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Perché quella dei Pinguini Tattici Nucleari è la canzone giusta per Sanremo

Articolo. Un brano efficace e un’evidente autorevolezza sul palco dell’Ariston. Qualche riflessione su “Ringo Starr” e un po’ di tifo orgogliosamente bergamasco

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(Sul palco dell’Ariston)

Dai lasciatecelo dire: un quarto posto dopo la seconda serata di un Sanremo con tante canzoni deboli può diventare qualcosa di più sabato prossimo, con due serate ancora tutte da giocare e altre giurie che entreranno in gioco. Certo, Gabbani è forte, la sua canzone è un perfetto meccanismo pop scuola Pacifico, capace di parlare a più pubblici e di rimanere appiccicata addosso a tutti. Però è giusto tifare, godersi l’orgoglio di una scena bergamasca feconda. E soprattutto sognare.

Stiamo parlando ovviamente dei Pinguini Tattici Nucleari e della loro “Ringo Starr”. Brano che ha colpito, è arrivato: i ragazzi hanno scritto il pezzo giusto, oltremodo radiofonico, l’hanno eseguito con quella perizia tecnica che tutti i fans della prima ora conoscono e l’hanno portata sul palco con un’autorevolezza – di Riccardo Zanotti in primis: una presenza di palco evidente e efficace – che non abbiamo visto in altri partecipanti a questa edizione.

Basta osservare i social e i commenti sulle testate web per capire che “Ringo Starr” ha colto nel segno. Un pezzo pop-funk rotondo e dinamico, con un ritornello a presa rapidissima, le citazioni giuste, indirizzate a un pubblico under 40 – ma potremmo dire anche under 30 – che li segue da ben prima della comparsata in Riviera e riempirà il Forum di Assago il prossimo 29 febbraio (com’è noto già sold out). Una canzone accattivante, paracula il giusto, probabilmente una sorpresa per buona parte del pubblico televisivo, se è vero che l’ascesa dei Pinguini parte dai palchetti della provincia e passa da tante visualizzazioni sulle piattaforme digitali e su Youtube. Un altro mondo per coloro che si chiedono “ma chi cavolo sono i Pinguini Tattici Nuclerari?” (ciao Red).

Il cerchio della vita impone che per un re leone vivano almeno tre iene” è un salto nel passato precisissimo, un richiamo a un film che tutti abbiamo visto quando eravamo bambini. “Gli amici ormai si sposano alla mia età ed io mi incazzo se non indovino all’eredità” si muove su uno spaesamento esistenziale a bassa intensità, controbilanciato da un’ironica citazione televisiva – che magari per qualcuno è un rimando al trovare la parola giusta come chiave di volta della propria vita irrisolta. “Tu eri Robin poi hai trovato me, pensavi che fossi il tuo Batman ma ero solo il tuo Ted”, è l’hyperlink da “How I met your mother” più calibrato, roba da manuale del pop.

Tuttavia se “Ringo Starr” è una canzone generazionale – e per chi scrive lo è, come tanti altri brani dei PTN – la sua capacità rappresentativa sta tutta in questo gancio contagioso: “Ma questa sera ho solo voglia di ballare, di perdere la testa e non pensare più / Che la mia vita non è niente di speciale e forse alla fine c’hai ragione tu / In un mondo di John e di Paul io sono Ringo Starr”. Una costruzione lirica carica di leggerezza, un qualcosa che viene dopo Max Pezzali e al pezzalismo si abbevera. La capacità di scrivere una canzone simmetrica alle persone che la ascoltano: il messaggio è “siamo come voi”, viviamo la stessa inadeguatezza, la stessa malinconia leggera ma che rode insistente come un tarlo.

È il meccanismo dell’it-pop oggi: non distanza da chi ascolta, ma vicinanza, condivisione di un percorso biografico compiuto da una generazione di mezzo. A qualcosa che c’è stato (gli ultimi barlumi di quella che era l’era solida) e qualcosa che ci sarà e appare oscuro e minaccioso. Ringo Starr è colui che sta sempre un passo indietro (a chi? A cosa?) e intanto respira il profumo euforico di un bisogno di distrazione, avere solo voglia di ballare e non pensare più, per dirla dalle parti di Edoné: cantare indie, cantare male, ma essere felici almeno per un po’.

I Pinguini sul palco dell’Ariston hanno portato tutto questo. Con la specificità di una band che sa suonare e lo dimostra, portando tutta l’esperienza di anni e anni di gavetta, pizze nel cartone e pubblici esigui (però sempre più in crescita). Ma soprattutto partecipando alla gara con lo spirito e la legittima ambizione di chi vuole provarci. Quantomeno a fare quel salto definitivo che qualora accadrà, non sarà nient’altro che meritato. Forza Pinguini, sogniamo con voi.

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