93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Con la Pietra di Berbenno scopriamo il genius loci della Valle Imagna

Articolo. Protagonista dell’architettura spontanea di questa valle, la Pietra di Berbenno ha infatti una storia millenaria. Con i suoi colori e le sue forme, interpreta anche in chiave moderna l’edilizia rurale di questo territorio. Scopriamola insieme in questo articolo

Lettura 4 min.

La Valle Imagna è una piccola laterale della Valle Brembana, sbarrata dal massiccio del Resegone che fa da spartiacque e confine con la provincia di Lecco. Il collegamento con la principale valle è stato fino al dopoguerra molto difficoltoso: la Valle Imagna è stata per questo a lungo isolata e in contatto – quasi esclusivamente – con le contigue Val Taleggio e Valsassina, con cui condivide un patrimonio caratteristico unico: l’edilizia rurale di pietra. In questo territorio, l’utilizzo della pietra come unica risorsa insieme al legno è talmente singolare e caratteristico che si parla di «architettura vernacolare di pietra», intesa come architettura popolare spontanea tipica di un territorio.

La Pietra di Berbenno

La tipica pietra da costruzione dell’architettura rurale della Valle Imagna è oggi disponibile sul mercato con il nome di Pietra di Berbenno. Questa pietra è stata, fino al secondo dopoguerra, materia insostituibile per costruire i luoghi dell’abitare, del lavoro, della fede e della tradizione di quasi tutta la Valle Imagna. Dagli anni Sessanta in poi, in seguito all’avvento in campo edile di materiali “industriali”, come i mattoni e il cemento, l’utilizzo della pietra si è notevolmente ridimensionato; negli ultimi anni invece una più attenta gestione del territorio e valorizzazione dell’edilizia rurale ne ha rinnovato l’impiego e il mercato.

La scelta d’uso di questa pietra si perde nella notte dei tempi e deriva dall’abbondante disponibilità in loco e dalle proprietà del materiale, ben resistente e durevole, ma anche facilmente lavorabile e declinabile per tutte le destinazioni d’uso. L’impiego della Pietra di Berbenno è testimoniato in numerose ed antiche «contrade e cà» della Valle Imagna e costituisce l’elemento caratterizzante - nonché di maggior fascino - del paesaggio valdimagnino, soprattutto della sinistra orografica e più in quota della valle, unitamente all’alta Val Taleggio e di parte della Valsassina.

L’edilizia rurale è in quest’area talmente particolare che alcuni autori vi identificano un’“isola culturale” autonoma rispetto alle altre valli circostanti. Gli elementi distintivi e peculiari dell’architettura tradizionale della Valle Imagna e delle falde montuose attigue sono strettamente legati all’uso della pietra e all’organizzazione spaziale dei manufatti: la rustica semplicità della pietra, versatile ed idonea a qualsiasi funzione architettonica, determina forme, geometrie, volumi e colori. L’adattabilità di impiego del materiale lapideo è tale che anche il linguaggio locale ne evidenzia le specificità, attribuendo agli elementi in pietra due denominazioni ben diverse: «prída» e «piöda».

«Prída» è il termine usato per identificare le pietre squadrate, di varia dimensione e forma prismatica, utilizzate soprattutto per la costruzione dei muri perimetrali degli edifici, nonché dei muri di contenimento dei terrazzamenti e delle pavimentazioni delle mulattiere. «Piöda» è invece il termine usato per identificare le lastre impiegate nelle coperture dei tetti e per le pavimentazioni in virtù di morfologie lastrolari, dove lo spessore è nettamente subordinato per dimensioni rispetto alle due facce piano-parallele. «Prída» e «piöda» sono due “facce” dello stesso materiale, nonchè elementi fondamentali della tradizione insediativa locale delle cosiddette «contrade e cà» di pietra: Arnosto ne è l’esempio più noto, insieme a Cà Taiocchi, Cà Berizzi, Cà Gavaggio, Cà Magnano, Cà Danì, ai quali si aggiungono più o meno anonime le numerose case e stalle isolate che punteggiano il versante orientale della valle.

Questi antichi nuclei permettono di osservare gli elementi peculiari ed unici dell’architettura della Valle Imagna: le murature in «príde» con cantonali ben squadrati, la copertura a falde ripide in «piöde» e la caratteristica apertura del fienile a forma di “T”. Quest’insieme di caratteri insediativi ed ambientali tanto peculiari, di cui l’uso così accorto della pietra locale è protagonista indiscusso, è, secondo molti, uno dei segreti del genius loci della Valle Imagna. Sulla scorta di questa tradizione locale di utilizzo, la Pietra di Berbenno conosce oggi una nuova vocazione di utilizzo, anche fuori dai confini della Valle Imagna.

La lavorazione artigianale resta quella di una volta, affidata agli scalpellini che, articolando mani e pensiero, plasmano la roccia nelle forme note e consuete dei conci da muratura e degli elementi da pavimentazione. La rustica e sobria bellezza di questa pietra è infatti particolarmente apprezzata nell’edilizia residenziale, in esterno e in interno, per i rivestimenti a parete in conci regolari o per pavimentazioni in elementi anche di forma irregolare. Gli impieghi in esterno restano i principali, sia per la gradevolezza delle superfici a spacco, sia per la spiccata durabilità di questa pietra anche in contesti a clima rigido, con frequenti cicli di gelo-disgelo e sbalzi termici.

L’origine

Da un punto di vista geologico, le rocce della Valle imagna, oggi rappresentate dalla Pietra di Berbenno, sono rocce sedimentarie, petrograficamente classificabili come calcari omogenei e a grana finissima, di un caratteristico colore grigio ed appartenenti alla Formazione delle Argilliti di Riva di Solto, di età triassica (circa 215-210 milioni di anni fa). La formazione è costituita da una ritmica alternanza di strati di sedimenti marini dell’antico oceano della Tetide, costituiti da argille, fanghi calcarei e misti calcareo-argillosi, con spessore variabile da qualche centimetro a qualche decina di centimetri. Mentre si depositavano questi sedimenti, il nostro territorio si trovava molto più a sud, a latitudini tropicali e la Tetide stava vivendo un momento particolare: stavano infatti iniziando i primi eventi distensivi che hanno frammentato la preesistente piattaforma carbonatica, formando bacini più profondi e con elevati tassi di subsidenza.

CI trovavamo in un ampio golfo, caratterizzato da bacini chiusi e lagune, con fondali in prevalenza privi di circolazione di ossigeno e nel raggio d’azione delle tempeste. In base alle condizioni climatiche, si depositavano sedimenti detritici provenienti dalle terre emerse circostanti e sedimenti marini dalle piattaforme carbonatiche limitrofe. Il clima allora era determinato alternanze cicliche di lunghe fasi umide, da cui derivava un rilevante apporto al bacino di acque dolci e di sedimenti terrigeni (argilliti), e di lunghe fasi aride, con l’accumulo prevalentemente di sedimenti calcarei. Le rocce della Formazione delle Argilliti di Riva di Solto affiorano in Lombardia lungo una fascia ad andamento est-ovest dal lago di Lugano sino al Lago d’Iseo, localmente oggetto di escavazione sporadica.

Oltre ad essere un’importante risorsa economica, le rocce appartenenti alla Formazione delle Argilliti di Riva di Solto rivestono anche un rilevante interesse scientifico a livello globale. Presso un sito in Valle Imagna – la Valle del Brunone, in corrispondenza del paese di Ponte Giurino – si trova infatti uno dei siti paleontologicamente più importanti del mondo per il Triassico Superiore. Qui sono stati rinvenuti infatti centinaia di resti fossili eccezionalmente ben conservati. Si tratta di una fauna particolarmente ricca, in cui abbondano sia specie marine, come pesci, crostacei e meduse, sia specie terrestri, tra cui rettili e insetti. Tra i reperti più famosi, si ricorda la Italophlebia gervasutii, uno straordinario esemplare completo di libellula, perfettamente conservato anche nelle sue parti più delicate come per le ali impalpabili, ed un raro esemplare di rettile volante, l’Eudimorphon ronzii. Tutti i reperti sono conservati presso il Museo di Scienze Naturali E. Caffi di Bergamo e l’area è oggi riconosciuta «Monumento naturale»: l’eccezionale reperto di libellula ne è il simbolo.

Tutte le foto sono di Edilberbenno

Approfondimenti