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#bergamaschidalmondo: Dudù Kouate, l’Africation orobica di un musicista transcontinentale

Racconto. Un viaggio lungo più di trent’anni lo ha portato ad essere uno dei fieri rappresentanti del jazz bergamasco in giro per il globo. Ma anche un mediatore museale di successo. Il tutto partendo dal Senegal sul finire degli anni Ottanta e costruendo un mondo musicale a cui, inizialmente, non aveva pensato

Lettura 4 min.

Ormai i viaggi fra Italia e Senegal sono una costante della vita di Dudù Kouate, insieme a quelli in giro per il globo, al seguito dell’Art Ensemble of Chicago, formazione storica del jazz mondiale attiva fin dal lontano 1969, di cui Dudù fa parte da tre anni. Dentro l’ensemble Dudù ha portato il suo stile e la sua storia: un traguardo prestigioso, una convocazione che ha aperto un nuovo importante capitolo della sua esperienza musicale, una passione vera e profonda diventata realtà in maniera quasi inaspettata.

In questi giorni Dudù è a casa come tutti, sta studiando e costruendo strumenti musicali, in attesa del “dopo” perché, sottolinea: “Ci sarà un dopo in cui potremmo usare tutto ciò che abbiamo sperimentato e imparato ora”. A Bergamo è tornato il nove marzo, quando è riuscito a partire “da casa”, l’altra, quella in Senegal, prima del blocco dei voli: “Per fortuna sono riuscito a rientrare perché qui ci sono le mie figlie, però se ci penso negli anni il concetto di casa è sempre più difficile da spiegare. Quale casa poi? È un dilemma, perché quando sono a Bergamo voglio tornare a casa, quando sono in Senegal voglio tornare a casa. Quando parto in tournée parto sempre da Bergamo e poi torno a casa, qui”.

Forse adesso, con la consapevolezza che ho, non sarei nemmeno partito dal Senegal – ammette – avrei provato a costruire qualcosa là; anche se non avrei mai potuto avere la stessa possibilità di sperimentare che ho avuto stando in Europa”. Insomma se Dudù non fosse partito sicuramente oggi non sarebbe il musicista che è.

Il primo appuntamento con questa incredibile storia di vita Dudù lo ha centrato a Messina, nel 1989, all’età di 25 anni, quando tutto è cambiato davvero. Il piano del giovane senegalese Dudù Kouate era chiaro: studiava inglese e voleva arrivare in Gran Bretagna, dove magari sarebbe riuscito a trovare lavoro come guida turistica, seguendo l’esempio di ciò che già faceva in Senegal. “Un giovane è generalmente animato dalla voglia di andarsene – spiega – e il mito dell’Europa, direttamente o indirettamente, affligge tutti i ragazzi che vivono in Paesi con poche opportunità. Inizi a costruirti un film nella tua testa, ma col senno di poi capisci che non è così”.

Infatti il film si arresta relativamente presto. In Belgio e Francia non si riesce a studiare senza documenti e non è così semplice ottenerli. Nemmeno in Italia, ma in Sicilia Dudù ha quantomeno una parente, che gli può dare un aiuto per qualche giorno, per capire come fare. Dall’ombra del Big Ben a Messina, con un’unica possibilità da cogliere per chi non ha i documenti: fare il vu cumprà.

Non mi piaceva, ma ho superato l’orgoglio e l’ho fatto, per sei mesi, con un obiettivo ben preciso in mente, imparare la lingua il più velocemente possibile”.
Passato quel periodo, grazie all’italiano appreso nel frattempo, il destino comincia a svelare le sue carte. Nella calda Sicilia il giovane senegalese conosce uno dei gruppi di world music più famosi del periodo: il Kunsertu. Dudù racconta: “Il Kunsertu ha fatto di me quello che sono. Le percussioni erano dentro di me e ho tirato fuori dal mio scrigno culturale ciò che sapevo”. Il nostro lo definisce senza mezzi termini un “percorso privilegiato”, svolto in una band di world music durante il periodo d’oro del genere in Italia. In questo gruppo – che raccoglieva musicisti di provenienza diversa lui – era la componente africana e con loro è stato in tour per un anno, poi tutto è cambiato di nuovo.

È arrivato il permesso di soggiorno e anche se non ho lasciato subito la band il mio obiettivo era andare dove c’era lavoro. Così sono stato prima a Brescia e poi a Bergamo”. All’ombra delle mura di Città Alta arriva l’autonomia: un lavoro fisso, la casa, dei progetti. “Qui ho creato anche il mio primo gruppo, si chiamava Bataaxal che nella mia lingua d’origine significa ‘il messaggio’, con musicisti italiani e africani; poi mi sono messo a studiare seriamente la musica – racconta – All’inizio infatti suonavo secondo il mio bagaglio, che era comunque un insieme di cultura orale, ma dopo qualche anno chiedevo sempre di più, perché la voglia di fare, la passione mi ha dato il bisogno di capire cosa stessi facendo. Lo studio del solfeggio ritmico mi ha aperto la mente e mi ha fatto capire meglio ciò che suonavo allora”.

All’inizio la musica era la mia passione, anche perché non potevo dire ai miei genitori che me ne ero andato per fare il musicista! (ride, ndr) Inoltre vivendo in questo contesto avevo capito che il lavoro di musicista non era riconosciuto” racconta Dudù, che nella Bergamo che produce aveva intuito come “l’arte” non venga esattamente considerata qualcosa con cui sia lecito mantenersi. “Sono io il forestiero, e mi adatto a ciò che offre la città che scelgo, anche se questo significa accettare lavori al di sotto delle mie competenze. Nel frattempo, però, ho sempre portato avanti le mie vite parallele, la musica e l’attività di mediatore culturale”.

Oggi infatti Dudù è esattamente questo: un musicista affermato e un mediatore museale certificato, attivo su entrambi i fronti ad alti livelli.
Nella musica la sua scelta, durante tutti gli anni Novanta e a seguire, è stata quella di non cedere alla passione per i suoni elettronici e alle mode in generale, continuando la sua personale ricerca sul suono “naturale”, sia esso della giungla o urbano, non importa. Un sound ricercato a tal punto da costruire i propri strumenti per poterlo riprodurre. Il suo ultimo album, “Africation”, è uscito nel dicembre 2019 e i progetti attivi sono tantissimi, con collaborazioni a tutti i livelli.

La mia passione è diventata il mio lavoro e questo è stata la cosa più bella in assoluto – commenta – e ho avuto la fortuna di viverlo due volte, con la musica e attraverso la mediazione culturale”.
Fin dai primi anni Novanta Dudù entra nelle scuole elementari per raccontare la sua esperienza ai bambini, salvo poi impegnarsi anche lì in una formazione d’eccellenza che lo ha reso un mediatore museale professionista. Ogni anno conduce master dedicati all’Università Cattolica, alla Bicocca e all’Accademia di Brera. “Per me educare al patrimonio in chiave culturale è fantastico. In questo ambito ho tirato fuori il meglio di me e sono molto orgoglioso, sia per ciò che condivido con gli altri che come crescita personale – e aggiunge – ho avuto la fortuna di conoscere la tradizione bergamasca in maniera privilegiata e di scoprire come tutti i popoli abbiano degli elementi tradizionali comuni. Questo superamento delle barriere permette di creare ponti reali, di vedere veramente le persone e la loro cultura”. Poi conclude: “Vengo da un altro continente, ma la cosa che mi fa più piacere di tutte è di poter rappresentare Bergamo nel mondo”. Duduù Kouate, bergamasco d’Africa che suona il battito del pianeta.

Sito Dudù Kouate

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