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Pier Carlo Orizio: la mediocrità non appassiona

Intervista. Intervista al Direttore artistico del Festival Pianistico Internazionale: le prove aperte, Brahms e Schumann

Lettura 5 min.
Pier Carlo Orizio

La prima cosa che colpisce del Maestro Pier Carlo Orizio, Direttore artistico del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo (15 aprile – 10 giugno), è che ad ogni domanda si prende qualche secondo di silenzio per rispondere. È come se andasse a cercare il pensiero più appassionato e le parole più precise per esprimerlo.
Passione è una parola chiave della nostra chiacchierata, che parte dalle prove aperte della Filarmonica del Festival da lui diretta, con il pianista Francesco Piemontesi come solista (domenica 28 aprile al Teatro Sociale, ore 16.30, il concerto sarà il giorno dopo). Da lì le risposte attraversano il significato di “Musica velata”, la scelta del tema di quest’anno (Brahms e Schumann), le difficoltà e la sfida di organizzare ogni anno un calendario di concerti a tema. E infine i ricordi di un Festival che è fra i più importanti a livello europeo per quanto riguarda la musica da pianoforte.

LB: Come nasce l’idea delle Prove aperte del 28 aprile?

PCO: L’obiettivo è provare a coinvolgere gli studenti, che difficilmente vengono ai concerti di musica classica. Ci serviva un modo diretto per coinvolgerli, per fare vivere a loro da vicino e senza troppe formalità un concerto. È una forma che funziona bene, anche quando magari viene coinvolto un giornalista che spiega in modo semplice ma non banale che cosa si andrà ad ascoltare.

LB: In altre parole è una reazione ad una mancanza generazionale.

PCO: Tutti i festival, anche quelli all’estero, hanno il problema di coinvolgere i giovani, la cui presenza si attesta su numeri davvero piccoli. I catastrofisti dicono che non si può fare molto contro questo fenomeno e che la classica è destinata all’estinzione. Io credo invece che ci potrà essere un cambio generazionale, ma servono iniziative come questa. Quando andavo al Conservatorio eravamo in tanti a frequentare i concerti.

LB: Oggi invece si va su Youtube.

PCO: Gli studenti hanno altri modi di scoprire i grandi musicisti, ad esempio su YouTube. Sono strumenti che però non sostituiscono il concerto dal vivo. Youtube dovrebbe essere un incentivo: vedi un concerto che ti piace, allora cerchi l’esperienza reale. Ma questo non succede tanto e quindi dobbiamo continuare a fare di più. Conta però tantissimo la qualità. Il format è importante, tuttavia se non proponi concerti di alto livello non funziona. Perché non ci si appassiona alla mediocrità, ma alle cose belle, importanti.

LB: E la scuola?

PCO: È una domanda difficile. La scuola è determinante purtroppo in senso negativo, nei programmi la musica non è considerata. Sono però così convinto che non tutto discenda da questo. Da un lato è eccessivo dire che a scuola manca del tutto la musica. Dall’altro non è vero che, ad esempio, scopriamo l’arte solo dai banchi di scuola. Anzi tanti hanno il ricordo delle ore di storia dell’arte come un qualcosa di noioso. Però l’arte la possiamo incontrare altrove: a Bergamo siamo immersi bella bellezza, incontriamo il bello camminando per strada.

LB: Bisogna però saperlo riconoscere, non trova?

PCO: Serve un percorso di crescita, di educazione a scoprire il bello, che i greci consideravano sempre associato al buono. Bisogna evitare la musica da fast food, evitare la mediocrità, che è sempre un qualcosa contro sé stessi. Dobbiamo invece cercare ciò che nasce da una passione vitale, di cui non si può fare a meno. Allora la musica diventa una questione essenziale, che esprime la nostra parte emotiva come solo lei sa fare. Ci sono sentimenti dentro di noi che le parole non possono descrivere. Ma la musica sì. Beethoven desiderava che le sue composizioni andassero al cuore delle persone. Di questo abbiamo bisogno.

LB: Quest’anno il Festival è dedicato a Schumann e Brahms. Il titolo è “Musica velata”, ce lo può spiegare?

PCO: Velato è un aggettivo che Schumann ha usato in riferimento alle prime composizioni di Brahms. Nel 1853 Brahms ha vent’anni, viene da Amburgo e vuole conoscere Schumann, che è già famoso, è un compositore e un critico musicale affermato. Si presenta con le prime composizioni che ha scritto, Schumann con un po’ di reticenza il primo giorno non lo accoglie, gli fa fare un po’ di anticamera. Poi quando lo ascolta avviene una sorta di folgorazione, subito condivisa con sua moglie Clara. Ne segue una recensione, divenuta celebre, nella quale Schumann definisce le composizioni di Brahms delle “Sinfonie velate”.

LB: Velate quindi con un velo sopra.

PCO: Quella di Brahms era musica pianistica che sotto traccia nascondeva tutta una serie di colori orchestrali. Da cui l’aggettivo velata, che va esteso anche alla musica di Schumann, perché sotto la sua musica sono nascosti tanti personaggi, a partire proprio da Clara, ma anche Chopin, Arlecchino, Florestano ed Eusebio. Tutti personaggi che raccontano una storia.

LB: Brahms, Schumann. E poi Clara, di cui verranno suonate alcune composizioni…

PCO: Quest’anno sono duecento anni dalla nascita di Clara Schumann. Una figura determinante dell’Ottocento, che venne considerata la più grande pianista dell’epoca. Dopo la morte di Schumann Clara continuò a rieditare e proporre in tutti i modi le opere del marito. Lei e Brahms sono stati determinanti per diffondere l’insegnamento schumanniano.

LB: Una donna pianista e protagonista di un momento fondamentale. Non capita spesso nella storia della classica ed è una bella cosa che la ricordiate.

PCO: Le donne nella musica classica sono poche in assoluto, anche adesso, non so il perché, ma è così. Oggi ci sono molte compositrici di valore, penso a Silvia Colasanti o a Sofija Gubajdulina, ma non così determinanti come altri compositori uomini. Lo stesso vale per le musiciste e le direttrici d’orchestra, anche se sono sempre di più e sempre più brave.

LB: Insomma la solita disuguaglianza di fondo…

PCO: È anche vero che il genio non ha sesso, però sì c’è un problema. E mi auguro che un giorno avremo compositrici determinanti.

LB: Il Festival Pianistico Internazionale ha sempre un tema. Come lo scegliete?

PCO: Il tema ogni anno nasce dall’edizione precedente. Cerchiamo una certa logicità nel nostro percorso. Abbiamo fatto tre anni dedicati al Barocco e a Bach, poi al classicismo di Mozart e Haydn, e infine a Beethoven. Una logica temporale chiara. L’anno scorso abbiamo puntato su un compositore come Čajkovskij, mai preso in considerazione prima perché poco pianistico. Quest’anno ho voluto tornare a qualcosa di basilare per tutti i pianisti, quindi Schumann e Brahms. Dal punto di vista pianistico è l’Ottocento ad essere fondamentale sotto il profilo della tecnica e del repertorio.

LB: Da questa scelta nasce il programma…

PCO: Il programma si costruisce con molte discussioni con i pianisti. Ci sono tanti pianisti che portano avanti un programma all’anno. Il livello tecnico oggi è altissimo, non c’è mai stato un periodo storico di così alta qualità. Ma la ricerca della perfezione ha delle contrindicazioni ed è inevitabile che il repertorio si riduca. Negli anni Ottanta un grande pianista come Nikita Magaloff suonava tutto. Mio papà lo chiamava e gli chiedeva di suonare una composizione, solitamente non c’erano problemi. Oggi non è più possibile perché anche nomi magari meno importanti di Magaloff vogliono fare quel repertorio che stanno portando in giro. Quindi la “lotta”, per così dire, si prefigge di ottenere il programma migliore possibile rispetto al tema scelto tenendo in considerazione le esigenze dei musicisti. Quindi la lotta x così dire è ottenere il programma migliore per il tema scelto tenendo conto le esigenze dei pianisti e del festival. A noi interessa molto che ci sia una “non genericità” del Festival.

LB: Per voi questa caratterizzazione di ogni edizione del Festival è fondamentale.

PCO: Sì, a noi interessa molto. I festival a tema sono pochi. Magari ci sono ad esempio festival che propongono come tema “Amore e morte”, ma è un tema dove ci sta un po’ tutto. Invece se ti concentri su Brahms e Schumann non ci può stare qualsiasi cosa.

LB: Un concerto assolutamente da non perdere?

PCO: C’è un concerto a cui tengo prticolarmente, è quello di Roby Lakatos con la Zagreb Philharmonic Orchestra. Brahms ha scritto molte cose di influenza ungherese, o per meglio dire tzigana. Lakatos ci racconterà quale è stata l’ispirazione originaria della musica più ungherese di Brahms. Andremo alla ricerca delle radici, sarà un viaggio nella musica non colta ma popolare.

LB: Lei è direttore artistico del Festival da alcuni anni ed è succeduto a suo padre. Ci vuole raccontare i concerti che ricorda con maggiore soddisfazione?

PCO: Il concerto sinfonico con Abbado nel 2002 è stato un apice difficilmente superabile, tra i solisti ricordo Evgenij Kisin. Sono tanti i concerti memorabili. Ma forse quello che più mi è rimasto impresso è stato quello di Michelangeli nel 1980, che doveva essere all’interno del Festival ma poi diventò una serata benefica per l’Africa. Mio padre convinse Michelangeli a tornare a suonare in Italia, a Brescia, dopo che nel 1968 aveva deciso di lasciare l’Italia. Fu un momento di bellezza unica e inarrivabile.