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L’artigianato sonoro contro i “Demoni” del nuovo disco de La Belle Epoque

Articolo. Il 2 dicembre la presentazione live al Revel di Treviglio. Un disco indie-rock anni ’90 che si prende la libertà di esplorare cercando l’imprevedibile. E rispondendo con la musica “ai nostri demoni uno contro l’altro”

Lettura 7 min.

Ci sono band eccezionalmente fedeli al loro suono, che non significa disco dopo disco continuare imperterriti lungo una strada monolitica, ma evolvere secondo la propria indole. Una di queste è sicuramente La Belle Epoque, combo indie-rock proveniente da Treviglio e dintorni che lo scorso 18 novembre ha pubblicato “Demoni”. Un disco a segnare un sensibile progresso nella scrittura dei brani, negli arrangiamenti e nel mood forse meno “furente” che nel debutto “Il mare di Dirac”, ma certo non privo di inquietudine.

Può sembrare strano allora che, alla luce di tale sentore, la band si riconosca in un nome molto elegante, dal taglio francese, con un preciso riferimento storico. Da qui partiamo per una bella chiacchierata con Luca Boschiroli (voci e chitarre), Dario Sorano (voci, tastiere, cori), Daniele Pizzigoni (basso, cori) e Aronne Gavazzeni (batteria), che hanno risposto con generosità alle domande del sottoscritto: “Cercavamo qualcosa di evocativo e musicale, un nome in linea con la nostra idea non troppo velatamente nostalgica della musica e del fare musica – racconta Luca – La Belle Epoque è stata quella giusta dose di francesismo culturale che ha messo d’accordo tutti. C’è un rimando preciso, un filo conduttore, tra la nostra intima e personale ricerca della bellezza nel mondo isterico e trasbordante di oggi e la scoperta, se vogliamo quasi ingenua, della bellezza legata al progresso e le novità dell’inizio del secolo scorso”.

Un disco sei anni dopo

“Demoni” arriva a sei anni dal debutto del 2015, un tempo dilatato di suo per il seguito di un debutto, e certamente ancora di più in un momento storico in cui spesso sembra avere più importanza la visibilità che la musica: “Considera – spiega Dario – che abbiamo le nostre tempistiche nella scrittura delle canzoni, siamo sempre molto attenti ai dettagli (il mio motto usato spesso in saletta: ‘è da valutare bene!’) ma devi tenere in conto che i lavori di composizione sono stati rallentati da due motivi principali. A giugno 2018, Paolo, il nostro primo batterista, ha deciso di lasciare il gruppo e dedicarsi ad altro. Abbiamo passato tutta l’estate di quell’anno soltanto io, Luca e Daniele cercando di capire come continuare senza di lui fino a quando dopo qualche mese abbiamo preso con noi Aronne. Mettiamoci anche la pandemia mondiale che ha colpito in maniera del tutto improvvisa e violenta il mondo intero et voilà, gli anni sono passati via velocemente”.

Dunque, riassumendo, i mesi nefasti che tutti abbiamo vissuto, ma anche una certa (feconda) artigianalità in fase di “costruzione” dei pezzi e un cambio significativo dietro le pelli: fuori Paolo D’Adda e dentro Aronne Gavazzeni. “Entrare nel gruppo è stato molto semplice e naturale sia a livello musicale che umano perché ci conoscevamo già molto bene personalmente, soprattutto con Dario con cui mi capita spesso di girare per concerti. Posso definirmi un fan della prima ora avendo seguito La Belle Epoque fin dai primi tempi in cui non c’era ancora Daniele al basso e il repertorio era composto da cover”.

“Potrei donarti parte dei miei demoni”

La scelta del titolo apre a diversi significati: “Demoni” viene inteso in senso negativo, come spiegano i quattro nel comunicato di presentazione del disco. Ma Demone è anche il dáimōn, ovvero l’intermediario fra l’umano e l’oltreumano. Oppure, in un senso adattato alla situazione LBE, è il demone artistico. Insomma, in soldoni: ognuno ha i suoi “demoni” e senza quelli, niente arte, niente musica. Daniele risponde individuando subito il nucleo di tutto ciò: “È un album che parla di necessità e di rapporti. Nella frase: ‘potrei donarti parte dei miei demoni’ secondo me è racchiuso tutto il significato ultimo del disco e, in questo senso, la concezione di demone apre ad una lettura più ampia che in parte sposa la tua visione”. Aggiunge Luca: “Per quanto mi riguarda è proprio quello che sta alla base del mio concetto di fare musica, di fare arte. È proprio la dualità di questo pensiero a rendere l’idea piena del lavoro e dei contenuti di questo disco. Le nostre vite scorrono ogni giorno velocissime in un contrasto di emozioni pressoché continuo, ci scontriamo con i nostri demoni ma è proprio da essi che ricaviamo la forza per elaborare un piano per contrastarli o per prenderli per mano e conviverci. I ragazzi mi prendono spesso in giro per la mia risaputa riluttanza verso il trinomio ‘sole/cuore/amore’, ma è inevitabile per me: l’espressione più pura di un sentimento arriva dopo aver sofferto e combattuto”.

Demoni a parte, come si diceva all’inizio il disco rimarca un’evoluzione in fase di arrangiamento. Più synth, tastiere e suoni analogici o digitali, sovente ricercati. Meno chitarre ed elettricità. E quando parliamo di tastiere per La Belle Epoque, la parola spetta a Dario: “Pensavo fosse troppo riduttivo ripetere la stessa formula del primo album che era guidato principalmente dalle sole chitarre quindi durante le nuove sessioni di scrittura ho voluto usare le tastiere per avere un ampio spettro sonoro e per fissare le fondamenta di gran parte delle nuove canzoni. In questa maniera non ci siamo limitati sotto il punto di vista degli arrangiamenti, ci siamo sbizzarriti nel buttare dentro sonorità elettroniche (‘Noi di Notte’, ‘Tutto Quello che Saremo’) e vintage (‘Inchiostro e Seta’, ‘Ad un passo dalla Luna’) senza tralasciare il ruolo delle chitarre di Luca”. Che non sono scomparse, semmai ritrattate: “Pochi accordi pieni, per lo più riff o arpeggi tutti processati con effetti dosati in modo equilibrato con le parti di pianoforte acustico, piano Rhodes, organi e mellotron. Ho suonato la chitarra solo in due pezzi che sono agli estremi in termini di atmosfera: ‘Contro i Giganti’ e ‘Montecarlo’. È ormai una nostra caratteristica perfezionata nel tempo quella di arrangiare le nostre composizioni cercando di incastrare in maniera sapiente le varie parti di basso, chitarra e tastiera”.

“Montecarlo” e disillusione

Sulla citazione di “Montecarlo”, ultimo brano della tracklist e fra i più anomali per La Belle Epoque fino ad oggi (voce recitante, chiusura cantata), è impossibile non chiedere come sia nata questa traccia che è un vero e proprio sigillo al disco. L’idea è di Aronne: “Quando abbiamo scelto di metterlo per ultimo come brano di chiusura non avevo a fuoco il testo, per me è stata più una scelta di sensazioni. Oggi rileggendolo mi rendo conto che l’ultima strofa chiude perfettamente un album intriso di demoni e tormenti, con parole di accoglienza, di ascolto e di conforto ”. E se di testo recitato parliamo, il riferimento è quasi ovvio: “Il testo recitato ricordo che mi è venuto abbastanza spontaneo proporlo, essendo io un grande estimatore dei Massimo Volume, e da subito ho sentito che la cosa funzionava alla grande, creava maggiore tensione tra strofa e ritornello. Ora che mi ci fai ripensare devo dire che alla fine anche se non ho suonato in questo brano (abbiamo usato una drum machine) una mano ce l’ho messa”.

Nei testi di “Demoni” c’è spesso una certa amarezza mista a disillusione. È interessante capire, senza entrare nel privato, quanto ci sia di biografico. “I testi, per precisa scelta – anticipa Daniele – arrivano sempre dopo la musica. Li scrive Luca senza interferenze da parte nostra. Li apprezzo molto e ne faccio un vanto. Se un po’ conosco Luca c’è molto di personale in ognuno di essi. Molto di più di quanto si possa dare a vedere”. Aggiunge Luca: “Per me è impossibile scrivere di qualcosa che non mi coinvolga in prima persona. Quindi sì, necessariamente c’è sempre molto di biografico. Prendo spesso appunti, frasi o concetti che scaturiscono dall’osservazione dell’ambiente e della vita che mi circonda, in tanti ambiti. Mi trovo poi ad analizzare la musicalità dei pezzi e fare una sorta di abbinamento tra i contenuti e le melodie che mi sembrano più congeniali nella struttura di una determinata canzone. Di contro non amo però espormi in modo dogmatico, pertanto scrivo cercando di arrivare sempre in punta di piedi all’ascoltatore, voglio sussurrargli qualcosa all’orecchio che lo faccia emozionare nella sua personale interpretazione di quello che stiamo raccontando ”.

Tiziano Ferro o Phoenix?

Ci sarebbero ancora tante cose da chiedere su un disco intenso, ricco di piacevoli sfumature, dove la qualità dei brani non cala, ma rimane sempre almeno a un livello più che buono. Ad esempio la scelta dei singoli, tutt’altro che scontata, “Tutto quello che saremo” e “Ad un passo dalla luna” (“La nostra idea era quella di presentarsi dopo tutti questi anni con delle sonorità rinnovate”, specifica Dario). Ma forse la cosa più sorprendente di “Demoni” è “Noi di notte”, che con la sua filigrana nu-soul, sembra quasi un pezzo di Tiziano Ferro, anche se Luca cita ben altri nomi. “Che strano, per quanto non abbia mai ascoltato praticamente nulla di Tiziano Ferro, non è la prima volta che il suo nome compare insieme al nostro! Chissà forse è il caso di contattarlo (ride, ndr). Ricordo che ascoltavo moltissimo i Phoenix in quel periodo, forse per le sonorità dobbiamo inconsciamente ringraziare loro”.

E Dario, in un’apoteosi di nerdismo musicale: “Non ci crederai ma ‘Noi di notte’ era originariamente un provino lasciato a metà registrato da me al pianoforte e Luca alla batteria. Era molto grezzo ma negli anni ha subito varie rielaborazioni fino ad arrivare a quella più elettronica con la peculiarità di avere il basso elettrico di Daniele come strumento solista e il mio basso sintetizzato come appoggio”. Ennesima riprova, in altre parole, della volontà di trovare nuove soluzioni: “Come già accennato sopra, l’idea principale era quella di non limitarsi in termini di arrangiamenti e di sperimentare il più possibile in sala prove. In questo disco ci puoi sentire un po’ il piano di ‘Ruin’ di Cat Power in ‘Distratti da un’intensa luce blu’, mentre per ‘Inchiostro e seta’ ho suggerito di imbastire quella intro afro-tribale di percussioni e di doppiare la linea di basso con un suono simil clavinet affogato nel fuzz dopo che ero in fissa da giorni con ‘ABC’ dei Jackson 5. Se dovessi citare invece un disco in particolare che ho letteralmente consumato e che mi ha ispirato tantissimo per la produzione del nostro secondo album ti direi ‘World’s Strongest Man’ di Gaz Coombes ”.

Si esce vivi dagli anni ’90

Tuttavia, nonostante la maturazione nella scrittura dei pezzi, nei testi e negli arrangiamenti, da “Demoni” emerge, come dal predecessore, un’anima anni ’90. Nulla di male, ci mancherebbe. Ma se così possiamo dire, il mondo musicale italiano “va da un’altra parte”. Come viene vissuta questa cosa, anche per quanto riguarda la complessa situazione dei live per una band che deve fare tutto da sé? Daniele: “ Suono per dare voce ad un bisogno. Che credo sia poi la stessa cosa per i miei tre compagni di avventura. In questo senso non do peso alla direzione in cui va il mondo: non suono per quello. Cerco di portare in sala prove tutto ciò che di buono ho (e a volte anche di pessimo). Tutto quello che sono, che ascolto, che ho ascoltato finisce nei brani. A volte si tratta di vere e proprie citazioni, altre di voglia di emulare i miei ascolti. ‘I primi giorni di autunno’, ad esempio, nella mia testa sarebbe dovuto suonare esattamente come ‘Fascination street’ (dei Cure, ndr). Il risultato finale invece è un qualcosa di nuovo e inaspettato”.

Chiosa Aronne: “Per quanto riguarda il disco la vivo bene, da fan della prima ora penso sarei soddisfatto del nuovo album de La Belle Epoque e andrei ancora molto volentieri ai loro concerti. Per quanto riguarda i live hai ragione, la situazione è già complicata di suo per quel che sappiamo, e le nostre sonorità non sono allineate alle tendenze di questo periodo, ma ci si prova. Alla fine credo sia meglio suonare la musica che senti tua piuttosto che forzarsi a suonare un certo tipo di musica perché va per la maggiore ”.

Canta Riccardo Sinigallia: “E che poi / Per qualche applauso in più / Torneresti sui tuoi passi / A trattare / E che poi / Per qualche spiccio in più / Ti ho visto in lontananza andare via come una sponda alla deriva”. A volte più del successo conta l’amore per il proprio artigianato sonoro e il fare i conti con i propri demoni. Per trovare una Belle Epoque attuale in tutt’altro modo: alla fine una pura questione di passione e bellezza.

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