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Anatomia di Giovanni Lindo Ferretti, o del coraggio di fregarsene

Racconto. Sabato 25 settembre in concerto per Bergamo1000. Storia controversa e tutt’altro che imparziale di quello che è (forse) uno dei maggiori artisti italiani dell’ultimo trentennio

Lettura 8 min.
Giovanni Lindo Ferretti a Filagosto Festival, 4 agosto 2017 (Emanuele Biava)

Fu un anno fortunato per la musica estiva a Bergamo, il 2003. Vennero i Radiohead al Lazzaretto e agli spalti di Sant’Agostino Alan Stivell – per chi non lo sapesse, uno dei maggiori esponenti a livello mondiale dell’arpa celtica – e i PGR. Per Grazia Ricevuta, come il titolo del film di Nino Manfredi del 1971. Il nome che i CSI – Consorzio Suonatori Indipendenti, già in parte CCCP (questa, l’avrete capito, è una storia di sigle) si diedero a fronte dell’abbandono di Massimo Zamboni, dopo un litigio a Berlino durante la lavorazione di “Co.Dex”, che poi divenne il primo intrigante disco solista di Giovanni Lindo Ferretti (cui ci mise una gran mano l’elettronica Eraldo Bernocchi e gli interventi fondamentali del trobettista Toshinori Kondō).

Manfredi in quel nome c’entrava poco, piuttosto i reduci dall’esperienza CSI, cioè Giorgio Canali, Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Ginevra Di Marco e ovviamente Ferretti – giusto citarli, insieme a Zamboni hanno fatto un bel pezzo di storia del rock italiano – sembravano voler dire che erano ancora lì. Nonostante lo shock del primo posto in classifica imprevisto dei CSI con “Tabula rasa elettrificata”, i live nei palasport, il trauma dello stadio di Mostar (un concerto in uno stadio deserto) e la separazione dei due amici.

Spio nella notte

Ad un certo punto del concerto a Bergamo alcuni punkettoni rimasti sotto (cresta, giubbino di pelle, alcol in corpo) si avvicinarono al palco, cominciarono a battere sulle assi e a chiedere urlando i pezzi dei CCCP, non quella lenta tiritera elettronica dei primi due dischi dei PGR – per la cronaca, fu un concerto straordinario. Ferretti scese dallo sgabello su cui cantava insieme a Ginevra Di Marco, si avvicinò e chinandosi cantò loro in faccia alcuni versi di “Co.Dex”: “Spio nella notte ciò che si farà Aurora / Congegno baluardo di collera impotente / Timore dell’oscuro che specchia che riflette / Tenebra interiore / Spio nella notte ciò che si farà Aurora”.

A me questo episodio minimo è sempre rimasto impresso. Ero in prima fila, vedevo la scena da pochi metri, e pensai che in quel momento Ferretti avrebbe potuto prenderle (una sberla, uno sganassone). Invece i punkettoni rimasero fermi e buoni davanti a quel tipo che un tempo cantava canzoni filosovietiche e ora salmodiava davanti a loro come un eremita, o uno scampato all’Apocalisse. A pensarci bene quella era proprio una piccola apokálypsis, una rivelazione, di quello che era stato, era e sarebbe diventato in futuro Ferretti Lindo Giovanni: sempre all’insegna del coraggio di fregarsene.

Ma chi è Ferretti? Un cantante? Un asceta? Un eretico? Un furbacchione? Uno dei maggiori artisti italiani dell’ultimo trentennio ? Tutte queste cose insieme, direi. O forse Ferretti è semplicemente Ferretti, prendere o lasciare.

L’uomo – che il 25 settembre sarà con il suo tour solista a Bergamo1000 in piazza degli Alpini (biglietti qui, se ancora ce ne sono) – negli ultimi anni è stato un personaggio parecchio controverso. In altre parole, il pubblico non l’ha capito, o meglio non l’ha accettato. Una parte del pubblico. Perché un’altra lo segue ancora, a volte storcendo un po’ il naso (come quando è andato ad “Atreju” dalla Meloni), a volte adorandolo all’eccesso. In concerto fa qualche pezzo dei CCCP, qualcuno dei CSI, salta a piè pari i PGR, ci infila qualche brano solista dal già citato “Co.Dex” e da “Saga. Il Canto dei Canti” (2013), il disco incentrato su “Opera Equestre”, lo spettacolo ideato dal nostro con protagonisti i cavalli che allevava nel suo maneggio.

Annarella

Inquadrare la figura di Ferretti non è facile. E per me la triade CCCP-CSI-PGR è sempre stata un riferimento (musicale, culturale, umano: “scegliersi la parte lungo la Linea Gotica”, giusto per dirne una). Tanto che un paio di anni fa, trovandomi a Reggio Emilia, mi capitò di passare davanti all’erboristeria di Annarella Giudici, la “benemerita soubrette” dei CCCP: la riconobbi subito, ma non ebbi il coraggio di entrare a comprare, chessò, il karkadè. Guardai invece attraverso la vetrina, ed ero già entusiasta così, l’avevo visto per la prima volta (negli anni ’80 ero troppo piccolo) e fu come un’epifania.

Questo per farvi capire quante volte le canzoni di cui Ferretti era la voce (insieme a Ginevra Di Marco dai CSI fino ad un certo punto del percorso dei PGR) e l’autore dei testi (prima con Zamboni, poi senza) mi hanno portato a riflettere, e con me tanta altra gente. Perlomeno quella che non lo ha mollato. Ho letto due dei quattro libri che ha pubblicato, “Reduce” (buono), “Bella gente d’Appennino” (di mestiere) e qui mi sono fermato: il terzo, “Barbaro”, l’ho evitato; il quarto “Non Invano”, uscito l’anno scorso, l’ho scoperto adesso che sto scrivendo. Ho anche comprato “Saga” (che mi è sembrata la colonna sonora di uno spettacolo tipo Gardaland), “A cuor contento” (il disco del tour, prescindibile) e “Bella gente d’Appennino. Di madri e di famiglie”, magnifico, in cui il nostro canta il “Te deum” come se fosse accompagnato dai Sonic Youth (prende queste parole, frutto della mia esaltazione del momento, con le dovute pinze).

Un ferrettiano scettico

Oggi sono un ferrettiano scettico, avendo visto di questo concerto, che si intitola “A cuor contento”, diverse date, alcune loffie e altre straordinarie. Il discrimine fra i due poli è sempre lui, Ferretti, che un po’ si guadagna la pagnotta e un po’ brucia del suo stesso fuoco. Spero in un disco nuovo e in un’inevitabile nuova ridda di polemiche di quelli che negli Ottanta e nei Novanta c’erano. Ma intanto continuo a pensare chi sia quest’uomo e ora vi racconto le conclusioni (incomplete) che ne ho tratto fino ad oggi.

Per tracciare una fenomenologia alla buona di Ferretti partirei da una parola strausata: punk. Ferretti negli anni Ottanta era punk? Sì. E per certi versi lo è rimasto. Ma cosa intendo per punk? Intendo che se il mondo va da una parte, Ferretti va dall’altra. Vi faccio due esempi, che però non spiegano tutto il personaggio, ma qualcosa lasciano intravedere.

Uno: in piena Guerra fredda l’Italia è saldamente atlantista, i CCCP cantano canzoni filosovietiche e recuperano le radici musicali dell’Emilia, mentre il popolo balla il “Gioca Jouer”, “Vamos a la playa”, “Luna”, “Maracaibo” e via dicendo.

Due: in anni più recenti, dove la crisi valoriale del cattolicesimo è evidente nella società (lo ha detto anche il Papa), Ferretti si dichiara cattolico in modo eclatante (ma non lo era già in “Canzoni preghiere danze del II millennio - Sezione Europa”, il disco dei CCCP con “Madre”? Chi lo conosce dice di sì). Sta di fatto che recupera la tradizione musical-religiosa dell’Appennino tosco-emiliano con Ambrogio Sparagna nel bellissimo spettacolo (e disco) “Litania” (passato anche da Gandino). Unisce canzoni dei CCCP e dei CSI come a dire sono sempre stato così e inneggia al conservatore Benedetto XVI, portandosi una foto del Papa ben in vista al pubblico nello spettacolo (altrettanto bello, ma mai messo su disco) “Falciati e martellati. Requiem per una civiltà”.

Ferretti non è un capo politico

Giovanni Lindo è troppo intelligente per non sapere chi ha davanti. Un pubblico che in larghissimma parte è di sinistra (e lui va ad Atreyu), è filo-palestinese (e in “Reduce” spende parole di appoggio totale ad Israele) e anti-berlusconiano (e lui strizza l’occhio al Ferrara pro-vita dei primi anni Zero, ma canta anche “maledirai la Fininvest / maledirai i credits cards” in “Maciste contro tutti”, 1990).

Durante la presentazione e il tour del disco dei PGR “D’anime e d’animali” Ferretti stesso si dichiara “orfano di sinistra”: “vuol dire che una famiglia, geneticopolitica, l’avevo. Che non l’abbia più, l’ho vista morire, l’ho sepolta, non significa che sono disponibile al farmi adottare. Ho superato la fase del lutto e del cordoglio, mi tengo disponibile, se il caso, per il pianto rituale”. Dice così ma è anche questa orfanità che ha tenuto alta l’attenzione del pubblico, con alterna visibilità, dal 1982 ad oggi: il pubblico – quello che è rimasto e quello che se n’è andato sbattendo la porta – cerca un riferimento post-comunista in un mondo che sembra andare in tutt’altra direzione, mentre la sinistra (o quel che ne è rimasto fra centro-sinistra con o senza trattino) non riesce a tenere il passo. Allora la risposta è Ferretti, la nostalgia di cosa furono i CCCP e i CSI resistenziali. Ma è una nostalgia sbagliata. È un grandissimo fraintendimento. Ferretti non è un capo politico. Rabbrividirei a trovarlo in Parlamento (ma qualcuno glielo ha chiesto di candidarsi).

Certo, non possiamo risolvere la “questione Ferretti” con la triade punk-orfanità-nostalgia. C’è altro, c’è quell’incredibile magnetico carisma, il corpo quasi scheletrico da sopravvissuto, la voce ieratica che richiama la musica popolare quanto quella religiosa. Quello di Ferretti è un canto inimitabile (chi ci prova a fargli il verso paga pegno), sempre verticale, una salmodia scabra che innalza e trafigge. E poi le parole, incisive, graffianti, straordinariamente lucide o parzialmente fuori strada, ma sempre portatrici di riflessione.

Dopo il singolo “Ortodossia” (1984), gli ep “Ortodossia II” e “Compagni, cittadini, fratelli, partigiani” (entrambi 1985), il primo disco lungo dei CCCP, “1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi - Del conseguimento della maggiore età” (1986), è quello di “Curami”, “Mi ami?”, “Trafitto” (“Trafitto sono / Trapassato dal futuro / Cerco una persona, cerco una persona / Fragili desideri, fragili desideri, fragili desideri / A volte indispensabili a volte no”), “Morire” (“La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere / La morte è insopportabile per chi non deve vivere / […] / Produci, consuma, crepa / Sbattiti, fatti, crepa”) e potremmo continuare coi dischi successivi. Sino a “Epica Etica Etnica Pathos”, l’ultimo dei CCCP, quello della foto di Luigi Ghirri in copertina, con la già citata “Maciste contro tutti”, “Aghia Sophia” (“Tedio domenicale: quanta droga consuma / Tedio domenicale: quanti amori frantuma / Tedio domenicale, eeh”), “Depressione caspica” (“la libertà una forma di disciplina”) e “Annarella”. La somma di tutto questo è il racconto sentimentale de l’“Emilia paranoica”, il crash esistenziale di tutta la profonda provincia italiana, le tv private, l’eroina, il nichilismo.

“Trasformami in megafono”

Potremmo continuare il gioco con i tre dischi dei CSI e i tre dei PGR, ma lasciamo scoprire a chi non li conosce canzoni come “A tratti”, “Linea Gotica”, “Cupe vampe” (“Ci fotte la guerra che armi non ha / Ci fotte la pace che ammazza qua e là / Ci fottono i preti, i pope, i mullah / L’ONU, la NATO, la civiltà” e la guerra nell’ex-Jugoslavia a pochi chilometri), “Unità di Produzione”, e poi “Montesole”, “Come bambino” (“Tendo la fionda ai lampioni che s’oppongono alla luna / Miro i prepotenti e i coglioni / Tiro alle ombre che intralciano la fortuna”), “Casi difficili” (“curare sevizie di schiavi viola l’umanità / se non si fa la guerra a schiavisti e schiavitù / almeno si sostiene chi, a proprio rischio, la fa” canta nel pieno dei conflitti in Afghanistan e Iraq), “Divenire”, “Cronaca montana”, “Cronaca del ritorno” etc (vengono i brividi nel pensare a tutta questa montagna di parole perturbanti e veritative).

Isoliamo però due manciate di versi presi da questi dischi, che dicono ancora qualcosa di Giovanni Lindo Ferretti, forse qualcosa di fondamentale. “Non fare di me un idolo mi brucerò, / Se divento un megafono m’incepperò, / Cosa fare non fare non lo so, / Quando dove perché riguarda solo me, / Io so solo che tutto va ma non va, / Non va, non va, non va, non va...” da “A tratti”, disco “Ko de mondo” (1994), una dichiarazione di indipendenza e di non-rappresentatività che più chiara di così non si può. E poi “noto una qualcerta difficoltà difficoltà nel procedere // la luce della ragione illumina le tenebre / sono pur sempre tenebre / pur sempre tenebre” da “Cronaca di Guerra”, disco “Ultime notizie di cronaca” (2009), attraversato da un antimodernismo che cerca una verità ulteriore, raccontando in modo sarcastico un presente privo di sacro.

Giovanni Lindo Ferretti si è fatto sentire anche durante il lockdown, calcando ancora di più il suo antimodernismo con l’instant-song “Ora”, di neanche tre minuti: “non il tempo perduto / il tempo ritrovato / un tempo sconosciuto / stagnante nel regno dell’accelerazione / irrompe in streaming / senza consolazione / connessi tracciabili asettici / comunichiamo solitudini / moleste e sovraesposte”. Per qualcuno è stato un lampo di lucidità straordinariamente necessario; per altri lo sfogo trinariciuto di un vecchio barbogio che guarda e giudica il mondo dal pulpito di Cerreto Alpi, dove vive.

Tuttavia è questo l’uomo: tutto il punk, l’orfanità, la nostalgia, il carisma, l’antimodernismo e le parole arriveranno sabato a Bergamo. Anche se, purtroppo e per fortuna, “Amarti mi affatica”. Ci vediamo, Giovanni.