93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Carlo Pinchetti e Montmasson: viva il cantautorato (in) italiano

Intervista. Una chiacchierata a tre in chat con i due songwriters bergamaschi: i loro splendidi dischi, fare concerti oggi, la scena bergamasca e la situazione generale

Lettura 9 min.
Carlo Pinchetti e Daniele Nava

Qualche mese fa Carlo Pinchetti (da qui in poi CP) ha pubblicato Una meravigliosa bugia, il suo primo disco da cantautore che vede la partecipazione dell’ex Perturbazione Gigi Giancursi. Qualche settimana dopo Daniele Nava aka Montmasson (MO) ha dato alle stampe “Un’eredità”, disco nato dopo la fine dell’esperienza Mircanto. Sono due lavori tanto belli quanto differenti, che meritavano entrambi un approfondimento in quella che non è proprio un’intervista, ma una chiacchierata a tre su Skype, dove si è parlato anche di Paul Westerberg, Claudio Lolli, Wilco e tanto altro.

LB Ciao a entrambi, ci siete?

CP Yes.

MO Io ci sono.

CP Buongiorno ragazzi.

LB Ok iniziamo. Spiego cosa faremo: sarà un’intervista a tre, partendo da una mia domanda, siete liberi di rispondere, dire cose sul vostro disco, su quello dell’altro e a vostra volta fare domande. È un esperimento, vediamo come viene.

MO Vediamo ok.

CP Proviamo!

Nomi (e cognomi)

LB Prima domanda. Carlo ha scelto di chiamarsi come un ragioniere (rag. Carlo Pinchetti non è male); Daniele invece è diventato Montmasson. Spiegate un po’.

CP Hahahhaha! Io non ho molto da spiegare in realtà. È una vita che invento nomi per le 100 band che ho avuto, questa volta non ne avevo bisogno. Però un po’ invidio la scelta di Daniele, in fin dei conti non è male nascondersi sempre un po’. Peraltro sono curioso anch’io di conoscere l’origine di Montmasson.

MO Io forse provenendo da un gruppo, i Mircanto, che era innanzitutto un trio di amici, avevo bisogno di un’identità nuova, anche se il mio nome non mi dispiaceva. Montmasson è il cognome dell’unica donna accertata che partecipò alla spedizione dei Mille (tra l’altro amante di Crispi, l’ho studiato sui libri di storia alle medie). Ho visto questo cognome su una tomba abbastanza anonima al cimitero del Verano a Roma e mi è rimasto cucito addosso. Tra l’altro Daniele Nava è anche un politico di Lecco.

CP Purtroppo so bene di Daniele Nava... Quello di Lecco intendo, che chiameremo quello finto.

LB Spesso c’è una logica di marketing nella scelta del nome, penso ai tantissimi cantautori che di recente hanno usato solo il loro cognome per essere più immediati e anche un po’ per moda (quindi voi sareste Pinchetti e Nava). Oppure ai songwriters e alle band che usano cognomi altrui, come omaggi di cui forse non c’era bisogno (Endrigo, Calvino). C’è questa logica nei vostri nomi? Credete vi possano aiutare su Spotify?

CP No, mi sarei chiamato Pinchetty altrimenti. Se Paul Westerberg e Evan Dando hanno fatto questa scelta, chi sono io per fare il complicato?

MO Lasciando stare Mariella Nava, ho visto recentemente che c’è un altro progetto che si fa chiamare NAVA (l’ho letto su Blow Up ma non so di cosa si tratti). Ho preferito darmi un nome, ma non l’ho cercato come nome di marketing, se non avessi trovato qualcosa che mi soddisfacesse sarei rimasto col mio nome da politico lecchese. Comunque Endrigo e Calvino erano già presi. Calvino è... un omaggio a Italo da parte di un certo Lavelli. Ci avevo suonato insieme una volta. È lui giusto?

CP Ma Calvino è il mio amico Giulio? Degli Hot Gossip?

CP Ah ok, perché ho visto che anche Giulio ha pubblicato qualcosa a nome Calvino.

MO E così sono tre. I Calvino dico.

LB Confermo: su Spotify ce ne sono tre. Uno canta in italiano, uno in inglese, uno ha fatto un solo pezzo. Però i vostri nomi rappresentano bene voi e il disco che avete fatto: molto sincero e “ruspante” al limite del low-fi quello di Carlo (come a dire “questo sono io”); elegante ed evocativo come le sue canzoni quello di Daniele.

Discoteche

LB Mi dite ora 3 nomi che hanno influenzato i vostri dischi?

MO E qui devo alzarmi per consultare la mia discoteca.

LB Prendi il monopattino che fai prima. E quando torni avvisaci…

CP Due sono già lì sopra ehehehe! Paul Westerberg e Evan Dando. E poi ci aggiungo Elliott Smith, più per il mood e l’attitudine DIY. Quelli di Daniele te li dico io: Battiato, Benvegnù, Kozelek.

MO Riccardo Sinigallia, Ivano Fossati, gli ultimi dischi di David Crosby, ma vanno benissimo anche quelli che ha detto Carlo, erano tra i papabili.

LB È tornato!

MO Ho ascoltato molto i Red House Painters. E dico cosa sento nel disco di Carlo.

CP È cosa buona e giusta.

MO In metà delle recensioni che leggo di qualsiasi nuova proposta cosiddetta indie vedo sempre riferimenti a Vasco Brondi e Iosonouncane, ma io ho associato addirittura al disco di Carlo un disco di Claudio Lolli che si chiama “Un uomo in crisi”. Insomma, gli esordi di Lolli.

LB Io in quello di Carlo sento Guccini e Westerberg, in quello di Daniele Fabi e gli Wilco, quelli di “A ghost is born”.

MO Lo hai detto anche nella videorecensione che mi hai fatto al disco: “Niccolò Fabi, che a lui piace molto”. In effetti sono due artisti che ho visto più volte dal vivo perché mi lasciano sempre tanto.

CP Questa è una figata, perché io non ho mai ascoltato nessuno dei tre. Non per scelta, ma per le causalità della vita. Questo ci dimostra come sia tutto magnificamente soggettivo. Ad ogni modo vado subito ad ascoltare Lolli. Grazie!

MO E io Westerberg. Mi sono portato a casa un ascolto nuovo anch’io. Grazie!

CP Comunque Fabi certamente, Wilco non saprei. Ieri dopo aver riascoltato Montmasson ho messo un vecchio CD di “Being There” (un disco degli Wilco, ndr) per l’appunto. Li ho trovati abbastanza distanti, per intenzione e suoni.

MO E hai ragione sugli Wilco. Forse gli ultimi, meno country, meno americana. Però me li porto nel cuore lo stesso, e anche sulle magliette!

CP Hai letto l’autobiografia di Jeff Tweedy?

MO Non ancora. Potrebbe essere una lettura estiva. “A ghost is born” ha proprio dei suoni – soprattutto la chitarra di Nels Cline che adoro – che ho voluto anche solo evocare nei discorsi in saletta con il buon Alessandro Adelio Rossi, che ci tengo a dire che è stato fondamentale in questo disco.

CP Te lo consiglio, davvero una lettura illuminante. Soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra compagni di band. A partire dal mitico Jay Farrar. Sintetizza molto bene come, in fin dei conti, le band non possono che essere un microcosmo disfunzionale.

Essere “fuori moda”. E fregarsene

LB Ok, domanda difficile: perché avete fatto un disco?

CP Perché fare canzoni è quello che faccio quando sto mediamente bene. È una cosa naturale, mi appaga. Se sto male no, non faccio canzoni. La musica non può nulla contro la vera sofferenza.

MO Perché me l’hai chiesto tu (dopo aver ascoltato i provini qualche anno fa, ho insistito molto con Daniele affinché facesse un disco, ndr). No, a parte gli scherzi avevo delle canzoni, scritte con una certa lentezza che mi contraddistingue, che ai pochi a cui le feci sentire piacquero molto di più rispetto alle cose vecchie che avevo scritto. Inoltre notai un buon filo conduttore, un discorso che le accomunava e avevo bisogno di fissarle, in un periodo di cambiamenti nella mia sfera personale. È curioso quello che dici, Carlo. Molti scrivono quando soffrono, ma io penso che tu abbia ragione, il dolore vero non ti permette altro movimento, almeno all’inizio. Quando stai bene rielabori, magari con la musica.

CP Esattamente! Rielabori dopo, e ne parli, quando ne sei “uscito”. Io credo che alla nostra veneranda età, appurato che nessuno al momento sta aspettando le mie canzoni o quelle di Daniele, se lo facciamo ancora, è innanzitutto per noi stessi.

MO Comunque se vuoi ci proviamo a fare un tormentone estivo insieme. Sai lo spagnolo?

CP Le parole che servono le sappiamo entrambi.

LB Ma non vi preoccupa essere un po’ “fuori moda”?

CP C’è qualcosa di più bello? Senza citare la solita frase di Wilde sulla moda, che tutti conosciamo, direi che proprio non mi interessa. Come dicevano i Gaslight Anthem: “I still love Tom Petty songs And driving old men crazy”.

MO Non so se riflettere su sé stessi e sulla società sia “fuori moda”. Penso sia la cosa più attuale che si possa fare. Magari musicalmente siamo entrambi più ancorati alle nostre origini e non ci poniamo troppi problemi, ci bastano chitarra e volendo la classica band, però è quello che sappiamo fare, che possiamo fare.

CP L’importante secondo me è non diventare dei vecchi tromboni, che la trap fa schifo, etc... c’è spazio per tutti e i giovani ascoltino quello che li emoziona.

MO Giusto, c’è del buono in ogni contesto musicale, dai giovani modaioli ai vecchi da finale di carriera.

LB Però c’è poco spazio per proposte come le vostre, nonostante l’alta qualità indiscutibile, no?

CP Pochissimo, ma è così da sempre. Quindi tanto vale accettarlo. Potrei partire col mio cavallo di battaglia sull’involuzione del significato della parola “indie”, ma senza una birra davanti sarebbe troppo pesante.

MO Grazie per l’alta qualità. Io parto dicendo che pur impegnandomi molto non sono un venditore di me stesso così abile. Detto questo il discorso è molto più ampio. La musica ormai è diventata tangenziale alle nostre vite, più ascoltata nei parcheggi dei centri commerciali che nelle case, quindi o ci arrovelliamo a cercare il capo del filo oppure accettiamo il dato di fatto e continuiamo liberamente ad esprimerci, ognuno con il proprio linguaggio.

CP Esatto, l’unico vantaggio del non dover campare di musica è che puoi evitare di preoccuparti dell’aspetto commerciale

MO Aggiungo che questa parcellizzazione della società ha toccato un po’ anche i musicisti, anche quelli indie, dato che rispetto ad anni fa c’è meno condivisione, meno collaborazione, ma devo dire che quest’intervista è un esempio molto positivo!

Un pregio e un difetto

LB Un pregio e un difetto del disco dell’altro. Lo so, è difficile.

CP Dannato.

MO Io conosco benissimo i miei di difetti ... è proprio difficile trovarli in un disco che ho davvero apprezzato. Carlo ha utilizzato così pochi strumenti pur dando l’idea di un arrangiamento completo, compatto, definito, e questo è forse il pregio più grande. Il difetto potrebbe essere l’utilizzo costante della chitarra acustica come accompagnamento? Non me ne volere, sto arrampicandomi sugli specchi.

CP Allora sui pregi è molto facile, nel senso che la ricerca testuale è molto molto valida, c’è profondità, cura, attenzione. Ogni parola è curata, e il disco nell’insieme scorre come un unicum, non è un insieme di pezzi incollati per fare un disco. C’è un chiaro discorso sonoro definito e portato a termine, il che è un gran merito. Non voglio parlare di difetti, posso dirti quello che recepisco con i miei filtri, attraverso il mio soggettivo velo di Maya: magari avrei fatto delle scelte diverse in fase di mix e nel lavoro sul alcune melodie, per uscire un pochino dall’orbita molto italiana cui il disco fa riferimento. Ma non è un difetto, è solo il mio gusto e come tale non ha alcun valore!

MO Grazie per i consigli.

Scena bergamasca

LB Secondo voi esiste una scena bergamasca? C’è tantissima gente che suona, pochissima è consapevole di quel che fa, del contesto in cui si muove.

CP Io la sto scoprendo solo ora, grazie a Gasterecords. Prima vedevo tutto molto frammentato, c’è poca disponibilità a supportarsi, io per primo per tanto tempo sono rimasto sulle mie, sbagliando. Però situazioni come Ink Club e Clamore danno speranza.

MO La scena vera e propria non c’è, perché manca un po’ di condivisione di intenti, di frequentazione e scambio, che forse qualche anno fa c’erano. Ricordo la volontà di alcuni cantautori e gruppi di una decina di anni fa di mettersi insieme, nei modi più disparati. Detto questo magari ci sarà una realtà più viva e fresca tra i ventenni, ma io purtroppo non la conosco. Copio quello che dice Carlo sull’Ink Club. Purtroppo sono molto pochi i luoghi di musica e senza luoghi di musica la musica non gira.

LB A differenza di altre province ci sono i luoghi (Ink, Edoné, Polaresco), ci sono le band, anche quelle che sono riuscite a uscire massicciamente dalla cerchia di Bergamo (penso ai Verdena, a Le Capre a Sonagli, ai Vanarin, ai Pinguini Tattici Nucleari). Quel che manca è una rete, ognuno pensa a sé nonostante le potenzialità siano altissime.

MO Siamo certi che i nomi che hai fatto, eccetto Verdena e Pinguini davvero riescano ad uscire dalla provincia?

LB Sì, Carlo. Capre e Vanarin hanno fatto 2 tour italiani.

MO Però a pensarci bene questo individualismo non è solo nella musica, è proprio una caratteristica del nostro tempo.

LB È quello che penso. Io credo che sarebbe importante tornare a rassegne, festival, circoli, ma è importante che ci credano tanto i musicisti (che è già un primo passo) quanto le amministrazioni locali o gli sponsor. Penso a quello che è stato Neverland nel Castello di Solza negli anni 2000, una rassegna formativa, per band, cantautori e spettatori.

CP Ok ma tour italiani li facciamo anche io e Daniele se non abbiamo bisogno di guadagnarci. Intendo dire, siamo certi che qualcuno a Roma avesse voglia di vedere i Vanarin? Non sto dicendo che non siano bravi. Sto dicendo che non è un prodotto che regge senza l’agenzia che spinge, non si autoalimenta.

LB Hanno un’agenzia che li porta in giro, come l’avevano le Capre. Poi non so dirti com’è andata a Roma perché non c’ero. Però qualcuno ha investito su di loro.

CP Appunto, quello che intendo dire è: se Verdena e Pinguini fanno uscire qualcosa, tutta Italia se ne interessa, a prescindere da etichette e agenzie. Lo stesso non funziona per gli altri nomi, che senza agenzia non hanno la stessa forza.

MO Per i Pinguini c’è l’ancora oggi fondamentale passaggio sanremese.

Una comunità istantanea

LB Ho capito cosa intendi. Cambiando discorso, ho assistito a due vostri concerti ad Ink Club (tu Carlo con Gigi Giancursi, ciascuno con la propria chitarra acustica) e c’era un’atmosfera di intimità particolare, quasi una comunità istantanea di persone che credono nelle cose fatte bene, nella bellezza... cosa ne pensate?

CP Vero! Gli appassionati esistono per fortuna, e li amo tutti, uno per uno!

MO I locali piccoli dove ti ascoltano guardandoti negli occhi sono i più belli, ma anche i più rischiosi, ma se dici che l’intimità, l’empatia, c’erano, allora vuol dire che abbiamo comunicato nel modo giusto.

LB Sì, lo avete fatto. Forse è questa la strada o forse sto raccontando solo un’illusione, in ogni caso voi avete pubblicato dei grandi dischi e questo conta, anche per i discorsi che abbiamo fatto. Tra l’altro è un’ora e mezza che parliamo, quindi se siete d’accordo con questa ultima considerazione la chiuderei qui. Grazie di aver partecipato a questo piccolo esperimento.

CP Grazie, a presto, ciao!

MO Grazie a te Luca. E grazie a Carlo. Io mi porto a casa dei buoni consigli (libri e dischi) e prometto di essere presente al prossimo concerto di Carlo. Ciao!

Pagina Facebook di Carlo Pinchetti

Pagina Facebook di Montmasson