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#bestof2022: C’è un lago fossile di 800 mila anni fa da visitare a Sovere

Intervista. È il «Parco dei Laghi Fossili», nome decisamente evocativo e luogo dove nel 2001 venne trovato il Cervus Acoronatus oggi esposto al Museo di Scienze Naturali di Bergamo. Sabato 7 maggio la visita guidata di quella che è una meravigliosa fonte di informazioni sulla vita della Terra e delle nostre zone

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(foto Visit Lake Iseo)

Lo sapete ad esempio che si ha notizia del ritrovamento di un rinoceronte da quelle parti? E che osservare le stratificazioni della roccia può aiutarci contro l’attuale crisi climatica? Questo e molto altro verrà raccontato dalla geologa Tiziana Carrara sabato 7 maggio (vedi evento a fianco). Intanto l’abbiamo intervistata.

LB: Cominciamo dal nome. Evocativo, ma perché «Parco dei Laghi Fossili»?

TC: Non so dirle l’origine di questo nome. I primi documenti che ne parlano, risalenti alla fine Ottocento – inizio Novecento, si riferiscono al «bacino pleistocenico lacustre di Pianico-Sèllere», quando si iniziò a estrarre le marne bianche di Pianico, in località Cimitero Vecchio, a lato del torrente Borlezza, dove oggi c’è la località Cerro. Queste marne sono di caolino, carbonato di calcio puro quasi al 100%. Lo studio iniziò da questo luogo, quindi, come si usa fare in geologia, gli venne dato questo nome, Sèllere, che è una frazione di Sovere.

LB: Quello esistente oggi è il percorso ristabilito dai lavori di messa in sicurezza di qualche anno fa.

TC: Dal 2001, quando venne scoperto il cervo “acoronato”, sia il Museo di Scienze naturali di Bergamo, sia il CNR si sono interessati maggiormente al Parco e hanno creato due percorsi: uno della foresta fossile del CNR e uno del cervo fossile voluto dal Museo di Scienze Naturali, entrambi curati dal comune di Sovere, da sempre sensibile a questa tematica. Questo appunto fino a una decina di anni fa, quando un evento normale come una frana – normale perché i sedimenti del Parco sono di origine lacustre e quindi sono facilmente friabili, in più l’azione erosiva del Borlezza fa arretrare la parete di roccia – ha reso inaccessibili i percorsi. Dopo una serie di interventi costosi oggi il percorso è in sicurezza e permette alle persone di partecipare alla visita guidata senza alcun problema.

LB: Il «Parco dei Laghi Fossili» è uno dei “calendari” di pietra più lunghi al mondo. Perché è importante?

TC: Perché è veramente uno scrigno con cui gli scienziati riescono a raccogliere gli elementi per ricostruire un quadro preciso sull’evoluzione del bacino. Per prima cosa dobbiamo dire che ci sono dei sedimenti di origine lacustre, glaciale e in parte anche detritici provenienti dalle frane: sono tutti molto significativi e utili, perché il deposito lacustre avviene di solito in un ambiente tranquillo, dove non ci sono disturbi. E ci permette di osservare bene la storia della sedimentazione, che salendo dal basso verso l’alto diviene più giovane. Alcuni dei depositi lacustri presenti nella formazione sono particolarmente interessanti; sono le cosiddette varve, ricche di carbonato di calcio, che raccontano la storia dell’evoluzione di questo lago. Si possono trovare depositi fossili di organismi, come piante, animali e pollini, che stabilendone l’età consentono di capire quale vegetazione e quindi quale clima c’era, freddo o caldo, in un certo periodo – corrispondente a una certa “altezza” della sedimentazione – piuttosto che in un altro. All’interno di queste varve si sono trovati anche dei livelli vulcanici, con i quali si possono fare considerazioni molto interessanti, ad esempio sulle variazioni magnetiche del campo terrestre.

LB: Tutto questo risale a 800-750 mila anni fa.

TC: La parete che vedremo è ancora oggetto di studio e carotaggio per scoprire l’età esatta di queste formazioni rocciose, ad oggi grossomodo possiamo dire che risalgono a circa 800 mila anni fa, durante il tardo-pleistocene.

LB: Il “racconto” del «Parco dei Laghi Fossili» è un lavoro pluridisciplinare.

TC: Sì, coinvolge geologi, paleontologi, naturalisti, palinologi che studiano il polline, vulcanologi per i livelli dei vulcani, glaciologi che studiano l’avanzamento e il ritiro dei ghiacciai nel tempo. Quella del «Parco dei Laghi Fossili» è una storia complessa e affascinante, che viene studiata dalla fine dell’Ottocento.

LB: I sedimenti deposti sul fondo di questo lago fossile hanno formato un lungo “archivio” di strati: ben 45 mila anni.

TC: Queste stratificazioni di sedimenti sono state oggetto di uno studio approfondito. Inizialmente anche con tecniche artigianali, come calarsi dalla parete e contare i livelli di stratificazione. Sono state fatte anche delle osservazioni al microscopio delle strutture di campioni di qualche millimetro o di qualche centimetro, a seconda della necessità. Quando ero all’università ricordo i ricercatori che contavano il numero di pollini all’interno di una sezione per capirne l’età, le caratteristiche e l’evoluzione.

LB: Il lago era stretto, lungo e molto profondo.

TC: Calcoli che era lungo circa 3 km e mezzo (da Sovere a Pianico), la larghezza era di circa 200-250 metri, almeno da quello che sappiamo dallo studio delle pareti più facilmente raggiungibili. E con l’evoluzione tecnologica degli studi probabilmente potremmo saperne anche di più, soprattutto attraverso l’uso di alcuni strumenti come il laser-scanner che permettono nuove possibilità di studio delle pareti. Il bacino è talmente unico e affascinante per il suo genere che alcuni ricercatori volevano farne un geo-sito in modo tale da tenerlo protetto, sponsorizzato e salvaguardato. Anche il genio-civile aveva seguito alcuni consigli dei ricercatori su come costruire le briglie e la tipologia di argini per poter salvaguardare queste meraviglie naturali.

LB: Intorno al lago inoltre c’era una foresta, giusto?

TC: Sicuramente. Sono state fatte delle ricostruzioni paleo-geografiche che sono riuscite a scoprire che tipo di alberi c’erano intorno al bacino È stato possibile ricostruire questa foresta fossile grazie ai ritrovamenti di foglie, polline e pezzetti di legno fossili, dai quali è stata ricostruita una vera e propria foresta fossile, per poi domandarsi se sul pianeta Terra è rimasto qualcosa di questa foresta, aiutando i botanici a comprendere come è evoluta la vegetazione nel corso delle ere geologiche. È uno dei tanti aspetti significativi del sito, le informazioni che si possono ricavare sono numerose e di conseguenza anche le applicazioni di questi studi.

LB: Che ci possono aiutare anche nella crisi climatica in corso.

TC: Quella che sta avvenendo è una crisi climatica che non ha mai avuto dei precedenti, perché è opera dell’uomo. I cambiamenti climatici sono sempre avvenuti, lo raccontano ad esempio le stratificazioni del bacino. Avere un punto di osservazione così “profondo”, sino a 800 mila anni fa circa, significa poter confrontare le varie crisi climatiche che sono avvenute in passato con ciò che sta succedendo ora e chiedersi quanto sia influente la mano dell’uomo in tutto questo. Questo vale anche per i depositi glaciali: ci aiutano a capire come si è evoluto il clima nel passato e come potrebbe evolvere adesso.

LB: Il ritrovamento del Cervus acoronatus ha impreziosito lo scrigno.

TC: È stato scoperto nel 2001, ora è in mostra al Museo di Scienze Naturali di Bergamo. Il ritrovamento, grazie anche all’intervento dei ricercatori dell’Università di Padova, è già stata di per sé una cosa straordinaria, poiché solitamente quando un organismo finisce in un bacino lacustre, come tutti gli organismi, prima affonda e poi emerge – perché normalmente i processi di decomposizione di sostanze organiche portano inizialmente a sviluppare gas che portano ad avere un galleggiamento. La presenza dei limi melmosi sul fondale ha fatto sì che il cervo rimanesse intrappolato e di conseguenza è stato ritrovato con lo scheletro pressocché integro. Ma non solo…

LB: C’è altro?

TC: Si ha notizia anche di un rinoceronte, ritrovato nel comune di Pianico, che era stato portato al Museo della scienza di Milano agli inizi del ‘900 (e che adesso è andato perduto a seguito di uno spostamento per evitare i danni dei bombardamenti sul museo durante la Seconda guerra mondiale). Anche quello era stato trovato integro. I paleontologi cercano quindi di capire come sia possibile che un animale di cui solitamente si trovano soltanto le parti ossee incomplete (poiché le parti molli, come le cartilagini ad esempio, nel tempo vengono corrose dall’acqua), possano essere ritrovate completamente integre. Ciò è probabilmente dovuto alla presenza di questi particolari limi sul fondale. Per questi ritrovamenti infatti non si può parlare propriamente di “fossili” poiché, data la presenza dei limi melmosi, il processo di fossilizzazione non si è in realtà ancora compiuto.

LB: Potrebbe anche esserci l’“emersione” di qualche nuovo scheletro o fossile animale?

TC: Sì, potrebbe essere un’eventualità. La sovraintendenza e gli scienziati tengono sempre monitorato lo stato del torrente che erodendo il fondale potrebbe portare alla luce nuovi reperti. C’è anche molta vegetazione, quindi anche una frana potrebbe mettere in luce nuovi reperti.

LB: Il riscaldamento globale, facendo aumentare le temperature, abbassa il livello dei corsi d’acqua. Mi viene in mente la notizia di pochi giorni fa che da Po è emerso questo megacervo. Le ponevo un po’ la stessa questione. Il torrente dovrebbe andare verso una riduzione dell’acqua?

TC: Questo non lo so, potrebbero anche esserci scenari opposti in realtà, di periodi di piena importanti, anche se l’ultimo periodo in realtà è stato prevalentemente di poca poggia. Gli scenari di cambiamento climatico che maggiormente preoccupano i geologi sono quelli legati ad eventi alluvionali forti, in cui ci sono temporali con grandi quantità di pioggia che precipitano in tempi molto brevi. Non ci sono studi specifici sul torrente Borlezza su questi temi al momento, se non studi idraulici legati ai fenomeni che preoccupano maggiormente l’urbanizzazione, come le alluvioni. Certamente un lungo periodo di siccità del torrente Borlezza potrebbe portare alla scoperta di nuovi reperti. Va detto però che il torrente non viene solo alimentato dall’acqua piovana, ma nella zona di Sovere e Cerete ci sono tante sorgenti e quindi prima osserveremmo una carenza idrica a livello di sorgenti anche in aree ad altitudini più elevate rispetto al torrente.