93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Franco Arminio, “una comunità è tale se è attenta al dolore di chi ne fa parte”

Intervista. Dalla poesia che consola, a un teatro incluso in un viaggio in treno Milano-Napoli. Passando per i paesi vivi delle zone interne d’Italia. Il potere dell’immaginazione è uno strumento concreto per una delle voci più amate della letteratura contemporanea, oggi consigliere del Ministro per la coesione sociale

Lettura 5 min.

Voglio una poesia che assomigli a una stretta di mano. Una consolazione, perché no. Ma una poesia che sia consolatoria no”.

Ai tempi del Coronavirus il distanziamento fisico allontana le mani che non si possono incontrare e impedisce gli abbracci. Così Franco Arminio nell’impossibilità di stringersi ha cominciato a pensare a come restare vicini, anche alle persone sconosciute. Lo scorso 13 marzo il poeta, autore della raccolta “Cedi la strada agli alberi” – 15 mila copie vendute e sette edizioni dalla pubblicazione nel 2017, l’ultimo libro è invece “L’infinito senza farci caso” – ha scritto sul suo seguitissimo profilo Facebook un messaggio, seguito dal suo numero di cellulare: “Se qualcuno vuole chiamarmi per farsi due chiacchiere, sono a disposizione tutte le mattine dalle nove a mezzogiorno”.

Un gesto semplice e di umanità profonda. Una poesia del quotidiano. Se si fa un salto nell’etimologia del termine “fare, creare”, troviamo la capacità di dare vita a nuove piccole realtà, a presenze vive in un momento di sospensione e di profonde e assolute assenze.

Così ogni giorno per un mese, fino al 14 aprile, mi hanno chiamato in tantissimi ragazzi e ragazze, signore e signori di ogni età, da tutta Italia. Chi per raccontarsi, chi per sfogarsi, chi per condividere un dramma”. Come una donna che ha telefonato da Bergamo e gli ha detto: “Qui adesso non si muore soltanto, si sparisce”. Una frase che rileggendola trafigge e trafiggerà sempre, perché è parola vissuta e sofferta. “Ho proposto una giornata di lutto nazionale il 29 marzo scorso. Abbiamo bisogno di gesti simbolici come comunità”, ha spiegato Arminio, che più che scrittore, regista o poeta, ama definirsi “paesologo”, ovvero “uno studioso di quei particolari organismi che sono i paesi”.

SV: Martedì 31 marzo i sindaci di tutta Italia hanno osservato un minuto di silenzio, aderendo alla proposta lanciata dal presidente della Provincia di Bergamo...

FA: Avremmo avuto bisogno di un giorno intero, in cui l’Italia si potesse fermare davanti a ciò che stava accadendo e alla morte che mai vogliamo vedere, ma che serve anche a elaborare il lutto. Tamponi, zone rosse, piani per le fasi successive, sono cose importanti, tanto quanto il dolore che va guardato. Quel dolore di chi ha perso i cari senza poterli accompagnare, salutare, per poi restare soli in quarantena, con il dubbio di un contagio che rimane, nonostante il tampone fatto. Una comunità è tale se sa essere attenta al dolore di chi ne fa parte. Questa è la mia idea per cui mi sono battuto con i miei piccoli mezzi, non so chi mi ha ascoltato, ma il mio dovere, lavorando con le parole è esprimere la mia verità e l’ho espressa.

SV: Che rapporto ha avuto con la poesia e lo scrivere in questo periodo?

FA: A me scrivere non aiuta molto con il dolore: scrivo cercando di uscire dal mio spavento, ma è un circolo vizioso. Aiuta chi legge però. La poesia è un’arma importante, nella mia vita, ma come lettore: fa stare bene, l’ho sperimentato, ti distende e ti guarisce. La lettura è un farmaco, come molti altri strumenti di salute: il cibo, l’amore e il camminare...

SV: Lei ha letto in questi due mesi?

FA: Ho riletto molto alcune cose brevi di Kafka e i suoi diari, ho ripreso Canetti e altri autori che avevo abbandonato. È stato come ritrovare dei vecchi amici che non senti da tempo che ti dicono: “Ehi, ciao Armì, sei tornato!”. Anche così si possono incontrare delle persone in quarantena...

SV: L’amore, la dolcezza, la fragilità. Sono tutti elementi di una rivoluzione dell’essenziale, che ritorna tra i suoi versi.

FA: Non possiamo opporci alla morte, ma possiamo darci attimi di bene grazie a queste cose. Diamo attenzione al nostro star bene e utilizziamo questa energia vitale. Abbiamo grandi momenti di scoramento, ma anche in quelli non bisogna mai trascurare la gioia. Cercare e trovare sempre un’apertura anche nella condizione più dura salva.

SV: Quando quest’intervista uscirà la Fase 2 sarà attiva da pochissimo. Come si è preparato?

FA: La qualità della sosta decide la qualità della ripartenza. Sapremo ripartire meglio se non abbiamo solo coltivato sentimenti di rabbia e di rancore. Mantenere le distanze, ma andare avanti restandoci “vicini”. Stare vicino a chi ha perso qualcuno, a chi ha perso il lavoro, a chi ha sofferto profondamente. Starci vicino. Questo è ciò che una comunità sana può fare quando riparte, altrimenti faremo gli stessi errori e saremo ancora più lacerati. Se per il virus abbiamo tenuto in casa milioni di persone, dovremmo ragionare su altre minacce che continuiamo a sottovalutare, come l’inquinamento che da anni incidono sulla salute degli italiani, specialmente in zone ad alta densità come la Pianura Padana.

SV: A gennaio avrebbe dovuto partire per un viaggio con il Ministro per il Sud, le aree interne e la coesione sociale Peppe Provenzano, di cui è diventato consigliere.

FA: Sì, poi è successo quello che è successo, ma il nostro dialogo continua. Questa vicenda ci ha dimostrato come i paesi che erano rimasti un po’ indietro siano stati meno colpiti dal virus: dotiamoli di servizi, come banda larga, sanità, trasporti e diventeranno appetibili per persone in telelavoro o per chi è fuori dal circuito lavorativo e vuole passare periodi dell’anno in zone meno popolate del paese, come montagne o colline. Perché ci devono essere zone sovrappopolate tipo Napoli o Milano e zone svuotate? Riportare la gente anche nelle aree interne, mantenendone comunque gli equilibri è una possibilità in più per tutti, non un favore ai piccoli paesi. L’Italia ha una grande occasione, utilizzare meglio il suo patrimonio di paesi ancora vivi e non lasciarli morire.

SV: Lei parla di bellezza, non solo del paesaggio, ma anche delle arti e del pensiero, che “hanno senso se accettiamo l’idea che alcuni se ne occupino più di altri e ci offrano il dono delle loro ricerche”. Da poeta, quali sono le sue considerazioni sul futuro della cultura, dello spettacolo e dei loro lavoratori in Italia?

FA: È urgente trovare forme di sostegno per queste persone ora che siamo senza cinema, teatro, musica dal vivo o reading. Usiamo l’immaginazione, pensiamo ad attività nuove, a un uso sociale dell’arte. Scuola e sanità sono ambiti in cui gli artisti possono lavorare: un poeta può intervenire in una lezione di lettere affiancando un docente, un artista in una di arte, nelle case di cura si possono potenziare gli interventi. La bellezza è terapeutica e anche formativa, ma non basta.

SV: Che cosa immagina?

FA: L’arte non può vivere solo di festival, anche perché la tv assorbe tutto, le altre forme di produzione culturale ne risentono. Ci vogliono sostegni governativi, ma anche nuovi spazi da pensare: perché con un biglietto da cinquanta euro non posso ascoltare anche un monologo teatrale o un concerto su un vagone del Frecciarossa Napoli-Milano? Non possiamo affidare tutto alla rete, dove ci siamo spostati durante l’emergenza. Una società in cui girano arte e musica è più sana. Guardiamo alla Grecia antica, non possiamo produrre solo cibo e occhiali da sole.

SV: Lei spesso ha citato la necessità dell’inoperosità dei paesaggi, dell’agricoltura e delle persone.

FA: Il sistema sociale del futuro lo immagino plurale. C’è bisogno di Bergamo e di Matera, della Lombardia e della Calabria. Ogni luogo ha il suo tono, il suo passo. Il mondo è bello se diamo spazio ai diversi modi di abitarlo, uno più legato alla contemplazione, uno alla produzione, uno più inoperoso, come l’Appennino lasciato un po’ al suo corso. È un gioco di equilibri e più andiamo avanti più dovremmo esaltare le differenze.

SV: Parla anche delle persone?

FA: La relazione tra persone è l’esaltazione del no global per eccellenza. Insieme creiamo un ambiente irripetibile, irriducibile, mai seriale, sempre particolare. Unico. C’è un’atmosfera nel nostro abbraccio che si costruisce solo tra me e te.

Pagina Facebook Franco Arminio

Approfondimenti