93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

#bergamaschidalmondo: Shilpa Bertuletti, unire Bergamo e l’India attraverso la danza

Racconto. Per certi aspetti la storia di questa giovane danzatrice di Odissi assomiglia alla trama di un film. Una pellicola colorata, piena di suoni, balli, profumi e persone, in cui la terra d’origine è protagonista indiscussa e la nostra città svolge un ruolo fondamentale

Lettura 4 min.
(Giulio Limongelli)

Il nome Shilpa, in sanscrito significa “arte scultorea”, in indi viene tradotto più semplicemente con pietra, un significato che Shilpa Bertuletti si sente perfettamente cucito addosso: “La pietra rappresenta la solidità, ma anche la mia determinazione. Da quando ho iniziato ad appassionarmi e a studiare danza indiana sono stata via molto tempo, mi alleno regolarmente circa due ore al giorno e ho dimostrato a me stessa la costanza che questa disciplina richiede”.

La danza indiana praticata da Shilpa si chiama Odissi ed è uno degli antichi stili classici della danza indiana, originario dello stato dell’Orissa, nell’India orientale. Come altre discipline simili, integra a dei passi di danza la gestualità delle mani e una marcata mimica facciale, necessari a raccontare delle storie ispirate alla vita e alle vicende delle divinità indiane, ma anche il rapporto dell’uomo con la natura e i suoi elementi.

Shilpa oggi ha 33 anni e coniuga la sua enorme passione per la danza al lavoro da bibliotecaria. Quando però è arrivata in Italia, precisamente a Osio Sotto, aveva circa undici mesi e di danza indiana non sapevano nulla, né lei, né i suoi genitori adottivi. Per molto tempo ballare è coinciso con l’indossare tutù e scarpette e appassionarsi a tal punto ad una disciplina da scegliere di scrivere una tesi per l’Università di Bologna proprio sulla danza e il folklore.

Se questa storia fosse un film, dunque, le immagini si susseguirebbero abbastanza veloci fino a questo punto, mostrando una bambina che cresce e una sorta di germoglio latente che in questo preciso momento inizia ad agitarsi e a chiedere di sbocciare. Nonostante l’accento bergamasco, infatti, i tratti indiani di Shilpa sono evidenti e la sua lontana terra d’origine in qualche modo la chiama. Il primo passo per ricreare questo legame è da studiosa, Shilpa torna in India per cercare materiale con cui scrivere la sua tesi.

Ho frequentato l’università di studi orientali a Bologna – racconta – e per la tesi sono andata a Bangalore, nella regione del Karnataka, quella da cui provengo. Qui ho partecipato a una lezione aperta di danza Odissi e ne sono rimasta folgorata. Tutto mi affascinava, la sinuosità dei movimenti e soprattutto una corporeità che sentivo molto più vicina alla mia”.
Sul volo di rientro per Bergamo potrebbe comparire la schermata nera che segna la fine del primo tempo e l’inizio del secondo, il cui sottotitolo d’introduzione potrebbe essere “Tu sei nata per questo”.

In un mondo normale, le possibilità che proprio Bergamo – la provincia che aveva accolto una Shilpa bambina e l’aveva cresciuta – potesse restituirle anche la conoscenza della cultura delle sue radici attraverso la danza sono scarsissime. Eppure, poiché questa storia assomiglia sempre più alla trama di un film, è proprio quello che accade.

All’epoca del mio viaggio io non sapevo niente dell’esperienza del Teatro Tascabile di Bergamo, dei danzatori indiani che Renzo Vescovi aveva invitato in città già negli anni Settanta e non avevo idea del fatto che avrei potuto imparare ben tre stili diversi di danza indiana. Insomma, senza immaginarlo mi trovavo nella città migliore”. Shilpa, appena torna a casa, entra in contatto con questa realtà e decide di seguire il destino, iniziando le lezioni di danza indiana. Una delle sue prime insegnanti è Simona Zanini, bergamasca doc nonché una delle ballerine di Bharata Natyam più apprezzate d’Europa.

È stata lei a dirmi, dopo la prima lezione, ‘tu sei nata per questa cosa’. Da quel momento non mi sono più fermata. Con Simona ho studiato due anni, poi ho deciso di andare in India per specializzarmi nella danza Odissi, la prima disciplina che avevo incontrato durante il mio viaggio. Ho vissuto lì altri due anni, dedicandomi a un training intenso. Mi allenavo anche otto ore al giorno e ancora adesso, appena posso, torno in India per perfezionarmi”.

Insieme alla danza Shilpa abbraccia anche uno stile di vita: “Quando mi esercito, anche in questi giorni a casa, è come se vivessi in un’oasi felice, cambia il mio modo di pensare, di vedere le cose, aumenta la mia attenzione alla natura che reinterpreto nella danza”.
A questo punto della pellicola il ritmo rallenta perché nasce spontaneo un divario fra due differenti concetti di casa che devono trovare un equilibrio.

Certo, ho pensato di rimanere in India, ma per varie ragioni sono tornata. Quando sono lì mi sento molto a mio agio, soprattutto perché riesco a essere ‘una delle tante’, dato che fisicamente le donne sono come me. Posso passare totalmente inosservata in un modo che a Bergamo non sarà mai possibile, ma io mi sento italiana e, quando penso a casa, penso a questo posto, dove ho scelto di restare dopo un lungo percorso. Ho sempre creduto infatti di non voler rimanere a Bergamo, ma un paio di anni fa mi sono messa il cuore in pace perché ho imparato a vivere l’essere a misura d’uomo di questa città, con un fermento culturale che c’è ed è presente. Senza dimenticare che Bergamo mi permette di spostarmi agevolmente per tutta l’Italia in occasione dei miei spettacoli e delle performance”.

In conclusione Shilpa racconta: “Io credo di essere stata fortunata e percepisco che attorno a me si sia chiuso un cerchio che mi ha permesso di ritrovare proprio nella provincia che mi ha adottata, la possibilità di portare avanti l’arte che ho scelto e che mi lega al mio Paese d’origine. Danzare per me è diventato un modo per far conoscere questa cultura, ma è anche una piccola forma di rivendicazione che mi è concessa di fronte a tanti piccoli atti di razzismo che ho vissuto fin da piccola. Non sto parlando di gravi episodi, ovviamente, ma di piccole forme quotidiane di discriminazione per le quali, per esempio, sul lavoro prima rivolgono la parola alla mia collega, pensando che io non parli italiano, ed altri episodi di questo tipo. In questo senso approfondire la mia cultura d’origine è un modo per portare qualcosa che fa parte di me e che qui non si conosce. Mostrarne la bellezza e riuscire a coinvolgere e appassionare chi la guarda, creando un legame”.

Nei titoli di coda di questa storia ci sono i sogni e gli obiettivi di una ragazza che spera di poter sviluppare la sua passione insegnando danza Odissi agli adulti, ma soprattutto a bambini e ragazzi: “Alcuni degli eventi che realizziamo, soprattutto quelli che vedono tra il pubblico i più piccoli, mi hanno mostrato come loro siano affascinati da queste performance, perché ne colgono l’aspetto narrativo. È lo stesso riscontro che ho avuto lavorando nelle scuole all’interno dei tanti progetti interculturali che ci sono. E sì, mi piacerebbe poter avere un corso in futuro tutto mio, ma questo mi fa scontrare con il fatto che il settore culturale ha una serie di innumerevoli problemi ed è tutta un’altra storia”.

Approfondimenti