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5 canzoni di Marco Parente scelte da Paolo Benvegnù e viceversa

Articolo. Abbiamo chiesto ai due songwriters di evidenziare quelli che secondo loro sono i brani più belli dell’amico e collega di palco. Il risultato sono due ritratti appassionati che meritano di essere letti e ascoltati

Lettura 1 min.

Domani ci sarà l’Eppen Secret Concert, è ancora possibile iscriversi sino alle 12. Per concludere questo viaggio nel mondo musicale di Paolo Benvegnù e di Marco Parente abbiamo chiesto ai due di scegliere 5 canzoni dell’altro. Ci hanno risposto con la solita imprevedibilità (e con una forte stima reciproca).

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Paolo Benvegnù sceglie 5 canzoni di Marco Parente
Più belli del mondo.

1) “La guarigione”
Esposto. Il ritegno. La dignità.
La felicità della vera vitalità.
Nessuna falsa letteratura di sé. Il respiro come sentirlo veramente.
La visione di tutto. Lucidissimo eppure anelante di speranza.
Come tutto è.

2) “Wake Up”
Il risveglio del guerriero inutile.
La guerra dello stentare la sopravvivenza.
L’invito chapliniamo di guardare in alto, Hannah. Guarda in alto.
E poi.
La meraviglia è davvero la concentrazione.
Sublime.

3) “Falso movimento”
Davvero sembra divinazione infinita-perfetta, questo pezzo di storia dell’uomo.
L’inquietudine dell’abisso, ma rovesciato.
Inizio e fine del giorno.
Assoluta volontà di non passare ad orbitali più bassi.

4) “Il diavolaccio”
Brano anti-bergmaniano per eccellenza.
Così vicino agli uomini e così comprensivo verso gli stessi.
Ma.
Marco si sbaglia.
Io ho visto un uomo in grado di impugnare la contraddizione e la poesia.
Ed è lui.
L’uomo alla donna.
La donna all’amore.

5) “Karma Parente”
Adesso ho voglia di citare:
“parola seria ma non troppo è io
quando, se lo cerchi, cerchi la formula:
io + io = sei tu dio”.
Un brano scritto nel ‘98.
Che parla del 2020 come nessun filosofo riesce a fare oggi.
La poesia.
Non è morta.
Grazie.

Marco Parente sceglie 5 canzoni di Paolo Benvegnù

È praticamente impossibile, per me, che due amici e colleghi d’arte possano parlare l’uno del lavoro dell’altro senza arrossire.
Una canzone è una questione di pudore, che mai andrebbe svelato o tradotto, questa è materia e mansione del professore, del critico
Ed in fine del giornalista.

Il poeta scrive, “sempre caro mi fu quest’ermo colle”.
Il professore traduce, “mi è sempre piaciuta questa collina”.

Premesso ciò, ringrazio per la provocazione, che mi ha permesso (felicemente obbligandomi) di riascoltare tutti i dischi di Paolo dall’inizio alla fine con grande attenzione e umiltà.
Da questo ne esco arricchito e con le idee sempre più chiare sull’animo complesso e bello di Paolo.

Nel caso di alcuni “cantautori”, una canzone da sola non basta se non letta nell’insieme del discorso disco. Ed è appunto per questo che ho scelto un brano per ogni lavoro di Paolo (che guarda caso sono 5), per rispetto del suo percorso, del suo talento e dedizione pressoché infinita alla arte come vita e ri-cercare:

1) “Il mare verticale”
2) “Il vento incalcolabile del sud” / “La schiena”
3) “Andromeda Maria”
4) “Orlando”
5) “Se questo sono io”

La motivazione è breve ma di sostanza, ed è la stessa per ognuna: sono tutte canzoni Belle e inconsumabili!!

Personalmente non credo più nella funzione delle canzoni, ma solo nella loro tensione alla bellezza...e una canzone, non so proprio a cosa debba e possa aspirare più che alla bellezza.

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