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#coseserie: «Privacy», l’intimità disseminata nella rete non è più una questione privata

Articolo. La serie tv spagnola creata da Veronica Fernandez e Laura Sarmiento unisce due donne apparentemente diverse tra loro, accomunate da un destino comune: la violazione della privacy. Un tema che tendiamo ad evitare, soprattutto quando parliamo di revenge porn. Nella certezza che non capiterà mai a noi, ma sempre a qualcun altro. Una persona che da quel momento in poi ci preoccuperemo di mantenere a debita distanza

Lettura 5 min.
Il cast di Privacy

Ci sono due motivi per i quali ho scelto di vedere «Privacy». Il primo ha a che fare con l’antipatia conclamata che nutro nei confronti di Itziar Ituño o meglio, del personaggio che interpreta ne «La casa di carta», la celebre ispettrice che perde la testa per Il professore. Il secondo è che la serie, almeno nell’incipit, mi ha fatto pensare allo spot che precede il lancio del nuovissimo IPhone 13.

La pubblicità è incentrata proprio sul concetto di «tutela della privacy» e vede la protagonista partecipare provocatoriamente ad un’asta che ha come oggetto la misteriosa vendita di un tesoro digitale: i dati privati dell’incantevole Ellie . I lotti a disposizione sono le sue e-mail, le transazioni, la cronologia di navigazione e delle posizioni, i suoi contatti, i messaggi scambiati «in tarda notte» e le informazioni sugli acquisti fatti.

Il corsivo è qui volutamente allusivo, ed è curioso che Tim Cook, amministratore delegato di Apple, definisca la privacy un diritto inalienabile, mentre dall’altra parte del mondo ci sono stati come la Cina nei quali sono centinaia di migliaia i giovani che vengono sfruttati fino alla morte per la loro produzione in serie. Tuttavia, di fronte al progresso, ci sono cose che preferiamo non vedere, tipo le condizioni di utilizzo che spuntiamo quando visitiamo un sito web o dobbiamo accedere a delle informazioni che ci sembrano vitali, perché accettiamo con un certo spirito di sudditanza che sia in fondo il giusto prezzo da pagare, vista la loro gratuità.

Perdonerete la digressione, ma del resto, se in questa rubrica le serie tv sono l’espediente narrativo per tirar fuori dei risvolti politici da questa forma di intrattenimento, sappiate, per chi avrà il coraggio di arrivare alla fine, che questo è solo l’inizio.

Tutti abbiamo dei segreti (che non vogliamo rivelare a nessuno)

Innanzitutto, «Privacy» è la versione italiana del titolo originale della serie «Intimidad», una parola a mio avviso evocativa, suggestiva che rende conto di come la privacy abbia a che fare con l’invasione di quella sfera intima e personale che si accompagna, infatti, a predicati quali violazione, invadenza, permesso, accesso, autorizzazione.

Non a caso, la prossemica – ovvero la scienza che studia il significato che assume la distanza nel comportamento sociale e nella comunicazione – identifica la distanza intima come quello spazio compreso tra i 15 e i 45 cm che sono tipici del contatto erotico ma anche della lotta e più in generale un coinvolgimento corporeo diretto nel quale la distanza è così ravvicinata da impedire una visione chiara e distinta. La vicinanza compromette anche il campo visivo, i tratti fisici appaiono deformati, tanto da diventare quasi fastidiosa. Ecco perché l’invasione repentina della propria sfera intima è riconosciuta nella maggior parte dei casi come un segno di maleducazione.

La serie è ambientata a Bilbao, centro nevralgico attorno al quale si snoda la carriera politica di Malen (Itziar Ituño) che ricopre il ruolo di vicesindaco e che aspira alla carica di primo cittadino per le prossime e imminenti elezioni. Tutto sembra indirizzarla verso la vittoria: Malen incarna il prototipo della donna in carriera sicura di sé, che è riuscita ad affermarsi in un mondo come quello della politica dominato dalla mascolinità tossica. Ma ecco che puntualmente arriva un evento catalizzatore a rovinare i piani e la reputazione: un video che la ritrae mentre è in intimità con uno sconosciuto sulle spiagge francesi nelle quali si rifugiava per fare surf.

Il video si diffonde in pochi minuti sugli schermi di telefoni, pc, in televisione, perché ai tabloid e all’algoritmo di internet non gliene importa niente dei tuoi affetti, di tua figlia che frequenta al liceo, di tuo marito che ti ama comunque, perché è sempre stato abituato a guardarti dall’alto e in fondo gli va bene così. Dall’altro capo del filo c’è Ane (Veronica Echegui) che lavora come operaia in una fabbrica. Una ragazza fragile con lo sguardo che profuma di vita e di famiglia. Quella che le promettono gli occhi buoni del suo compagno. «Saresti una buona madre» – le ripetono tutti e lei quasi ci crede davvero.

Ane, però, al contrario di Malen, ha un’anima fragile, e soffre di una dipendenza emotiva che la spingerà a dare il suo consenso per farsi filmare da un ex fidanzato violento durante un rapporto sessuale. Lo stesso diffonderà per vendetta i filmati, facendoli circolare tra i dipendenti della fabbrica in cui Ane lavora. Ciò la renderà immediatamente preda delle risa, degli sguardi, del sospetto. Le sue richieste di aiuto rimarranno inascoltate dai dirigenti, naturalmente uomini, che anzi si uniranno al perfido al gioco degli scherni.

Ecco allora che la vergogna e il senso di inadeguatezza si insinueranno tra le aspirazioni, si faranno spazio tra i sogni, sopraggiungendo in quello spazio intimo. Arriveranno talmente vicini da offuscare la mente e stritolare il futuro. La diffusione virale del video avrà un effetto irreversibile nella vita di Ane: le sarà fatale: «Non guardami così, neanch’io credevo di fare questa fine. Ero seduta lì, come te e pensavo che la mia vita andasse bene. Ma sono stata tradita. Hai mai riposto la tua fiducia in qualcuno? Io sì. Pensi di essere al sicuro ma non lo sei. Tutti nel profondo nascondiamo dei segreti e tremiamo al pensiero che vengano scoperti. Anche tu.»

Cechiamo la luce e allontaniamo le tenebre (e siamo colpevoli)

La morte di Ane porterà alla ribalta il personaggio di sua sorella Bego (Patricia López Arnaiz), un’insegnante con lo sguardo stanco che sembrava non sentirsi mai all’altezza della purezza d’animo di Ane e del suo sorriso ingenuo. È così che il loro rapporto si costruirà attorno ad un «per sempre» fatto di domande rimaste in superficie, tra un circostanziale «Come stai?» e un «Sono solo stanca perché ultimamente dormo poco».

Le tecnologie e gli smartphone sono strumenti potentissimi nella misura in cui tra le altre cose ci hanno resi più vicini. Internet è diventato uno dei luoghi privilegiati all’interno dei quali sperimentare la sessualità ma questo può diventare un’arma a doppio taglio, soprattutto tra i giovani. Le persone si scattano continuamente foto in cui sono esposte completamente, per gioco, per divertimento, per condividere quello spazio intimo di cui parlavamo all’inizio. In un atto di cieca fiducia nella quale ci mettiamo a nudo, in senso lato e no, senza pensare troppo alle conseguenze, o meglio, sperando che non ce ne siano, che non riguardino noi. Che quei fatti di cronaca che parlano di revenge porn siano distanti dal nostro vivere quotidiano.

«Intimidad» porta a galla anche un altro tema, quello del suicidio con la metafora dell’acqua che non è casuale ma allude al mare nel quale Ane si immerge, senza mai più vedere la luce del sole. «Dagli altri ci si aspetta luce, forza, anche tu nascondi lo sporco, la parte debole e piangi solo quando nessuno ti sente. Nessuno conosce i pensieri che fai alle quattro del mattino. Hai notato che quando la vita ti travolge gli altri a poco a poco si allontanano? Ma non lo ammetterebbero mai, ovviamente. Però anche tu ti sei stufata di quell’amica depressa, di tua madre quando vede tutto nero e hai spento la televisione quando la notizia era troppo triste. È quello che facciamo tutti: cerchiamo la luce e lasciamo indietro i deboli».

Da qui per Bego inizierà una battaglia con la giustizia per individuare i responsabili della diffusione del video. Ma per cercare la verità dovrà indagare, spulciare tra le sue conversazioni, curiosare nel suo spazio privato, ancora. Finendo per trovare, riassunta nel cellulare di Ane, una persona diversa dalla ragazza spensierata e ingenua che credeva di conoscere. Una persona tormentata, confusa, in balia di uomini coi quali era accondiscendente pur di non rischiare di perderli.

Ma quando qualcuno muore, fino a che punto abbiamo il diritto di immergerci nella sua intimità? Di curiosare nei cassetti del suo passato? Di leggere nel suo privato?

Donne che odiano gli uomini e femminilità irrisolte

La debolezza della trama risiede nel fatto che l’affermazione della femminilità passa inevitabilmente attraverso la sconfitta di uomini disegnati come spregevoli, brutali o insignificanti per il ruolo che ricoprono: dal consigliere di Malen, fino al marito dipinto come l’uomo accondiscendente di turno che ingoia tutti i rospi per il bene di una donna che vede solo sé stessa.

Dal canto loro, le figure femminili, sembrano inseguire un obiettivo che non si concretizza mai del tutto: Malen che diventa sindaco ma nel frattempo si è lasciata dietro un amante, un video che la ritrae nuda, il ricatto ad un partito di cui fa il gioco, nascondendone le malefatte pur di continuare a fare il suo. E pure Bego che rimarrà sempre col rimorso di aver perso una sorella senza mai averla conosciuta fino in fondo.

In conclusione, «Privacy» ci dà la conferma di come l’intimità sia un concetto inafferrabile e dai confini sempre più sfumati. Ma anche che la necessità di ricalcare, solcare, evidenziare, tracciare con forza dei limiti, ci chiama in causa, ci riguarda e ci rimette dentro tutti. Oggi più che mai.

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