93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Le formiche sono «ingegneri ecologici» e possono essere molto utili in agricoltura

Intervista. Le diverse specie di Formica rufa non sono le uniche ad abitare i boschi, le montagne e le zone urbane del nostro territorio. Ce ne sono altre, ciascuna con delle caratteristiche ben precise, tutte capaci di trasformarsi in un «superorganismo». E all’antropizzazione del territorio o al riscaldamento globale alcune risponderanno adattandosi, altre no

Lettura 6 min.
Un esemplare di Camponotus ligniperda (Marek Velechovsky)

Non si finisce mai di imparare quando si parla di formiche. E allora abbiamo chiesto a Cristina Castracani, etologa dell’Università di Parma specializzata in comportamento animale, di raccontarci alcuni dei tantissimi aspetti differenti di questo animale a dir poco sorprendente. Ripartendo da dove eravamo rimasti, cioè dalle Formiche rufa del nostro territorio.

«Cominciamo col dire che la Formica rufa è un gruppo che comprende diverse specie. Le Rufa vengono chiamate “formiche dei boschi” perché vivono nelle aree boschive e negli ambienti alpini. Sono caratterizzate da formicai costituiti da una calotta superiore che si chiama acervo, costruita con vari scarti vegetali: in questi acervi riescono a tenere regolare la temperatura dell’ambiente interno – più alta d’inverno e più bassa in estate – l’equivalente del nostro riscaldamento e condizionamento. In questo modo le Rufa riescono a sopravvivere in ambienti che altrimenti potrebbero essere “ostili”. Costruiscono nidi molto grandi, perché le colonie sono molto numerose e sono formiche molto aggressive che rendono difficile l’esistenza nelle zone dove vivono altri generi di formiche. Anche per questi motivi sono molto evidenti nell’ambiente».

LB: Nonostante l’aggressività delle Rufa, gli ambienti alpini sono popolati anche da altri tipi di formiche?

CC: Sì, sulle Alpi le Camponotus come le Camponotus ligniperda, le «formiche carpentiere» che vivono a stretto contatto con gli alberi. Sono fra le più grandi che abbiamo in Italia, le regine arrivano a misurare sino a 2 cm, dunque anche queste sono abbastanza evidenti. Sempre associate agli alberi ma capaci di vivere anche in città abbiamo le Crematogaster scutellaris, che sono le «formiche a cuore»: testa rossa, corpo nero e un gastro (la parte dell’addome posteriore al peduncolo, ndr) a forma di cuore. Sono più piccole ma molto aggressive. Nei campi coltivati abbiamo le formiche del genere Messor, le «formiche mietitrici», perché sono essenzialmente granivore, si nutrono di semi e parte di piante. Sono le formiche che formano quelle specie di “autostrade”, con tante formiche tutte in fila, che si vedono nei nostri ambienti. Alcune sono più grandi, altre più piccole. Quelle più grandi hanno la testa molto più grossa del corpo e di forma quadrata. È quello che chiamiamo polimorfismo funzionale, perché quelle che hanno la testa più grossa sono formiche soldato che proteggono le compagne più piccole lungo le piste di foraggiamento. Queste ultime sono le formiche foraggiatrici, cioè quelle che procurano e portano il cibo alla loro colonia.

LB: E in città oltre alle Crematogaster?

CC: In città abbiamo altre specie di formiche che si sono adattate ad ambienti più caldi quali sono gli ambienti antropizzati, come le zone urbane. Ci sono quelle del gruppo Tetramorium di tipo ceaspitum e Tetramorium immigrans, di cui abbiamo dimostrato l’esistenza nel Nord Italia. Sono le cosiddette «formiche dei marciapiedi», specie che vivono nei muri delle nostre case. Gli americani le chiamano «pavement ants».

LB: Nel loro libro «Formiche. Storie di un’esplorazione scientifica» (Adelphi), Bert Hölldobler e Edward O. Wilson dicono che «l’organizzazione dei membri della colonia è complessa e solida quanto basta per generare l’equivalente di un ben coordinato organismo gigante, il famoso superorganismo di insetti». Questa definizione oggi è ancora valida? E come si è evoluta?

CC: Assolutamente sì, tanto che proprio Wilson e Hölldobler hanno pubblicato altri libri fra cui nel 2020 uno che si intitola proprio «Il superorganismo» (Adelphi), per cui questo concetto è ancora assodato. Quanto trattiamo le formiche è importante capire a che livello stiamo lavorando, individuale o di colonia. Il concetto di superorganismo si è evoluto ed assieme ad esso è emerso il concetto di «proprietà emergenti», cioè che in realtà la colonia intesa come insieme di individui che vivono all’interno del nido ha delle capacità che vanno al di là della somma dei singoli individui. In altre parole, non è la semplice somma delle sue parti, ma qualcosa di più. Quello di superorganismo è un concetto che va tenuto ben presente: ad esempio è uno dei motivi per cui in certi contesti i superorganismi possono essere dei buoni bioindicatori. L’individuo ha un’aspettativa di vita limitata, mentre la colonia ha un’aspettativa di vita molto più alta, teoricamente immortale, perché se ad esempio muore una regina in certi casi può essere sostituita da un’altra regina e quindi virtualmente la colonia può durare per sempre – in realtà nel concreto anche la colonia ha una sua durata di vita. Un altro esempio dell’importanza del superorganismo riguarda come nel tempo una colonia si modifica, cosa che può dare un’idea se ci siano state delle perturbazioni ambientali o meno.

LB: Quando schiacciamo una formica, oltre ad uccidere un essere vivente, rechiamo anche un danno al superorganismo della colonia di appartenenza di quella formica?

CC: Dipende dal ruolo di quella formica. All’interno della colonia abbiamo individui che hanno compiti diversi. Fra questi c’è la formica regina, che è quella che produce le nuove formiche. È chiaro che se da una colonia eliminiamo la regina rechiamo un danno importante alla colonia, mettendone a repentaglio la vita stessa. Ma nella colonia poi ci sono formiche che hanno altri compiti, ad esempio le foraggiatrici che procurano il cibo e lasciano la colonia per cercarlo. Questi individui hanno un tasso di mortalità più alto, a causa del lavoro che fanno. La morte di una foraggiatrice è meno grave per la colonia, e il discorso vale anche per le formiche soldato. Tra l’altro è sempre bene ricordare che al mondo esistono fra le 13 e 14 mila specie di formiche diverse, quindi magari ci sono formiche che fanno il contrario di quello che le sto dicendo. C’è un libro che spiega bene queste cose e aggiorna con taglio divulgativo il libro del ’97 di Wilson e Hölldobler. È «Il formicaio intelligente» del professor Donato Grasso dell’Università di Parma.

LB: Le formiche quali vantaggi possono portare all’uomo?

CC: Dobbiamo pensare che le formiche non sono sulla Terra per l’uomo, esistono da ben prima dell’uomo, circa da 100 milioni di anni fa e hanno dimostrato una grande capacità di resistenza e adattamento. Un successo evolutivo che ci suggerisce che forse ci saranno ancora dopo l’uomo. Detto ciò, le formiche possono essere cibo per alcune culture oppure mediano una serie di servizi ecosistemici che hanno impatto sulla presenza dell’uomo sulla terra. Vengono utilizzate anche in medicina, per quanto riguarda la loro ghiandola metapleurale che ha lo scopo di produrre sostanze antibiotiche, utili a combattere i parassiti e i virus che si trovano sottoterra. I prodotti di questa ghiandola son stati studiati appunto per le loro proprietà antibiotiche.

LB: Interessante. C’è altro?

CC: Certamente. Alcune formiche producono dei filamenti di seta, simili a quelli dei ragni, che utilizzano per cucire le foglie tra di loro e costruire il proprio nido: questo è un altro prodotto che viene studiato in chimica e in medicina. Ci sono poi una serie di servizi legati al mantenimento degli ecosistemi stessi, per esempio è molto comune anche da noi che moltissime piante si affidino alle formiche per la disseminazione, cioè la diffusione dei loro semi. Ci sono piante che producono semi che si chiamano elaiosomi, i quali per metà sono il seme vero e proprio e per metà sono cibo che va alle formiche. Un po’ meno nota ma comunque importante è la funzione impollinatrice delle formiche.

LB: E per quanto riguarda il loro rapporto con il territorio?

CC: Le formiche vengono definite «ingegneri ecologici» perché sono in grado di modificare il terreno in cui vivono, costruendo gli acervi e anche scavando gallerie. Queste attività aumentano la porosità del suolo e ne modificano le componenti, perché magari strati di terreno che sono in profondità vengono portati in superficie dalle formiche e l’ossigeno penetra molto più in profondità rispetto a quando non c’è un formicaio. Si tratta di una modifica fisica, ma ci sono anche modifiche chimiche: è stato dimostrato che dove ci sono formicai cambia il ph del terreno. Di conseguenza le formiche modificano anche quello che si chiama «ciclo dei nutrienti» (la circolazione di elementi chimici tra ambiente fisico e organismi viventi, ndr), come il ciclo del carbonio o il ciclo dell’azoto. Senza dimenticare l’utilità che le formiche possono avere in agricoltura.

LB: Tipo?

CC: La Formica rufa viene studiata parecchio e viene usata come formica predatrice contro insetti che sono dannosi per i boschi, come la processionaria. Il mio gruppo di ricerca sta cercando di capire se le formiche nei campi agricoli possono essere utili come indicatori ambientali ma anche per contrastare degli insetti invasivi, come l’Halyomorpha halys, questa cimice asiatica che sta creando tanti problemi all’agricoltura in Italia.

LB: Oggi, fra riscaldamento globale e antropizzazione del territorio, quali sono le insidie per le formiche?

CC: Sicuramente le modifiche dell’ambienti possono essere un’insidia, ci sono specie che si adattano meglio e altre peggio, di solito sono quelle più particolari e specializzate. Le Formiche messor, ad esempio, sono formiche granivore tipiche degli ambienti caldi, per cui in città trovano una possibilità di adattamento e riescono a sopravvivere meglio. Tuttavia le modifiche degli ambienti stanno modificando le specie presenti. Ci sono specie di formiche invasive che giungono in un ambiente modificato dall’uomo e le specie presenti non riescono a contrastarle. Il riscaldamento globale invece è certamente un problema per l’adattamento delle specie più abituate ai climi freddi, che subiscono l’aumento della temperatura e cominciano avere dei problemi. Il mio gruppo di lavoro sta studiando il comportamento delle specie autoctone rispetto ai cambiamenti in corso e le nuove specie che si presentano sul territorio, anche chiedendo ai cittadini di segnalarle attraverso un progetto di Citizen Science che si chiama «School of Ants: a scuola con le formiche». In ogni caso, essendo così diverse nell’adattamento e nelle specie le formiche non si estingueranno mai del tutto, alcune sopravvivranno ai cambiamenti del clima e all’antropizzazione, altre invece no. Con tutto ciò che ne consegue per la biodiversità del territorio.

Approfondimenti