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Il caso editoriale «Al di qua del fiume», il libro ambientato a Crespi d’Adda

Articolo. Abbiamo chiesto ad Alessandra Selmi, autrice del romanzo storico, di raccontarci la vicenda del villaggio operaio modello della famiglia Crespi. Un microcosmo fra le tempeste della Storia: dai moti per il pane del 1898 all’avvento del fascismo. Protagonisti non sono solo i componenti della famiglia d’imprenditori lombardi, ma anche le famiglie dei “loro” operai

Lettura 4 min.
Bagni di sole a Crespi d’Adda (Archivio storico Crespi d’Adda)

Per la prima volta Crespi d’Adda finisce in un romanzo. Il villaggio operaio modello, sorto a opera dell’imprenditore tessile Cristoforo Benigno Crespi a partire dal 1877, non fa semplicemente da sfondo alle vicende narrate in «Al di qua del fiume» (Casa Editrice Nord, 484 pagine, 19 euro), ma è il vero protagonista della storia.

«Volevo che si sentisse l’impronta corale e che il protagonista fosse il villaggio e non la famiglia Crespi. I “padroni” solo una delle tante famiglie che gravitano intorno a Crespi, incidentalmente la più importante», racconta l’autrice, Alessandra Selmi.

L’autrice

Alessandra Selmi, nata a Monza nel 1977, è titolare dell’agenzia letteraria Lorem Ipsum, dove si occupa di scouting e editing, e si occupa da sempre di libri, iniziando come didascalista, correttore di bozze, editor. Dalla grande passione per la lettura alla scrittura il passo è breve, e nel 2014 pubblicato il giallo «La terza (e ultima) vita di Aiace Pardon», mentre due anni fa il primo libro storico: «Le origini del potere. La saga di Giulio II, il papa guerriero».

Il consiglio della nonna

L’idea di un libro ambientato a Crespi viene da un consiglio della nonna: «Due anni fa mi chiedevo di cosa avrei scritto ancora e decisi di seguire il consiglio che mi aveva dato tempo addietro mia nonna. Era stata a Crespi d’Adda in una visita guidata e me lo aveva raccomandato. Io stranamente non c’ero mai stata, ma anche solo sulla carta la storia mi aveva colpito».

Dopo il primo impatto con il paese, due anni di ricerca e scrittura, con svariate fonti: «La prima fonte è stata proprio il villaggio, sono stata aiutata dall’associazione culturale Crespi d’Adda che ha aperto i suoi archivi, di proprietà del Comune di Capriate San Gervasio. Ho avuto accesso ai registi della ditta, all’archivio digitale con lastre fotografiche di fine ‘800, ho letto i quotidiani dell’epoca, che più dei libri ci raccontano la mentalità di allora. Mi sono basata molto sulla saggistica, in particolare il libro di Roberto Romano “Crespi. Origini, fortuna e tramonto di una dinastia lombarda”. Ho studiato archivi online, saggi sui villaggi ideali, i taccuini di Benigno Crespi e i libri del figlio Silvio. Mi sono immersa nel loro mondo».

Fantasia e realtà

Gli unici personaggi storici realmente esistenti presenti nel libro sono i Crespi, tutte le altre famiglie del romanzo sono di invenzione. La difficoltà più grande non è stata tanto ricostruire gli eventi storici – dalle vicende del cotonificio ai moti del pane, dalle cannonate di Bava Beccaris alla Prima Guerra Mondiale – quanto la mentalità di quel periodo, difficile da capire con la prospettiva odierna: «Non si può giudicare la storia, lo vado ripetendo sempre. Bisogna sforzarsi di immergersi in un mondo radicalmente diverso dal nostro: le classi sociali erano nettamente divise, non c’era mescolanza. L’Italia era una monarchia. Le donne e i figli erano proprietà del marito. Era prassi che i mariti picchiassero le donne. Il padrone era il padrone».

Tra i momenti più simbolici del libro la “sfilata delle spose”, un lieto rito dal sapore feudale durante il quale le spose dell’anno sfilavano davanti al padrone e la ditta regalava una busta in denaro.

L’eccezionalità di Crespi

«Al di qua del fiume» non fa sconti al racconto della vita di fabbrica: turni di 12 ore in piedi senza pause, manodopera infantile, sicurezza assai precaria. Ma allora, dove risiede l’eccezionalità del “modello Crespi”? «Cristoforo Crespi aveva visto le prime company town in Inghilterra, Francia e Germania e decise di esportarne il modello, fra i primissimi in Italia. Sono città che nascevano per uno scopo pratico: avere forza lavoro accanto alla fabbrica e, quindi, maggiore efficienza produttiva. In più, il fondatore vuole creare anche un posto esteticamente gradevole e con forme di welfare aziendale, dalla scuola al medico». Un connubio di funzionalità ed estetica che un secolo dopo ha reso Crespi Patrimonio dell’umanità. «Cristoforo Crespi era un visionario, ma le condizioni di lavoro in fabbrica erano simili dappertutto. Disumane ai nostri occhi ma migliorative rispetto a quelle dei contadini di un tempo, che potevano morire di fame per un raccolto andato male».

Le famiglie protagoniste

«Al di qua del fiume» inizia proprio con la fondazione del villaggio, che catalizza a sé le diverse famiglie impegnate nella sua realizzazione. «Molti personaggi del libro sono nati come tematiche prima che come personaggi», racconta l’autrice.

Emilia, che potremmo definire la protagonista, è la voce narrante che vede il villaggio nascere e declinare. Remigio è «lo scemo del villaggio», Elvira rappresenta la prostituzione e la marginalità. Fredo è un eroe tragico che non sa accettare il proprio destino, in un’epoca in cui l’omosessualità era reato oltre che un tabù indicibile. Amalia, animata da fervore religioso, incarna la profezia che si autoavvera. Il parroco don Ranghetti è tra i pochi personaggi storici, ma il suo racconto è di invenzione.

I modelli di riferimento

Nella quarta di copertina c’è una citazione di Stefania Auci: «Mai avrei immaginato che, mentre nasceva una nazione, una famiglia stava creando un mondo intero». È inevitabile accostare «Al di qua del fiume» alla saga dei Florio, vero e proprio caso editoriale degli ultimi anni.

«Io e Stefania siamo amiche da tempo, presenteremo anche insieme il mio libro a Bookcity, abbiamo un rapporto di affetto e condividiamo anche lo stesso editore. La tendenza letteraria è quella, va di moda la saga familiare, e tra tutte Stefani Auci è quella che ha avuto più successo. Detto questo non era mia intenzione imitarla per entrare in questo solco. I nostri sono libri molto diversi e non ho modelli intenzionali, poi ovviamente tutto ciò che uno legge si riflette in quanto scrive ».

I riferimenti sono, soprattutto, i classici: «Ciclicamente rileggo “I promessi sposi”, amo “La Storia” di Elsa Morante. Come saga familiare il mio modello sono I Malavoglia di Verga, anche se l’etichetta “saga familiare” non mi piace».

L’accoglienza in paese

«Sono particolarmente colpita dell’accoglienza che mi è stata riservata a Crespi perché avevo il timore che gli abitanti vedessero il libro come una forma di ingerenza. Invece quando lo ho presentato a Trezzo e a Crespi sono rimasta colpita dal calore delle persone che vivono lì, che hanno lavorato nella fabbrica e si sono ritrovate nelle mie parole. Mi rende molto felice. La sensazione è che siano lieti di avere trovato qualcuno che ha dato voce alla storia del loro territorio, seppure in forma romanzata».

La fabbrica ha chiuso nel 2003 e c’è una certa nostalgia per i tempi andati: «Basta avere 80 anni per sapere cos’ha rappresentato e magari avere ascoltato i racconti dei nonni che davvero hanno vissuto l’epoca di Crespi. Il 1877 (anno della fondazione) è nelle memorie familiari».

Ci sarà un seguito?

«Al di qua del fiume» è un libro perfettamente concluso, anche perché si chiude con i primi anni del fascismo – il villaggio sarà poi ribattezzato «Tessilia» durante il Ventennio – e con la perdita della proprietà da parte dei Crespi. Lo stesso potrebbe esserci un seguito: «Non mi sento di dire di no, ma non è nelle mie intenzioni. Dopo il fascismo il villaggio diventa un’altra cosa».

Intanto il libro sta avendo un ottimo successo, tanto che sono già stati venduti i diritti in Francia e Spagna. Inoltre una casa di produzione internazionale ha opzionato i diritti per farne una serie tv: «Attenzione, non è detto che si farà: i tempi sono lunghissimi, ma se avverrà sarà bellissimo». «Al di qua del fiume» verrà presentato domenica 20 novembre, ore 12.00 all’Auditorium del Museo della Scienza per «Bookcity Milano».

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