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5 dischi per Natale: alcune perle nascoste di quest’anno

Guida. Amerigo Verardi, Arlo Parks, Blak Saagan, HTRK e Lutto Lento: tra psych, nu-soul, eerie-country ed elettronica meticcia, la scelta è varia e gustosa

Lettura 4 min.

Ecco cinque dischi (in cd e vinile) usciti nel 2021 che potete regalare o regalarvi: sono diversissimi tra loro ma tutti bellissimi, provare per credere!

“Un Sogno di Maila” di Amerigo Verardi

Quest’anno è uscito un nuovo, bellissimo disco di Amerigo Verardi: a cinque anni dal precedente “Hippie Dixit”, ecco “Un Sogno di Maila”. 77 minuti di psichedelia gentile e profondissima, il biglietto d’ingresso a un mondo sideralmente distante dalla frenesia quotidiana di ascolti Spotify-driven. Occorrono calma e pazienza per addentrarsi in questa dimensione fatta di riferimenti colti ed espliciti (alla controcultura americana degli anni Sessanta, alla musica pop italiana tra Battiato e Claudio Rocchi), di strumenti suonati e suoni cesellati con grande cura.

Pensati come momenti di un’unica suite, i pezzi fluiscono l’uno nell’altro alternando contaminazioni e colori: dagli echi pinkfloydiani dell’iniziale “Maila Mantra” allo straniante rockabilly à la Celentano di “Gioco con i maschi, gioco con le femmine”, passando per raga psichedelici come “Amor Vincit Omnia” (che potrebbe essere stato scritto dai Kula Shaker) oppure pezzi rock che pucciano i piedi nella scena alternative italiana degli anni Novanta (dagli Afterhours ai Marlene Kuntz) come “Droghe per il popolino”. Tutto il disco è un caleidoscopio di suoni e strumenti diversi: chitarra, basso, batteria, piano, xilofono, cetra, flauto, sax, synth, harmonium, field recordings presi chissà dove e tanto altro ancora.

Il tutto non si risolve mai nella pura e semplice operazione nostalgica: è piuttosto un confortevole bozzolo di buona musica che ascolto dopo ascolto suona sempre più amniotico e terapeutico. Un buon tramite per riappropriaci di un tempo privato da riassegnare completamente alla musica.
(guarda il video di “Due foglie)

“Collapsed in Sunbeams” di Arlo Parks

21 anni di età e uno dei dischi dell’anno in faretra: “Collapsed in Sunbeams” è l’esordio di Arlo Parks, classe 2000 da West London; la migliore messa in musica possibile di cosa significhi, oggi, essere nera e (giovane) donna nel melting-pot etno-culturale di Londra. Non necessariamente passando attraverso un’adolescenza difficile: pare che la ragazza viva con i genitori, con cui ha un ottimo rapporto. Piuttosto, si respirano la malinconia e i quotidiani problemi di un’adolescente calata in un mondo fluido e che cambia: piccole incomprensioni, le quattro mura di una cameretta, il dolore per la perdita di un amico (“Black Dog”).

Potrebbe essere la sonorizzazione di “We Are Who We Are” di Guadagnino questo disco, fatto di piccoli bozzetti a tinte pastello di black music. C’è l’hip hop e c’è il soul, ci sono sfoglie jazzate e spesso un sapore di Bristol, come nelle fosche nebbie trip-hop in “For Violet”, che quando inizia sembra di stare sentendo i Portishead. Ma non è tutto solo pioggia fuori e tristezza dentro, vedi “Too Good”: base boom-bap, scoppiettante chitarrina funky e melodia vocale che più pop non si potrebbe. E spesso e volentieri il tappeto musicale dei pezzi è di foggia pregiatissima: sentire i fiati di sfondo al singolone “Hurt” per credere. Insomma, bravissima.
(guarda il video di “Too Good”)

“Se ci Fosse la Luce Sarebbe Bellissimo” di Blak Saagan

“Se ci Fosse la Luce Sarebbe Bellissimo” è il secondo album di Blak Saagan, moniker del veneziano Samuele Gottardello. Parliamo di un disco ascrivibile al calderone dell’Italian Occult Psychedelia, tag che da una decina abbondante di anni va a indicare uno dei fermenti più fervidi e interessanti della musica italiana. È la fusione tra le colonne sonore di film italiani di genere degli anni Sessanta e Settanta (exploitation alla massima potenza tra polizieschi, cannibal movie, horror e chissà cos’altro) e musiche ancora più sotterranee; un ponte immaginario che va da Dario Argento a Ruggero Deodato, dai Kraftwerk e la kosmiche muzik fino agli Heroin in Tahiti.

Blak Saagan in questo nuovo lavoro si tuffa in pieno in una delle pagine più brutte e periodizzanti della storia italiana: gli Anni di Piombo e in particolare il rapimento di Aldo Moro. Siamo grossomodo sulla scia di Bologna Violenta altezza “Uno Bianca”, stavolta con meno polemiche. Attraverso droni, synth, scavi di library music e umori industrial siamo (ri)portati all’ansia di quei giorni. Ritmiche ossessive, bassi pulsanti di matrice wave (“Dentro la Prigione del Popolo”), pure e semplici spirali paranoidi (“L’Uomo Incappucciato”): traccia dopo traccia si compone la colonna sonora di un film immaginario che racconta sensazioni e atmosfere di quei 54 giorni. Difficile uscire indenni – ma terribilmente affascinati – da un ascolto del genere.
(guarda il video di “Scuola Hyperion”)

“Rhinestones” di HTRK

Secondo lavoro per la coppia australiana HTRK, che rispetto al precedente esordio “Venus in Leo” (del 2019) fa un enorme passo di lato e scarnifica tutto lo scarnificabile, parola d’ordine “minimalismo assoluto”. Una chitarra poco effettata e una voce femminile, pochissimo altro. 9 pezzi di sognante riduzionismo, elegante e melodicamente molto ispirato. È una eerie and gothic country music, per dirla con le parole dello stesso duo: e infatti la voce della Standish è sempre lontana, filtrata, quasi disumana ma al tempo stesso calda e malinconicamente sensuale. È insomma un country volutamente privato di qualsiasi tipo di rustichezza, ma che al tempo stesso resta a modo suo caldo e analogico grazie a strati di riverberi e a un incantevole intimismo dimesso.

Ci sono dentro i Mazzy Star e i Young Marble Giants (ma non gli XX, perché tutto tranne che di nostalgia passatista si può parlare in questo caso), il tutto permeato da un’eleganza che si palesa cortese in ogni traccia: vedi la conclusiva “Gilbert and George”, chili di riverberi e una timida drum machine; null’altro, eppure non manca nulla. È tutto contenuto già nei primi due brani in scaletta: “Kiss Kiss and Rhinestones”, brano manifesto che spicca su tutti, e la murder-ballad “Valentina”, che sembra uscita da un film di Vincent Gallo. Fare così bene con così poco non è mica da tutti.
(ascolta “Valentina
)

“LEGENDO” di Lutto Lento

Tra le uscite più croccanti di quest’anno merita sicuramente una menzione d’onore “LEGENDO”, secondo lavoro di Lutto Lento (pseudonimo del Producer e sound designer polacco Lubomir Grzelak). Si trova di tutto e di più nelle dodici tracce in scaletta, all’insegna di un’elettronica gioiosamente bastarda, esilarante nel suo essere imprevedibile e nel suo volersi contaminare con cose tra le più disparate.

Mortal Fools” suona come se Gold Panda realizzasse un pezzo per la OST di un capitolo di “Age of Empires”, “VERSION Epilogue” mischia hip hop, dancehall, suoni da iperrealismo in HD e paccottiglie orientaliste. Poi c’è la cattedratica magnificenza di “Skarby Sezamu”, tra ambient e arie cinematiche, seguita dal binomio post-industrial synth-batteria di “POND - Live” e dal lugubre crescendo tra chitarra elettrica, organo, batteria e synth di “Wheel”.

In tutto questo si arriva fino a “Horned Heart”, il pezzo cardine del disco: nove minuti in cui succede di tutto, da field recordings new age ad arpeggi di koto (la cetra tradizionale giapponese), ritmiche hip hop e muri di synth EDM. Cala il sipario sulla coda electro di “Fern Flowers”: facile uscirne tanto esaltati quanto frastornati ma è una confusione bella, di quelle che non sai cos’hai appena finito di ascoltare ma ne vorresti ancora.
(ascolta “Horned Heart”)

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