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«Senza respiro» di David Quammen: la scienza «precaria», l’immaginazione di cui abbiamo bisogno e la complessità del mondo

Articolo. Lunedì 21 novembre il celebre scrittore e divulgatore americano sarà a Bergamo, all’Auditorium di piazza Libertà (ore 18), per un incontro organizzato da «BergamoScienza». Presenterà il suo ultimo libro, un racconto a più voci (scientifiche) dei primi tre anni di Covid-19, che ha la forza di un romanzo-mosaico su un’entità non vivente affascinante e terribile

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(foto View Apart)

Qualche sera fa, con la mia auto nel traffico frenetico dell’orario di uscita da lavoro, quando ormai era buio e l’asfalto bagnato dalla pioggia rifletteva le luci dei fari delle altre vetture, ascoltavo un pezzo di Arvo Pärt, «Fratres» . Una composizione per violini e percussioni di particolare intensità, che in quasi dieci minuti alterna archi “brulicanti”, visioni vagamente angosciose, falsipiani malinconici, diversi momenti di silenzi e suono contrassegnati da ieratici colpi di percussione, ma anche una forte accoratezza, degli improvvisi spiragli di luce e un finale scuro, eppure in qualche modo rinfrancante.

Per uno di quei pensieri associativi che a volta capitano, ho pensato che il brano di Pärt avrebbe potuto essere la colonna sonora ideale dell’ultimo libro di David Quammen, «Senza respiro» (Adelphi). Un’accurata ricostruzione dei primi tre anni di pandemia, con una particolare attenzione ai mesi in cui il Sars-Cov-2 cominciò a diffondersi, prima in Cina – nell’ormai celebre mercato «Huanan» di Wuhan, dove venivano venduti animali selvaggi, vivi o morti – e poi nel resto del mondo, Italia e provincia di Bergamo compresi, con le sofferenze e il grande numero di morti di cui sappiamo bene: per chi avesse poca memoria sino ad oggi il Covid-19 ha fatto 6.583.588 morti (dato OMS dello scorso 10 novembre), di cui circa 180 mila in Italia e fra questi 43.353 in Lombardia (dato CSSEGISandData aggiornato al 14 novembre).

Se uno dei compiti della letteratura è tentare di dare un ordine al caos, allora possiamo tranquillamente dire che «Senza respiro», oltre ad essere un gran bel libro di divulgazione scientifica scritto da uno dei più importanti divulgatori del nostro tempo, si avvicina molto alla letteratura. E ciò che lo distanzia da essa è che nelle 526 pagine del libro (in verità 410 pagine di narrazione e poi crediti, note, bibliografia e indice analitico) non c’è un grammo di fiction. Al massimo qualche ipotesi logica partendo però da dati concreti. Quammen ha una formazione umanistica, è laureato a Yale, e nel corso degli studi universitari a Oxford ha studiato letteratura, ha approfondito a lungo le opere di William Faulkner.

Non è un caso, e lo ammette lui stesso, in uno dei passaggi del libro che sono probabilmente la chiave di lettura di tutta l’opera: «La mia formazione accademica non è scientifica ma prevalentemente letteraria, e questo principio di indeterminazione (a cui si riferisce poco sopra, ndr) l’ho acquisito non dal fisico Werner Heisenberg, ma dal romanziere William Faulkner. Più di cinquant’anni fa, quando lessi Faulkner per la prima volta e ne fui ammaliato, la cosa che mi colpì più di tutte, quel grano di saggezza che sottendeva le sue storie e il modo in cui le raccontava, fu che la verità circa qualsiasi avvenimento o individuo è frammentata, e quei frammenti sono disponibili solo a partire da diversi punti di vista».

Cosa sono questi frammenti? Sono le voci dei quasi cento scienziati fra epidemiologi, epidemiologi evolutivi molecolari ed esperti di natura e ambiente che formano una sorta di romanzo polifonico sulla storia angosciante e affascinante di un virus dal contagio velocissimo e dalla capacità di evolversi altrettanto rapida (per cui conosciamo le varianti alfa, beta, gamma, omicron, etc.). Il quale, come unico obiettivo, non ha quello di eliminare l’uomo dalla faccia della Terra ma di preservare sé stesso e prolungare la propria vita il più possibile.

«Senza respiro», dunque, è prima di tutto un’avvincente narrazione sulla scienza che, come scrive Quammen, è «un’attività umana; gli scienziati sono persone che si impegnano e si sacrificano, prendono cantonate e sono vittime della sfortuna, rispondono a incentivi di carriera e pressioni personali, proprio come tutti gli altri. Sono fallibili. Sanno cose che il resto di noi non sa, ma non hanno risposte a tutte le domande urgenti sul Sars-CoV-2. Una cosa però la sanno, almeno i più saggi, ed è che le loro conoscenze sono frammentarie e provvisorie. La scienza è sempre provvisoria». Ma è soprattutto una risposta straordinariamente benefica a ciò che sono stati, oltre alle morti e al dolore, i mesi psicologicamente più duri della pandemia nel nostro Paese.

Un periodo che, ripensato oggi, risulta nefando per la quantità di informazioni false o imprecise che ci sono arrivate addosso, per quell’invasione di epidemiologi in tutte le trasmissioni e su tutti i canali – in una sorta di gigante sbrodolamento dell’ego, con scienziati che si contraddicevano fra loro come se la pandemia fosse una gara e non un problema di portata enorme – e per la continua accentuazione emotiva di ciò che stava accadendo da parte di (quasi) tutti i media (senza contare l’impreparazione politica all’evento, nonostante la comunità scientifica denunciasse almeno dal 2003, anno della Sars, il rischio di un coronavirus eccezionalmente letale per l’uomo).

A tutto ciò, a quella che chiamiamo infodemia ma che in realtà è uno smisurato travisamento della realtà reale, «Senza respiro» contrappone una narrazione franca e calma (anche se il covid-19 è tutt’altro che scomparso), precisa, piena di dati, approfondimenti, anche errori e voci discordanti (perché, appunto, «la scienza è sempre provvisoria») che però mostrano con grande chiarezza cosa sappiamo del virus e come proceda la ricerca scientifica, cioè per tentativi, avanzamenti e retromarce, scoperte che aprono altre scoperte, entusiasmi e delusioni. Costruendo pagina dopo pagina un mosaico per forza incompleto, ma la cui figura rappresentata è sufficientemente chiara («Gli scienziati possono dirci molte cose, sull’origine di un virus e sulla direzione che potrebbe prendere, ma non possono dirci tutto»).

Sars-Cov-2 è il virus archetipo della complessità, di un mondo straordinariamente interconnesso fra umani, essere viventi (i pipistrelli, i pangolini, ma anche i cani procioni, gli zibetti, i serpenti, i tassi, solo per citarne) e luoghi (le miniere, i laboratori, i mercati, ma si potrebbe continuare oltre), attraversato in diagonale dalla tecnica come possibilità di miglioramento o come “vaso di pandora”, per cui se l’ipotesi più probabile del contagio è lo spillover diretto (cioè da animale a uomo) o indiretto (cioè da un animale «serbatoio» all’uomo passando per un animale «intermedio»), non è da scartare la possibilità che Sars-Cov-2 sia frutto di un esperimento e di un conseguente errore in laboratorio: «Sebbene il team abbia concluso che una fuga da laboratorio sia l’ipotesi meno probabile, sono comunque necessarie ulteriori indagini...», si legge nel rapporto congiunto Oms-Cina del 30 marzo 2021 – e va detto, come sottolinea l’autore, che dal momento in cui la questione virus avrebbe potuto danneggiarne l’immagine, il governo cinese ha di fatto smesso di collaborare pienamente alle ricerche.

Quammen traccia per ogni scienziato interpellato un breve profilo che fa emergere l’umanità del singolo individuo – lo fa soprattutto su Zoom, perché «Senza respiro» è un libro nato davanti al computer, a differenza di «Spillover», che vedeva lo scrittore americano saltare da una parte all’altra del globo. E fra i tanti “personaggi” del suo romanzo sono alcuni ad emergere per coraggio, capacità d’intuizione o visione, oppure perché nella tragedia riescono a creare una situazione divertente.

È inutile trattenere un sorriso stucchevole quando il celebre virologo Tony Fauci comincia a impersonare il virus davanti a Quammen. Ce lo si immagina, seduto alla sua scrivania, muoversi in modo contorto e fare facce bizzarre mentre recita beffardo la sua parte e spiega come “ragiona” il virus: «Voglio essere un cattivo davvero unico […] Voglio una situazione in cui il quaranta per cento delle persone che contagio non sappia nemmeno di essere stato contagiato. Voglio che siano completamente asintomatici […] Voglio che le infezioni circolino» in modo che «il cinquanta per cento sia trasmesso da persone prive di sintomi. Tutte queste persone giovani e asintomatiche... loro non mi interessano davvero […] Non ho intenzione di sbarazzarmi dell’intera popolazione. Farò solo un sacco di danni [… ] Gli anziani. E le persone con patologie di base […] Sono un ibrido. Sono un virus che fa pochissimi danni, in molte persone non provoca sintomi […] Mentre allo stesso tempo posso essere assolutamente letale per un gran numero di persone che, per qualche motivo, risultano vulnerabili».

Ed è sorprendente ciò che dice l’epidemiologo Ali Khan, preside del College of Public Health della facoltà di medicina dell’Università del Nebraska, uno che è andato in Sierra Leone per il virus Ebola, in Oman per la febbre emorragica Congo-Crimea, in Brasile per la sindrome polmonare da hantavirus, in India per il vaiolo delle scimmie in India ed è stato fra coloro che ha dato un contributo fondamentale alla ricerca su Sars-Cov-2. Ad un certo punto del libro, Quammen gli chiede «Perché la maggior parte dei paesi – e in particolar modo gli Stati Uniti – si erano rivelati tanto impreparati? Per mancanza di informazioni scientifiche, o di soldi?». «Per mancanza di immaginazione» risponde Khan. Ed è una risposta spiazzante, perché fatichiamo a collegare l’immaginazione alla scienza (più facile collegarla all’arte). Ma è proprio di questa immaginazione – della capacità di vedere oltre il quotidiano e immaginare quale futuro vogliamo per noi e il nostro pianeta – che abbiamo bisogno. «E l’immaginazione, ovviamente – chiosa Quammen – si regge sul passato» perché non si ripeta in futuro. È quel puntino nero con cui Quammen, in una metafora assai calibrata, vede Sars-Cov-2 avvicinarsi a noi. Un puntino che non riguarda solo il virus, quest’entità non vivente affascinante e terribile, ma tanti aspetti delle nostre vite che ci stanno venendo sempre più addosso. E su cui dobbiamo essere sempre più consapevoli e preparati.

«Per decenni lo avevano visto avvicinarsi, come un puntino scuro all’orizzonte delle pianure del Nebraska, che procedeva rombando verso di noi con velocità e forza incalcolabili, come un tir carico di polli o di acciaio andato fuori controllo. Sapevano che l’agente della prossima catastrofe sarebbe stato quasi certamente un virus. Non un batterio come nel caso della peste bubbonica, non qualche fungo mangia-cervello, e nemmeno un protozoo complesso del genere che causa la malaria. No, un virus – e più precisamente un virus “nuovo”, non del tutto sconosciuto, ma da poco identificato come contagioso per gli esseri umani».

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