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Tra laicità e fanatismo: muoversi nell’Islam con Farid Adly

Intervista. Terrorismo e xenofobia, velo e Corano, infibulazione ed emancipazione. Una riflessione senza sconti sul mondo musulmano con il giornalista e scrittore libico. Sabato 5 ottobre a Molte fedi

Lettura 4 min.

Smontare le tesi del fanatismo islamico e battersi contro la xenofobia: è la duplice missione che si è dato Farid Adly, giornalista e scrittore libico, da cinquantatré anni in Italia. Nel 2001 ha lanciato l’appello “Occidentali, non vendeteci più armi!” e nel 2004 “Ora basta! Ogni nostro silenzio è complice”. Oltre a collaborare con Radio Popolare Milano e il Corriere della Sera, ha pubblicato libri come “La Rivoluzione libica” (2012) e “Capire il Corano” (2017).

Per Molte fedi sotto lo stesso cielo sarà protagonista dell’incontro “La conoscenza sconfigge la paura”, sabato 5 ottobre alle 14.15 presso la Sala Parrocchiale della Chiesa della Clementina (via Tolstoj, 9 – Bergamo). Seguirà trasferimento a piedi presso la sede dell’Associazione Musulmani Bergamo in via G. Rosa 4, per un momento di confronto e di preghiera con i giovani di MY-BG Muslim Young Bergamo Generation. Al termine merenda marocchina insieme. Costo: € 7, Under 30 e Card € 5 (massimo 50 persone, prenotazione obbligatoria).

M.M. - Lei ha scritto un libro “Capire il Corano”. Comprendere un testo sacro può davvero essere un antidoto alla violenza?

F.A. - Il mio è un tentativo di smontare le tesi alla base dell’interpretazione fanatica del salafismo jihadista e, nello stesso tempo, di contrappormi al sentimento “anti musulmano”. Il mio libro ha obiettivo di dare elementi di conoscenza del testo coranico, perché troppe volte è stato interpretato su base fondamentalista. Alcuni imam sauditi sono arrivati a usare il Corano per sconfessare la messa al bando della schiavitù. Altri hanno emesso una fatwa per avallare la pratica della infibulazione, una violenza atroce sulle donne di cui non c’è traccia nel testo coranico.

M.M. - Come può l’infibulazione avere un senso religioso?

F.A. - Infatti non ce l’ha. È una pratica nata nella valle del Nilo e non c’è nessun testo della tradizione musulmana che ne parli. Trent’anni fa un Imam saudita ha emesso questa fatwa sostenendo la “supremazia della prudenza sulla felicità”, perché l’infibulazione garantirebbe la verginità della sposa e quindi l’unità della famiglia. Così questa pratica barbara si è espansa anche in Arabia Saudita, anche a causa dell’immigrazione da Paesi come Sudan e Somalia.

M.M. - Altre cose non contemplate dal Corano?

F.A. - Il burqa o il velo totale, che non riguarda la tradizione islamica, ma è una realtà locale di alcune zone dell’Afghanistan. Oppure il maltrattamento dei prigionieri di guerra di qualunque fede religiosa, esplicitamente vietato dal Corano.

M.M. - Ma nel Corano non si parla di guerra santa?

F.A. - Attenzione: la traduzione di jihad non è guerra santa, ma resistenza. Il Corano dice: “Se vi assalgono uccideteli, se però cessano allora Allah è perdonatore”. Quindi attaccate se vi attaccano e deponete le armi se le depongono anche loro. Dimezzare il testo non gli rende giustizia. Lo stesso Maometto ha sempre preferito la via diplomatica: ad esempio, rinuncia ad attaccare la Mecca con un contingente armato e preferisce rimandare all’anno successivo il pellegrinaggio, sottoscrivendo l’accordo di al-Ḥudaybiyya.

M.M. - Tornando ai nostri tempi, non è innegabile che i musulmani abbiano un forte problema di maschilismo?

F.A. - Il problema della violenza sulle donne riguarda sia la società italiana sia le comunità immigrate, questo aspetto secondo me non è legato alla questione religiosa ma alla visione maschilista. Va risolto non con la criminalizzazione di tutti i musulmani, ma con attività di inclusione sociale e a scuola. All’interno delle stesse comunità musulmane c’è un risveglio che nega il ruolo subalterno della donna. Lo si vede nelle organizzazioni giovanili delle comunità arabo musulmane che hanno una presenza femminile molto forte.

M.M. - Io vivo in una via a forte presenza di immigrati. Mi infastidisce vedere per strada donne completamente coperte, tranne gli occhi. È un problema mio o è un problema loro?

F.A. - Il problema vero è la mancata applicazione delle leggi italiane, che proibiscono di accedere a luoghi pubblici col viso coperto, chi non è identificabile non può stare per strada. La legge va fatta rispettare e le donne arabo-musulmane si adegueranno.

M.M. - Quindi è contrario al niqab?

F.A. - Sì, certo. Sono però contrario anche alla criminalizzazione del fazzoletto attorno alla faccia. Non va impedito alle donne che vogliono portarlo di farlo, altrimenti – come è successo in Francia – si rischia di creare rifiuto e contrapposizione, che conducono all’estremismo. Il problema della convivenza è reciproco, sia da parte della comunità straniera sia italiana. Rimanendo con la legge come principio fondamentale: chi non vuole rispettare le leggi italiane che si scelga un altro Stato dove vivere.

M.M. - Le donne della sua famiglia portano il velo?

F.A. - No, io ho sposato un’italiana, lei è cattolica, i miei figli sono battezzati e io non ho mai costretto nessuno a cambiare religione.

M.M. - Ma lei è credente?

F.A. - Credente ma non praticante. Il rapporto diretto fra uomo e Dio è una delle caratteristiche della fede musulmana, che non ha intermediari. Mi considero un eretico devoto e voglio il dialogo fra gli uomini.

M.M. - La sua posizione è quella di un musulmanesimo laico e progressista.

F.A. - La stragrande maggioranza delle comunità musulmane rifiuta il fondamentalismo, non sopportano che gli imam intervengano su come le donne debbano vestirsi o altro. Il problema è che i fondamentalisti sono una minoranza chiassosa, che utilizzano per fini politici la fede. Il dramma del mondo musulmano è questo: non avere realizzato una riforma. Il religioso è al carro del politico.

M.M. - Per questo esistono Stati teocratici, come l’Arabia Saudita…

F.A. - Sono estremismi che il mondo cristiano ha vissuto durante il Medioevo. Ora sono i musulmani a confrontarsi con la modernità. Ma le comunità musulmane europee di solito sono molto laiche.

M.M. - Eppure il sospetto diffuso di avere dei “nemici” in casa è forte.

F.A. - Io penso che la comunità musulmana abbia la forte responsabilità di farsi sentire e condannare il terrorismo. Io ho scritto tanti appelli, dopo l’11 settembre, dopo la strage di Nassiriya, firmati da un migliaio di intellettuali musulmani in Italia. Gli jihadisti non possono parlare a nome della cultura musulmana.

M.M. - Ma ci sono anche tanti musulmani che non si sentono in obbligo di schierarsi.

F.A. - C’è chi non pensa di dover firmare o condannare perché dice: “Io non ho fatto nulla di male”. Lo capisco, ma si tratta di solidarietà umana. È come quando un ebreo italiano progressista si esprime a favore della questione palestinese: non è direttamente coinvolto, ma la sua voce è importante. Io voglio contrastare sia il terrorismo sia la xenofobia. Questo è l’atteggiamento proficuo che la società civile può portare avanti, anche con festival come Molte fedi.

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