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Giorgio Pesenti, perché la musica è quella cosa che viene prima di dove la metti

Intervista. Tra gli autori di ben due pezzi in gara all’ultimo Festival di Sanremo, il bergamasco Giorgio Pesenti ci ha raccontato il suo percorso e la sua idea di musica. E ci ha anche consigliato qualche disco

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Giorgio Pesenti (Facebook)

I più attenti telespettatori dell’ultimo Festival di Sanremo (qui e qui le nostre pagelle) avranno notato un nome dal chiaro sapore orobico tra gli annunci di Amadeus: Giorgio Pesenti, co-autore di ben due pezzi in gara (quello di Leo Gassman e quello dei Colla Zio). Il produttore e compositore bergamasco è in realtà nel giro che conta da qualche anno ed è tra i nomi principali dietro al successo dei Pinguini Tattici Nucleari. Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata in cui approfondire la sua figura e la sua idea di musica, le sue influenze e la storia dei due pezzi in gara, e anche per farci consigliare qualche disco da (ri)scoprire.

LR: Partiamo da una definizione: come ti auto-inquadreresti? Produttore? Arrangiatore? Compositore? Musicista?

GP: Direi un po’ tutte: produttore, musicista e compositore. Queste sono le tre parole principali che mi ruotano intorno. Poi nella pratica dei fatti sono soprattutto produttore, un termine un po’ strano che spesso viene associato alla figura un po’ vecchiotta di chi investe e finanzia un progetto. In realtà, nel mio caso è da intendersi più come “produttore artistico”, mi occupo della gestione stilistica e artistica dei dischi provando a dare loro una direzione basata sui gusti dell’artista e su quello che per me è meglio a livello di esiti e coerenza del progetto. Arrangiatore e compositore ci stanno se scendiamo più nel pratico: spesso mi ritrovo o con una canzone già fatta o da comporre da zero insieme all’artista e/o agli autori, andando a scegliere quelli che saranno i suoni e la base.

LR: Che percorso di studi hai seguito per riuscire a fare questa cosa a livello professionale?

GP: In realtà nessuno, ho studiato chitarra da autodidatta e ho imparato un po’ a registrarmi, a usare YouTube, eccetera. Poi mi sono trovato con la possibilità di stare in qualche studio e vedere come funzionano le cose, con la fortuna di sperimentare cose anche molto diverse tra loro. Dallo studio un po’ più “classico” che faceva rock all’amico che faceva il beatmaker. Oggi mi viene da mettere un po’ insieme queste due correnti che sono un po’ agli antipodi come modo di fare musica.

LR: Hai collaborato anche con i Pinguini Tattici Nucleari…

GP: Sì, ho prodotto alcuni loro pezzi. Abbiamo iniziato a lavorare insieme grazie a un amico in comune, Dario degli ISIDE. Riccardo Zanotti studiava e lavorava a Londra in quel momento, quando poi è tornato in Italia si sono trovati per fare musica insieme e mi hanno coinvolto.

LR: Un percorso che ti ha condotto fino all’ultimo Sanremo, con Amadeus che ha annunciato il tuo nome in diretta quasi tutte le sere del Festival.

GP: È stata una bella emozione, anche se non mi sento minimamente “arrivato”, c’è ancora tantissimo lavoro da fare. Sicuramente però è stata una bella bandierina da mettere.

LR: Qual è la storia dei tuoi due pezzi in gara, «Terzo Cuore» di Leo Gassman e «Non Mi Va» dei Colla Zio?

GP: Con Leo Gassman è stato un percorso partito grazie a Riccardo Zanotti. Il pezzo era già stato scritto dal team dei Pinguini ma si sapeva che non sarebbe stato un loro pezzo, mancava l’interprete, insomma. Poi a un certo punto mi hanno mandato questo provino cantato da lui e spaccava. È stato proposto a Sanremo ed è entrato, e ovviamente è stata grande festa. Con i Colla Zio invece è stato un percorso diverso: loro sono stati tra i primissimi che ho registrato e prodotto, circa quattro anni fa. Poi qua e là hanno fatto anche pezzi con altri, però siamo cresciuti insieme e simbolicamente è stato come se al Festival ci fossimo arrivati insieme.

LR: Stavo per chiederti quale dei due pezzi senti più tuo, ma direi che mi hai già risposto…

GP: Per quanto mi riguarda la musica è sempre tutta bella e sono molto soddisfatto di entrambi i pezzi. Poi il pezzo dei Colla Zio magari banalmente è più fresco e giovanile, ma anche la canzone di Leo per me è bellissima.

LR: Che musica ti piace e ascolti nel privato, e quale invece utilizzi come ispirazione per il lavoro che fai in studio?

GP: Penso che sia importante farsi contaminare da più musica possibile. Tendo ad ascoltare tantissima musica “non mainstream”, dalla techno alla musica etnica, fino ad arrivare ad artisti emergenti, sia esteri che italiani, in cui magari trovi quella cosa che non è ancora partita per provare ad attingere da quella anziché da ciò che passa in radio, che è quindi già stato contaminato da qualcos’altro. Sono sempre alla ricerca di una ventata nuova. Tranne l’anno scorso.

LR: Che è successo?

GP: Ho avuto un momento di “no-Spotify” completo, in cui mi sono imposto di non ascoltare musica dalle piattaforme ma di prendermi i dischi che volevo, e ho ascoltato solo quelli per un anno. Mi sentivo un po’ bombardato: «la nuova di uscita di questo», «il nuovo album di quello». Questa cosa mi faceva perdere i riferimenti. Così mi sono “resettato”.

LR: Questo anno di “detox” digitale ha influito anche nel tuo modo di produrre?

GP: Assolutamente sì. Secondo me si tende a fare la musica che si ascolta, volente o nolente. Questa cosa è fondamentale per chi fa produzione. Credo che ascoltare solo e soltanto le classifiche non mi faccia bene, non mi sento stimolato a fare qualcosa di diverso. Tenderei solo a quello.

LR: Quale pensi che potrebbe essere il prossimo trend importante sul mercato?

GP: Guardando anche all’estero ho la sensazione che tra un po’ ci sarà un ritorno agli anni Duemila, che sembrano dietro l’angolo ma in realtà sono passati vent’anni.

LR: Gli anni Duemila sono stati forse il primo decennio senza un trend generazionale forte in ambito musicale. Mi spiego meglio: anni Novanta uguale rave culture, IDM, grunge, crossover, eccetera. Se penso alla mia adolescenza – sono del ’92 quindi di quegli anni parliamo – mi vengono in mente i Linkin Park, i System of a Down, quei gruppi lì dal calderone post-Nu Metal (passami il termine), l’emo-punk-pop (che infatti è già tornato), poco altro.

GP: Parlo più di pop, tutta quella roba “à la Britney Spears”, Backstreet Boys, super plastica. Poi i decenni passati non vengono mai rifatti uguali, vengono rivisitati. Come gli anni Ottanta di The Weeknd, sono in realtà molto più moderni. Se guardi anche alla moda, ora sta tornando quel periodo lì: la vita bassa, i gioielli un po’ sfarzosi ma anche un po’ cheap, quella cosa “brutta” degli anni Duemila. Se scatta il pallino che quella cosa lì è cool, fa il giro e diventa tendenza.

LR: Effettivamente nella mia piccola bolla social durante Sanremo una delle cose che andava di più era la rivalutazione di Paola e Chiara, che scongelando quelle vibes da Festivalbar 2003 hanno offerto una vaschetta di nostalgia che è piaciuta a quasi tutte le persone della mia età.

GP: Esatto. Ho parlato di futuro ma effettivamente non è così lontano, in parte sta già succedendo.

LR: Se potessi scegliere un artista con cui collaborare?

GP: Domanda difficilissima a cui non ho mai pensato. Credo che non sarebbe di sicuro uno dei miei artisti preferiti che è Bon Iver, perché non mi sentirei all’altezza di rovinargli la carriera. Di italiano ti direi Elisa, internazionale i 1975.

LR: Qual è la cosa che ti piace di più del tuo lavoro in studio?

GP: Partire da un’idea, magari anche solo un abbozzo di ritornello o una sola parola, e da lì dire «io qua ci vedo questo», spremere il più possibile un’idea e costruirci intorno la cosa più giusta che mi viene in mente. Poi la cosa che purtroppo si tende a fare è cercare di scrivere per forza la hit. Invece, ad esempio, il pezzo di Leo Gassman non finge di essere quello che non è, è un bel pezzo e basta. Altrimenti, volendo essere a tutti i costi radiofonici e catchy si finisce con l’avere pezzi “senza responsabilità”, che tanto chi li canta sono “cazzi suoi”. Invece, una canzone bella a prescindere è bella chiunque la canti, come una cover.

LR: Tu sei cresciuto partendo nei locali indipendenti di Bergamo, da Edoné all’Ink. Sei arrivato fino a Sanremo, roccaforte di tutt’altro tipo di musica. Hai vissuto questo approdo come una frattura?

GP: Ho sempre vissuto con passione estrema la musica già in Edoné. Quella passione dentro di me la tengo, e non è cambiato nulla. Ovviamente i risultati cambiano, ma secondo me la musica è quella cosa che viene prima di dove la metti. Il contesto è importante, ma il mio ruolo finisce nel momento in cui la canzone viene finita. Da lì in avanti è tutto marketing. Lo guardo e lo considero, non è che ho il paraocchi, ma ho guardato Sanremo sapendo che il lunedì dopo sarei stato in studio a fare una canzone da zero come quando lavoravo in Edoné e avevo lo studio in casa dei miei. C’è sempre un reset, per quanto mi riguarda, quando si torna in studio.

LR: Progetti futuri?

GP: Tra aprile e maggio uscirà il disco degli ISIDE, un lavoro di un anno e mezzo bello intenso, che porteremo in tour. Poi ci sono tante canzoni che ho scritto e sto scrivendo, collaborazioni di vario tipo con diversi artisti (ad esempio Fulminacci). Infine, ho un progetto mio che si chiama «okgiorgio» con cui faccio elettronica un po’ contaminata da chitarra e suoni acustici. Quello è uno sfogo solo mio, in cui faccio musica per me.

LR: Tre dischi importanti per te?

GP: «22, A Milion» di Bon Iver, disco della vita. Poi «Vocazione» di Enzo Carella e «Il Suicidio del Samurai» dei Verdena.

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