93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

«Le gocce sul vetro» di Wainer Preda, un thriller “cinematografico” ambientato fra Bergamo e Praga

Articolo. Pubblicato da Mursia, è il primo romanzo del giornalista, nonché appassionato di storia moderna e contemporanea. Al centro della trama, l’indagine di Walter Torriani su una serie di omicidi che lo porteranno fino alla capitale ceca. «È un uomo controverso. Un po’ eroe omerico, pieno di pathos e coraggio, un po’ uomo reale, che vive la contemporaneità anche se non l’apprezza particolarmente. Vive i riti e i ritmi del quotidiano, ma ha l’introspezione d’altri tempi, la profondità»

Lettura 6 min.

Quale segreto si cela sotto il Monte Boér? E che verità rivoluzionaria (e mortale) nasconde il Sebino? Domande per le quali si può uccidere o essere uccisi, almeno nel libro «Le gocce sul vetro» di Wainer Preda, pubblicato, nel 2021, da Mursia Editore, all’interno della collana Giungla Gialla. Un thriller dalle tinte noir (e pulp) e dalla scrittura veloce e piacevole, ricco di suspence e colpi di scena, scandito da un’inquietante serie di omicidi che, dal lago di Endine, si dipana fino a Praga, passando prima per Bergamo.

Un’inspiegabile striscia di sangue sulla quale indaga non un investigatore, bensì Walter Torriani, giornalista di razza e uomo dalla profonda integrità morale, a metà strada fra il detective Colombo dell’omonima serie televisiva e il Wes Block del film «Corda Tesa» (di Richard Tuggle, 1984). Un solitario a cui il mondo moderno sta un po’ stretto e che, inevitabilmente, dovrà fare i conti anche con la propria vita, con il proprio passato e con l’amore.

Sullo sfondo, il capoluogo orobico che – con i suoi quartieri e i suoi bellissimi scorci, spesso in bilico fra tradizione e innovazione – assurge assieme all’acqua, a vero e proprio coprotagonista. Facendosi all’occasione grande madeleine proustiana, apportando leggerezza e poesia a una trama comunque dinamica e avvincente, in cui la soluzione del delitto è indissolubilmente legata a un misterioso fatto avvenuto durante la Seconda guerra mondiale e a una verità storica che qualcuno non vuole fare emergere.

Ma «Le gocce sul vetro» è anche un romanzo su come si dovrebbe fare giornalismo che, secondo Wainer Preda, di professione giornalista, è prima di tutto amore per la parola, fedeltà ai fatti e rispetto per i lettori.

FR: Wainer Preda, perché scrivere un giallo? Come nasce questo romanzo?

WP: Questo libro nasce da una sfida personale. Volevo capire se, dopo tanti anni di giornalismo, sarei stato capace di dar vita a qualcosa di completamente diverso. Da sempre, sono appassionato di tecniche narrative. Stavolta ho provato a metterle in un racconto di fantasia che tocca anche un pezzo di realtà.

FR: Quali sono le difficoltà che si possono riscontrare nell’ambientare un romanzo in una città reale, la città in cui lei vive? Quale (e quanto) lavoro di documentazione bisogna perseguire?

WP: Raccontare Bergamo non è stato particolarmente difficile. Vivo in una città straordinaria sotto tutti i punti di vista. Dall’ambiente alla storia, passando per la sua gente. Serve solo un po’ di spirito d’osservazione. Fermarsi a guardare quel che si ha intorno e descriverlo con onestà intellettuale. Nel libro, ci sono virtù e vizi di questa città, tic e vezzi dei bergamaschi. Non ho risparmiato sferzate, così come incanti per la bellezza che ci circonda ogni giorno. Il resto è ricerca e documentazione, sulle quali ho lavorato circa una decina di mesi.

FR: Quali sono, invece, le difficoltà nel raccontare una città straniera come Praga?

WP: Anche qui, non eccessive, a dire il vero. È stato un processo molto naturale. Amo Praga, l’alone di mistero che la circonda. Ci sono stato più volte, in stagioni diverse, e mi ha sempre affascinato. Condivide con Bergamo il peso della storia. La vedi, la senti in ogni angolo. Sapevo che a Praga avrei trovato le atmosfere giuste che mi servivano per questo libro.

FR: A proposito di Torriani, nel libro si legge: «Aveva un animo nobile e uno spiccato senso per la giustizia. Odiava i soprusi, detestava la falsità, disprezzava la meschinità. Nonostante nella vita ne avesse viste di tutti i colori, continuava a stupirsi delle vigliaccherie degli uomini. Eppure non si arrendeva. Avrebbe fatto qualunque cosa per quello che credeva giusto». Che tipo di uomo è Torriani?

WP: È un uomo controverso. Un po’ eroe omerico, pieno di pathos e coraggio, un po’ uomo reale, che vive la contemporaneità anche se non l’apprezza particolarmente. Vive i riti e i ritmi del quotidiano, ma ha l’introspezione d’altri tempi, la profondità. Rallenta, ferma l’attimo e ci si tuffa, cercando nella propria anima, senza avere paura. Consapevole di quello che è.

FR: Lavorativamente parlando, invece, chi è?

WP: Per approccio professionale, è un giornalista d’antan. Di quelli che scavano nelle notizie. Di quelli che, oltre a raccontare, cercano il perché, le ragioni profonde da spiegare ai lettori. Di quelli innamorati delle immagini che si creano con le parole. Oggi purtroppo il giornalismo non è più così. È diventato, per velocità e costrizione del mezzo, informazione di consumo. Ogni giorno ci piombano addosso tonnellate di notizie e la mattina dopo è “reset” per altre. Senza badarci più di tanto, quasi i fatti di questa vita fossero semplice sottofondo. Ci accorgiamo che non lo sono, solo in caso di eventi drammatici che potrebbero coinvolgerci tutti, come la guerra.

FR: All’interno del romanzo, Torriani assume sempre più le caratteristiche di un detective più che di un giornalista. Non è una forzatura questa?

WP: Per niente. La quintessenza del giornalismo è indagine, sviscerare i fatti, collegare i punti, risalire alle loro origini, valutarne le sfumature.

FR: Bergamo viene descritta con tinte pop e pulp, a volte quasi futuristiche. Bergamo è ancora la città provinciale di un tempo o è cambiata?

WP: Bergamo è una città che è mutata molto negli anni. È più aperta, più europea. Eppure conserva quel sapore antico che ne fa una città unica. Il peso della storia lo vedi lassù, sul colle, basta alzare gli occhi. Se vivi nei quartieri, soprattutto nei borghi, ti rendi conto di essere in un grande paese, dove tutti si conoscono e molto spesso si salutano per strada, come accadeva un tempo. È qui che trovi storie e personaggi straordinari, spesso anacronistici. Poi, come tutte le città di provincia, sa essere anche un po’ zitella e pettegola. Ma talvolta non è negativo. Soprattutto per chi fa il mio mestiere.

FR: La città, con le sue vie, i suoi borghi e i negozi storici, suscita tanti ricordi nella mente e nel cuore del protagonista. Qual è il suo ruolo ai fini dell’intreccio narrativo?

WP: Il ricordo è determinante, è parte integrante della narrazione. Esattamente come è parte basilare della vita di ognuno di noi. Viviamo un presente costante, una sorta di bolla dell’oggi. Tanto che, a volte, non ci rendiamo conto che siamo quel che siamo solo a causa del nostro passato. Per le belle esperienze che abbiamo fatto, per gli errori e le brutture che abbiamo commesso e che, spesso, per convenienza, tendiamo a dimenticare. Nella vita, come in questo romanzo.

FR: Nel libro è presente anche il tema della memoria storica. Qual è la sua importanza per un Paese come il nostro?

WP: Avendo qualche anno sulle spalle, credo di aver capito una cosa di questo Paese: gli italiani non amano fare i conti con la loro storia. Si prenda, per esempio, tutti i grandi fenomeni politici e sociali dal Novecento in avanti. Abbiamo fatto davvero i conti con il fascismo? Sul perché è avvenuto? No, semplicemente l’abbiamo liquidato, nascondendolo; tanto che oggi ne parliamo ancora, rivangandolo nella maniera più vaga e superficiale possibile. Abbiamo fatto i conti con il terrorismo rosso degli anni Settanta? No, semplicemente l’abbiamo rimosso. Non siamo andati a capire come mai le Brigate Rosse si sono sviluppate, in quale entroterra e perché sono cresciute. Semplicemente l’abbiamo risolto con migliaia di arresti, voltando subito pagina. E lo stesso abbiamo fatto con tutti gli altri fenomeni: col craxismo, con Tangentopoli e con il berlusconismo. Li abbiamo affrontati per via giudiziaria, senza però comprenderne le radici e lo sviluppo. Abbiamo semplicemente voltato pagina, nascondendo la polvere sotto il tappeto. E scordandoci che in questo modo i fenomeni diventano carsici.

FR: Cosa avrebbe votato il 25 settembre Torriani?

WP: Bella domanda. Probabilmente scheda nulla.

FR: Perché l’acqua? A cosa si riferiscono le gocce sul vetro che danno il titolo al romanzo?

WP: L’acqua è il filo conduttore di tutta la vicenda. L’elemento su cui scorre l’intera narrazione. L’acqua è la vita che si contrappone alla morte che aleggia in alcuni capitoli del romanzo. Quanto poi al titolo, tengo a raccontare un aneddoto. Ero con la mia famiglia in Valseriana, quel giorno c’era un forte temporale. Mio figlio, che all’epoca aveva 6 anni, mi dice: «Papà guarda, guarda le gocce sul vetro!». Scendevano dritte e poi, all’improvviso, senza motivo apparente, cambiavano direzione, andando a finire da tutt’altra parte. Ecco, la storia narrata nel libro è così: parte da un punto, poi cambia e va a finire in un altro punto, inatteso. Da qui, la scelta del titolo. Però il suggerimento originale è di mio figlio Alessandro, spero che un giorno non mi chieda i diritti… (ride, ndr).

FR: Lei è giornalista e scrittore. Sono ruoli e lavori diversi, il primo riporta la realtà dei fatti, il secondo narra la finzione. C’è un punto in cui questi due binari si incontrano?

WP: Sono un giornalista che ha provato a scrivere un libro e per fortuna gli è andata bene. Il punto di contatto fra le due professioni è l’amore per la scrittura. Dentro «Le gocce sul vetro» ci sono tecniche di narrazione diverse, a seconda della situazione. Ci sono persino tratti, mi si passi il termine, cinematografici, e descrizioni quasi poetiche. Il tutto accomunato dalla tensione o dall’incanto che le parole sanno creare nell’immaginario dei lettori.

FR: Ha già in cantiere un altro libro?

WP: Per ora, c’è un’idea di base che ho cominciato a sviluppare. Ci vorrà ancora qualche mese di lavoro, prima di arrivare a una storia compiuta da sottoporre all’editore.

Approfondimenti