismo dell’amore e la grammatica degli affetti

Intervista. La filosofa e scrittrice ospite domani 15 novembre a “Grammatica delle Passioni”, il primo Rotary Festival di Romano di Lombardia. “Entrare in una logica di relazione e amore significa andare controcorrente”.

Lettura 4 min.

L’amore per la vita. L’amore per noi stessi. L’amore per gli altri – scrive Michela Marzano nel suo “L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore”, Premio Bancarella nel 2014 – è sempre e solo per amore che agiamo”, o agiremmo se non ci fosse la paura, se non vivessimo in una società in cui il concetto cardine è quello di interesse, una miriade di se, per i quali, secondo la filosofa, oggi amare è diventato un atto anticonformista.

Se siamo in una realtà in cui regna il conformismo dell’egoismo, entrare in una logica di relazione e amore significa andare controcorrente”. È l’amore che è al centro degli interventi della filosofa e scrittrice – lo dice lei stessa – anche quando non parla di esplicitamente di quello, ma firma i suoi corsivi per Repubblica o torna in Italia per una conferenza, lasciando Parigi, dove vive e insegna filosofia morale agli studenti della Sorbona, di cui dirige il Dipartimento di Studi Sociali.

Anche domani a Romano Marzano parlerà di amore, durante una serata a ingresso libero parte del Rotary Festival della Cultura, che inaugura la sua prima edizione con il tema “Grammatica delle passioni - Conversazioni sul contemporaneo”. Appuntamento alle 20.45 al Teatro della Fondazione Opere Pie Rubini di Romano di Lombardia.

Da tempo viviamo in una società in cui il concetto cardine è quello di interesse e della massimizzazione del profitto – spiega la filosofa – La logica ultraeconomica dell’interesse è opposta a quella dell’amore ed essendo focalizzata sul tornaconto individuale, esclude a priori la considerazione della presenza dell’altro. Così però si perde l’essenza dell’amore, che è incontro e riconoscimento reciproco. Credo ci sia anche un altro motivo più profondo per cui si mette tra parentesi l’amore: la paura”.

SV: Cosa c’è dietro questa paura secondo lei?

MM: Quando si parla di amore, si parla anche di dipendenza e questo stride con il mito dell’autonomia che pervade la società. In realtà è anche un modo di mettersi al sicuro dal rischio di dipendere in parte dal volere e dalla presenza altrui. Non è un caso che viviamo in un presente caratterizzato dalla sfiducia. L’amore invece è fidarsi, lasciarsi andare, abbandonarsi e aprirsi alla libertà.

SV: Dipendenza e libertà, insieme nell’amore...

MM: Sì, può apparire una contraddizione, ma non lo è. L’amore non è simbiosi, ma non possiamo negare che una parte di dipendenza ci sia. Quando amiamo infatti dipendiamo in parte dalla presenza altrui e dalla capacità dell’altro di riconoscerci per quello che siamo: è questo essere visti a renderci davvero liberi di essere noi stessi. Lo racconta benissimo filosofa e scrittrice Hanna Arendt: in una lettera al marito spiega che è stato solo quando ha voluto lasciarsi andare all’amore, accettando la parte di dipendenza ad esso legata, che ha capito fino in fondo il significato del termine autonomia.

SV: Cosa intendeva la Arendt?

MM: Lei che aveva sempre voluto essere una donna indipendente, proprio nel momento in cui ha accettato quella parte di dipendenza legata all’amore, è riuscita a diventare realmente autonoma pur stando in una relazione. Non c’è una contraddizione tra dipendenza e libertà nell’amore sano, è una questione di distanza ed equilibrio.

SV: Spesso la parola amore viene utilizzata anche quando la libertà delle persone non c’è e in dinamiche in cui l’amore c’entra in realtà molto poco, come nel caso della violenza sulle donne.

MM: Quando si parla di violenza nei confronti delle donne non si dovrebbe mai utilizzare il termine amore: questa è una battaglia culturale e terminologica necessaria. L’amore non ha niente a che fare con la violenza. “Amore malato” o “amore possessivo” sono ossimori. L’amore non è malato e quando un rapporto di coppia si ammala vuol dire che di amore non ce n’è più o non ce n’è mai stato. Così è per il possesso: quando una persona arriva a distruggere l’altro, considerato un oggetto di sua proprietà, l’amore non esiste. Qui c’è un grande lavoro che va fatto: deve passare l’idea che la violenza nasce dove l’amore non c’è.

SV: Quali risorse abbiamo come società per lavorare in questa direzione dal suo punto di vista?

MM: Senza dubbio l’educazione. La scuola e la cultura sono fondamentali per trasmettere queste cose, che vanno insegnate, non solo a parole, ma con l’esempio. Qui entra in gioco anche il nostro quotidiano. Ecco perché insisto molto sulla relazione genitori e figli. Se un genitore parte dal presupposto che il figlio sia una cosa sua, non gli sta trasmettendo davvero cosa è l’amore. Sarebbe importante parlare di più di educazione all’affettività. La grammatica delle relazioni affettive va spiegata, insegnata e riscritta.

SV: Parlando di riscritture, a un certo punto nelle sue pagine lei sostituisce l’espressione “Ti amo” con “Io amo con te”. Cosa vuole dire?

MM: L’ho scritto così per porre l’attenzione sulla presenza dell’altro. Nel momento in cui io amo una persona devo sapere che non la posso considerare un oggetto: lei resta sempre qualcosa di diverso rispetto a me ed è l’amore ci mette in relazione. L’amore è quel “con”. Non possiamo chiedere all’altro di riparare la nostra storia, né tanto meno riempire i nostri vuoti o eliminare le nostre sofferenze, ma possiamo cercare di attraversare quello ci accade insieme a qualcuno, pur consapevoli che certe cose le possiamo risolvere solamente da soli.

SV: Questa possibilità di attraversare la propria vita con una persona ci porta a un amore che non è fusione, ma presenza nella distanza. Qui subentra la fiducia, a cui lei ha dedicato anche un altro libro “Avere fiducia. Perché è necessario credere negli altri”.

MM: La fiducia ci chiede il coraggio di scommettere su una relazione e di ammettere la possibilità della perdita e del tradimento. Se non mi fido non potrò essere tradita, se mai delusa, ma mai amata. Ma se la nostra è una società della sfiducia, il rischio di aprirsi appare davvero enorme. Così ognuno resta immobile e si priva dell’amore, non percorrendo quella distanza tra io e tu, che esiste e non va cancellata.

SV: In questa distanza c’è il riconoscimento di sé e dell’altro. Cosa salta se ciò viene a mancare?

MM: Per poter entrare in relazione con un’altra persona o con gli altri è necessario avere consapevolezza del proprio valore. Riconoscersi è questo. Ecco perché una relazione d’amore si fonda su questa azione reciproca: entrambi abbiamo un valore di uguale importanza nel nostro essere diversi. Solo così si può davvero costruire qualcosa insieme.

SV: Oggi, secondo lei, quanto l’amore è presente nelle agende della politica?

MM: Ho la sensazione che oggi le classi dirigenti siano anaffettive e non sappiano più nemmeno loro quale sia il significato dell’amore: molti sono prigionieri di una logica iper-narcisistica, orientata all’autoaffermazione e incapace di accogliere i bisogni e le esigenze delle persone, che dovrebbero portare al raggiungimento di un bene comune. Ora possiamo analizzare e spiegare ciò che accade, ma i giochi sono fatti. Le cose potrebbero cambiare grazie alle prossime generazioni, sempre se sapremo dare loro strumenti adeguati. Ecco perché, dopo essere stata per una legislatura in Parlamento, sono tornata a insegnare. Educare oggi è il ruolo politico per eccellenza.

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