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#cult: l’intensità rotonda degli “Oggetti smarriti” dei Lowinsky

Intervista. Il primo disco sulla lunga distanza del trio è un gioiellino fatto di canzoni fra l’indie-rock e il power-pop chitarristico tutt’altro che rivoluzionario ma ad alto gradiente emozionale. Release party sabato 22 febbraio all’Edoné con i Minnie’s per Gattotoro

Lettura 4 min.

Oggetti smarriti” uscirà sabato 22 febbraio su tutte le piattaforme, lo stesso giorno verrà presentato a Edoné. Oggi i Lowinsky sono Carlo Pinchetti (voce, chitarra e autore dei brani), Andrea Melesi (batteria) e Davide Tassetti (basso, che ha sostituito Daniele Torri). Carlo ha risposto alle mie domande.

LB: Il primo singolo “Bandiera”, pur essendo una canzone molto bella, non è il pezzo più catchy del disco.

CP: È difficilissimo scegliere il primo singolo di un disco e devo dire che tra noi tre, Giacomo (il nostro produttore), e Emanuela (la nostra manager), ci abbiamo riflettuto parecchio e siamo partiti da un’unica certezza: il disco si costituisce sostanzialmente di due “anime”, quella più acustica e quella più elettrica, più “alt-rock”. Dovendo scegliere due singoli, abbiamo guardato prima all’una e poi all’altra. Tra quelle acustiche “Bandiera” ci sembrava il pezzo più pop, forte di un testo che, seppur triste, parla di amore, e quindi forse più adatto a catturare l’attenzione di un maggior numero di persone, rispetto a “L’ennemi” o “Vertigine”, ad esempio.

LB: La seconda canzone che avete fatto uscire, “Seppuku”, racconta i pensieri di un’aspirante suicida prima di compiere il gesto.

CP: “Seppuku” è un pezzo liberamente ispirato ad un reale fatto di cronaca che mi ha particolarmente segnato. Ho provato ad immedesimarmi nella mente di una persona disperata, al capolinea, che in un flusso di coscienza confuso mischia rivendicazioni, accuse e forti sensi di colpa, in un magma che di fatto gli impedisce di distinguere la realtà dalla distorsione dei sensi. Volevo provare a rimarcare l’irrazionalità che può spingere ad un atto così estremo, spesso superficialmente percepito come una scelta ragionata e maturata, frutto di una lunga riflessione, e non come il prodotto della confusione mal consigliata dalla solitudine.

LB:Io non credo più in me, non credo neanche che migliorerà / vesto con lo stress del mio dolore che non ha, che non ha / senso, né una strada si nasconde dentro la, dentro la stanza”. “Vacanza Paradiso” racconta con parole efficaci la depressione…

CP: Il titolo è ovviamente ironico, a voler quasi sdrammatizzare un testo disperato, che lascia senza vie di fuga. La depressione è una malattia che fortunatamente negli ultimi anni viene meno stigmatizzata o minimizzata e sempre più affrontata con serenità, anche a livello comunicativo. Chi ne soffre ha più facilità nel parlarne e farsi aiutare, e chi non ne soffre ha più canali per informarsi e, quindi, non sottovalutarla. Ciò detto la strada da fare è ancora molta e la diffusione di problemi come ansia e depressione purtroppo è quasi epidemica nella società contemporanea. In “Vacanza Paradiso” ho provato a trasmettere a parole le emozioni che mi rimbalzavano dalla pancia al cervello in un periodo difficile che ho attraversato un po’ di tempo fa.

LB: Quindi nel brano c’è qualcosa di biografico…

CP: Quando stai male, sembra quasi scontato dirlo, vedi solo difficoltà e montagne invalicabili, ogni gesto, peggio, ogni pensiero, rappresenta una complicazione, può essere fonte di uno stress gigantesco e l’unico modo per difenderti è chiuderti a riccio su te stesso, sempre di più, sempre di più, fino a che l’unica cosa che vuoi è poter annullare la tua coscienza. Fortunatamente però, anche se la canzone non ne parla, le vie di uscita esistono e a volte sono più semplici di quello che si possa pensare. Per questo se si sta male è importante aprirsi immediatamente, parlare, far sapere a chi si ha vicino che si è in difficoltà, per poter poi ricevere l’aiuto necessario, attraverso uno o più professionisti. La depressione non è bella, non è affascinante, se stai male non sei più creativo, stai solo male.

LB: L’avete definito un disco “emo”. Io ci trovo malinconia, dolore, rabbia, ma anche voglia di reagire.

CP: Confermo, ormai nelle mie canzoni metto me stesso, molto di più rispetto a qualche anno fa, non potrei fare altrimenti. Mi viene molto meno naturale raccontare storie in terza persona, “alla McCartney” per intenderci, anche se è una formula del linguaggio pop che apprezzo molto. Quando parlo di attitudine “emo” del disco non mi riferisco necessariamente al “genere”, per quanto forse un certo “emo” sia uno degli ingredienti della ricetta. Intendo soprattutto evidenziare proprio quello che dici tu, ovvero il fatto che in queste canzoni ci sono le mie emozioni, senza filtri, offerte a chi vuole ascoltare, c’è molto serenità nel mostrare sofferenza e malinconia (il che non è per me un paradosso), ma anche forse un po’ di autoironia o autocinismo, parola che non credo esista.

LB: Come si inserisce in tutto questo “2013”, che racconta con parole molto dense la nascita di una figlia?

CP: “2013” parla dell’arrivo della mia bimba Lucia, nel settembre di quell’anno. È una canzone molto semplice, in cui cerco di spiegare il ribaltamento che subisce la tua vita quando ti trovi per la prima volta in braccio una figlia o un figlio. Tutto ad un tratto niente altro conta più e pensi solo che passerai la vita a proteggerla e a gioire con lei e a soffrire con lei. All’inizio non ero sicuro di voler includere questo pezzo nel disco, però poi quando l’ho fatta sentire a lei, si è molto emozionata, le ha fatto piacere saper che fosse su un disco, cosa che ovviamente è stata per me la conferma definitiva.

LB: Carlo, dal disco si evince che conosci bene la manualistica del pop: rotondità, ritornelli giusti e testi incisivi senza essere cretini o troppo intellettuali. Hai mai pensato di fare l’autore per altri?

CP: Innanzitutto grazie per il bel complimento, lo apprezzo molto e me lo tengo stretto. Sinceramente non ci ho proprio mai pensato, non so se sarei in grado di farlo. Non ho alcuna formazione musicale e ho sempre scritto secondo i miei gusti e in funzione della mia voce, quindi sarebbe un’esperienza totalmente nuova. Però nel mio precedente progetto, Finistère, ho imparato a collaborare nella scrittura con un’altra persona, il che forse è il primo step per andare nella direzione di cui parli. Diciamo che qualora mi venisse fatta una proposta del genere di sicuro ci proverei!

LB: Ecco infine nostra rubrica #cult, un libro, un disco, un film, un viaggio che sono stati fondamentali per te.

#1libro
“Chiedi Alla Polvere” di John Fante
Ho una predilezione per i protagonisti incasinati, le vicende tristi e le storie d’amore/odio senza lieto fine, ma solo se raccontate con un cinico distacco di fondo. Uno sguardo ironico alla vita, nella consapevolezza che anche nella realizzazione personale è impossibile slegarsi dalla propria fallace condizione umana. Questo per me è Arturo Bandini.

#1disco
“A Life Less Ordinary” degli Ash
Il disco che più mi ha emozionato ad un primo ascolto, forse per le melodie cristalline, le chitarre, la gioventù, la voce debole di Tim. O forse semplicemente perché è il primo disco che mi ha prestato mia moglie Linda quando ci siamo conosciuti, in seconda superiore.

#1film
“Reality Bites” di Ben Stiller
Wynona Ryder al massimo della sua bravura, Ethan Hawke al massimo della sua bravura e del suo sarcasmo e gli anni ’90 così intensi da diventare quasi caricatura. Mi emoziono anche solo a scriverne.

#1viaggio
Breizh in Bretagna
È stato per me il ritorno da adulto in uno dei luoghi delle mie vacanze d’infanzia, spiagge chilometriche, vento e felpa anche d’estate, malinconia condita da crêpes e giochi di bambini, in un’atmosfera quasi insolita per un piccolo italiano abituato alle vacanze con la crema solare.

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