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Salvo Noè, come costruire città più felici con mattoni di gentilezza

Articolo. Lasciarsi alle spalle i giudizi tossici. Considerare che nessuno di noi è mai sbagliato e che le parole che scegliamo possono essere piume o macigni. Lo psicologo e psicoterapeuta propone una via morbida per realizzare una collettività libera dal linguaggio violento e dalla sofferenza che genera. L’incontro del festival Le Primavere di Como in onda su Bergamo TV domenica 26 giugno alle 15

Lettura 6 min.
Salvo Noè a Le Primavere (Butti)

«La società in cui la gentilezza non viene apprezzata si disgrega. Da bambini dipendiamo in larga misura dalla gentilezza dei nostri genitori, e durante la vecchiaia torniamo a dipendere dalla gentilezza altrui, ma tra l’infanzia e la vecchiaia crediamo, sbagliando, di essere indipendenti».

Da queste parole del Dalai Lama emerge quanto la gentilezza sia una mano tesa, fondamentale per coltivare relazioni sane e virtuose, soprattutto in una contemporaneità dominata da linguaggi d’odio e parole violente; parole che lo psicologo, psicoterapeuta, mediatore famigliare e autore Salvo Noè ha scelto come guida per il suo intervento «Il profumo delle relazioni e il potere della gentilezza», lo scorso aprile per la rassegna Le Primavere. Una parte dell’incontro – insieme a quello con Fabio Isman – verrà trasmesso domenica 26 giugno alle 15 su Bergamo TV.

Un appuntamento per riflettere su quanto ciò che diciamo possa avvicinare due persone e far crescere un rapporto, oppure creare distanze e fratture in grado di generare sofferenza. Un elemento molto dannoso anche se sottovalutato in questo senso è il giudizio, che può rivelarsi tossico, fonte di divisione e di grande solitudine.

L’intervista

SV: Come mai giudichiamo così tanto, anche senza accorgercene?

SN: Giudichiamo perché abbiamo bisogno di vedere attraverso gli altri noi stessi. E spesso vediamo negli altri le cose che non ci piacciono di noi. Ma bisogna pensare prima di giudicare e ricordarsi che il giudizio è “tossico” quando si concentra sulla persona, la denigra.

SV: Ci sono solo giudizi negativi o ci sono anche giudizi costruttivi?

SN: Cadere nella negatività distruttiva è molto comune, fortunatamente non esistono solo giudizi negativi. Nel caso del giudizio “tossico” noi invadiamo e stravolgiamo l’identità di una persona. Creiamo un’etichetta che la limita e la svilisce. «Sei uno stupido, sei un cretino, non vali niente». Tutto è concentrato su ciò che la persona è, tutto l’opposto del giudizio genuino in cui invece mi occupo di cosa la persona fa e che apre al cambiamento. Nel giudizio “tossico” l’obiettivo è far sentire la persona sbagliata, ma c’è anche un’altra via.

SV: E quale sarebbe?

SN: Considerare i fatti, non la persona. Nessuno di noi è mai sbagliato. Possiamo fare delle cose sbagliate, certo, capita, non siamo perfetti, ma per quanto riguarda ciò che siamo, dovremmo essere sempre rispettati, anche quando facciamo qualcosa che non va. Il segreto sta tutto lì.

SV: Lei nella sua attività di ricerca ha dedicato ampio spazio alle relazioni. Quali sono i principali consigli per costruirne di buone e sane?

SN: Ascoltare è la base. Nelle relazioni la cosa importante è sempre trovare un modo per capirci e per comprenderci. E poi trovare parole che uniscono, quelle che portano alla comprensione reciproca, all’obbiettivo che abbiamo quando ci incontriamo, entrare in contatto con l’altro. Ci sono dinamiche che possono fare la differenza, a partire da ciò che diciamo: come parliamo diventa il modo in cui viviamo, è fondamentale avere una comunicazione generatrice di buone relazioni, è da lì che comincia tutto.

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SV: Il tema di quest’anno della rassegna Le Primavere è stato «(meta)verso la città ideale». Lei parte dal singolo parlando di gentilezza e poi estende questo concetto a un’intera comunità. Come immagina una città gentile?

SN: La gentilezza è un modo garbato per rispettare noi stessi e gli altri, per attivare possibilità di costruire progetti e relazioni importanti. Inoltre, al di là delle relazioni, la gentilezza si esprime anche nella cura del territorio e nel decoro dei nostri manufatti architettonici. La gentilezza è un modo per riuscire a dare valore a quello che abbiamo, relazioni civili comprese. La gentilezza è una rivoluzione che dobbiamo mettere in atto, quando e soprattutto negli spazi urbani si comunica poco e non ci si guarda quasi in faccia. In realtà in un contesto simile la gentilezza può riaprire canali per creare connessioni, dare valore alle relazioni e produrre un benessere diffuso, lavorando semplicemente sul nostro modo di fare.

SV: Quale è quindi la via per creare società più gentili?

SN: Abbiamo scoperto che la cooperazione è l’unica cosa che ci può portare alla felicità. Non siamo un’isola, se c’è troppo individualismo si arriva alla solitudine, uno dei mali del nostro tempo. Magari abbiamo tanti contatti, ma nella realtà ci sentiamo soli. Riportare al centro il fermarsi ad ascoltare è fondamentale. Bisogna combattere la fretta, che in realtà ci toglie del tempo, quel tempo utile per dare senso e significato alla vita. Quando parlo di rallentare, parlo di genitori che hanno figli che hanno bisogno di ascolto a casa e insegnanti che non si rendono conto che stanno generando relazioni ogni giorno quando vanno in classe. Andare di fretta fa perdere l’aspetto umano. Rendiamo le nostre città più umane, rallentiamo e le renderemo anche più felici.

SV: Davanti a linguaggi d’odio, cyberbullismo e parole usate come proiettili, che strumenti abbiamo per costruire una realtà alternativa?

SN: Quando stiamo per dire qualcosa, che sia attraverso un messaggio su WhatsApp, un commento sui social o una risposta a una persona che abbiamo davanti, la cosa fondamentale è interrogarci su che effetto avrà la nostra comunicazione, se ferirà qualcuno, se genererà emozioni negative. Può suonare scontato, ma vista la sofferenza e le situazioni a cui quotidianamente assistiamo in particolar modo online, mi sento di ripeterlo: prima di giudicare pensiamo, chiediamoci se piacerebbe anche a noi ricevere quel tipo di messaggio. Una parola molto importante in questo senso è la parola rispetto.

L’incontro

Nell’era dell’odio telematico, di neologismi come hater, cyberbullo, in un momento in cui la piazza virtuale dei social per alcuni è assolutamente paragonabile a quella vera e per cui un like negato o un post di insulti possono generare danni psicologici notevoli, questo momento è ancora possibile essere gentili?

Ne ha parlato ieri sera in una Sala Bianca del Ridotto del Teatro Sociale come sempre gremita, Salvo Noè. Psicoterapeuta, mediatore familiare e scrittore, si è confrontato con il direttore de La Provincia Diego Minonzio e con Daniela Taiocchi, curatrice della rassegna. «La prima domanda che faccio in una conferenza – dice per ben incominciare – è come state?». Un atto di gentilezza: «Nella nostra vita il nostro primo atto di gentilezza è quello delle nostre madri, che abbiamo abitato prima di venire al mondo. In questo mondo siamo venuti ad abitare con tutto da imparare, perché c’era prima di noi». Quindi «il primo meccanismo dell’affetto, della fiducia è quello che instauriamo con i nostri genitori, poi con gli zii, con i nonni».

L’esempio del Papa

Il professor Noè lavora anche a stretto contatto con il Papa e ha ricordato come il Santo Padre sia particolarmente vicino a questi ultimi, «di cui ci stiamo un po’ dimenticando, mentre quando raccontano il passato, la storia, sono importantissimi». E questo si riflette poi nella comunità, nella città, perché «noi abitiamo la città come abitiamo la nostra vita». Perché si vede subito se è accogliente e curata: «Le città hanno aspetti materni e paterni. Tutta ciò che è accoglienza e bellezza è materno: le aiuole, la cura del verde, dell’ambiente. Invece tutto quello che norma, che definisce come si vive nella città è paterno». E un’amministrazione che non cura la città è un po’ come una famiglia che si sta separando.

«Nella comunità – ha ricordato Minonzio – incontriamo persone che stanno combattendo battaglie di cui non sappiamo nulla». «Infatti – risponde il professor Noè – bisogna rispettare gli altri, soprattutto nel dare giudizi, che possono essere tossici, perché magari sono dati superficialmente, ma possono ferire tantissimo. Pensate al caso di Mia Martini, calunniata fino all’estremo». «Giudichiamo perché abbiamo bisogno di vedere attraverso gli altri noi stessi – dice – E spesso vediamo negli altri le cose che non ci piacciono di noi. Ma bisogna pensare prima di giudicare e ricordarsi che il giudizio è “tossico” quando si concentra sulla persona, la denigra». «Essere gentili – prosegue – è un modo di essere sano ed equilibrato molto funzionale nei rapporti interpersonali, è un atteggiamento profondo che comprende generosità, umiltà e disponibilità, nasce da una reale disposizione interiore che si traduce però in fatti concreti». «Nessun atto di gentilezza per piccolo che sia è mai sprecato», scriveva Esopo. «I luoghi felici, come le famiglie felici, sono quelli che cooperano, solo così si può ottenere la felicità».

Secondo Khalil Gibran «tenerezza e gentilezza non sono sintomo di disperazione e debolezza, ma espressione di forza e di determinazione». «Oggi sembra il contrario, no? Se non si reagisce sempre, se non si cerca di superare l’altro sembra di essere sbagliati. Anche a parole: spesso ascoltiamo per rispondere e non per comprendere, interrompiamo l’altro per affermare quello che vogliamo dire senza nemmeno capire cosa ha detto». Sono molti gli esempi di questa mancanza di gentilezza generalizzata. Dopo anni di ricerche e studi compiuti nel settore della comunicazione umana, il professor Noè ha ideato un nuovo metodo di formazione dal nome «Re-Action». Questo metodo integra in maniera innovativa varie correnti teoriche psicologiche (neuroscienze, psicanalisi, gestalt, pnei, sistemico relazionale, strategica, cognitivocomportamentale, analisi transazionale, programmazione neuro-linguistica, bioenergetica e saggistica orientale), dando una veste nuova al concetto di formazione soprattutto dal punto di vista esperienziale: «Linguaggio d’odio, cyberbullismo, parole usate come proiettili: quanti drammi si sono consumati proprio a causa di giudizi distruttivi che hanno poi generato malesseri e violenze? Tempo sprecato; un tempo che potremmo invece utilizzare per migliorare la nostra vita».

(Alessio Brunialti, da La Provincia di Como, 30 aprile 2022)

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