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#allamiaetà: Cinzia Mascheroni e l’arte di vestire i sogni. Una sarta dietro le quinte del Donizetti

Racconto. Ago, filo e almeno tre assi nella manica per la responsabile della sartoria del teatro cittadino. Suo è il racconto di tutto ciò che rende possibile la magia in scena, ma che il pubblico non vede: tra abiti che hanno oltre sessant’anni, costumi da realizzare in carta o neoprene e cambi d’abito da fare in soli novanta secondi, il tutto per una passione che cattura dall’alba al tramonto

Lettura 5 min.
Cinzia Mascheroni

È la sera della prima, il sipario rosso del Donizetti è chiuso. Il primo atto di un’opera lirica è appena finito. Qualche minuto e lo spettacolo ricomincerà. Dietro le quinte c’è una tensione fortissima, come ogni volta, in particolar modo se si tratta del debutto: deve funzionare tutto e guai se non funziona. Per gli attori, per i macchinisti, ma anche per la sartoria e i costumisti. La protagonista deve fare un cambio d’abito. A volte ci sono dieci minuti di tempo, attorno a lei tre sarte tutte insieme in camerino lavorano in sincrono, curando l’orlo, il colletto e il velo del cappello. Altre volte si ha poco più di un minuto per il cambio costume e tutta la pressione di non poter sbagliare una virgola.

Non si può scordare nulla, dettagli e accessori come una spilla o una sciarpa possono essere funzionali allo svolgersi di un’intera scena. Non si può lasciare niente al caso. Potrebbe incepparsi una cerniera, rompersi un pantalone o saltare un bottone all’ultimo, ma bisogna avere già una soluzione, ancor prima che si possa presentare un problema. Ci vogliono spille per adattare un pantalone, aghi con fili già pronti per cucire uno strappo per una giacca indossata troppo in fretta. Lo stress è alle stelle. Non basta un solo asso nella manica, ce ne vogliono almeno due, meglio tre. A volte poi i sarti, insieme alla frenesia della vestizione, diventano anche i confidenti di attori in panico, che entrano in scena sicuri, ma che nel buio delle quinte si faranno il segno della croce ogni volta prima di mostrarsi al pubblico. «Sono andato bene?», «Ce la farò?» e la rassicurazione arriva insieme a un orlo risistemato al volo.

Ogni volta la tensione è alle stelle, ogni volta la magia del teatro si ripete, grazie al lavoro febbrile di chi sta dietro le quinte, come Cinzia Mascheroni, la responsabile della sartoria del Teatro Donizetti, che ha condiviso questo racconto di «un mondo fantastico in cui entro la mattina quando il sole non è ancora sorto e me ne esco quando fa buio». Da sempre immersa in questo ambiente, la sarta lecchese ne adora la frenesia, la creatività e l’opportunità di lavorare insieme a tutte quelle persone invisibili al pubblico, che rendono possibile la meraviglia sul palco.

«Il mio lavoro è vestire i sogni», dirà più volte la sarta nel suo racconto appassionato di un mestiere dove l’arte e l’artigianato si incontrano. Tutto per lei è partito in famiglia. Una nonna modista e cappellaia con una grande cultura e una passione particolare, le figurine Liebig. «Quando ero piccola con i dadi di quella marca ti regalavano delle figurine dove erano rappresentate bellissime scenografie, i protagonisti avevano dei costumi incredibili e io le sfogliavo una ad una, mentre poco più in là mia nonna lavorava ai suoi abiti con dedizione e passione. Penso che la scintilla siano stati queste due cose, poi è arrivato un laboratorio sartoriale a Lecco e le prime collaborazioni con le compagnie teatrali, il Teatro Sociale della mia città e infine sono approdata alla Fondazione Donizetti».

«Moltissimo è cambiato nel tempo: anche nel mondo del teatro il consumismo e la bassa qualità delle materie prime sono arrivati a stravolgere le cose. – spiega – Una volta anche gli abiti di scena dovevano durare, oggi è tutto più commerciale. Ancora adesso alla Scala per degli spettacoli noleggiamo costumi che risalgono agli anni Sessanta, epoca delle produzioni di Zeffirelli e sono ancora perfetti. Prima si ragionava davvero sulla ricerca qualitativa delle materie prime, oggi nel nostro caso non ci sono tournée, lo spettacolo finisce lì e comunque qualitativamente anche i materiali sono più scadenti e i fondi si sono ridotti. Detto ciò, anche con poco budget si possono sempre trovare soluzioni ottimali».

«Le cose sono comunque cambiate e ci sono mode anche per noi: il velluto ad esempio non lo vuole più nessuno, è parte di un’epoca retrò. Oggi si ragiona su materiali alternativi, stravaganti. Mi sono trovata a fare dei costumi in una fibra plastica, il neoprene e altre cose particolarissime. La sfida è stata capire come cucirle». Non è solo la creatività, ma anche la capacità di risolvere problemi tecnici e strutturali a far parte delle competenze di un sarto o una sarta teatrale: «Siamo molto affini al mondo delle sfilate, dove in passerella si vedono abiti molto complessi, che non sono certo quelli con cui usciresti a fare la spesa. Come si sostiene una gonna enorme che si usava all’epoca in cui è ambientato lo spettacolo? Come si dà una spinta a un mantello che ha ideato un costumista? Sono tutte questioni su cui noi ci ingegniamo, considerando anche che poi gli abiti dovranno essere indossati e dovranno sia permettere movimenti agevoli, sia essere resistenti» .

Dietro un abito, oltre alla creatività e alla tecnica, ci sono anche tantissime persone, soprattutto se si producono tutti i costumi e non si fa solo assistenza, come nel caso degli appuntamenti della stagione lirica del Donizetti. «Comincia tutto con il nostro direttore artistico, Francesco Micheli: prima sceglie le opere per il cartellone della stagione, poi chiama a raccolta tutto il team creativo. I costumisti presentano il progetto artistico di conseguenza, creano i figurini, che sono i bozzetti con i costumi dei personaggi che andranno in scena. Entriamo poi in gioco noi, che produciamo gli abiti necessari o ci attiviamo per il noleggio presso altre sartorie teatrali, per poi rimaneggiarli e metterli a misura oppure vediamo nei nostri magazzini cosa c’è». Negli anni, infatti, il Donizetti ha raccolto un ampio repertorio di costumi: calzature, gonne, corseti, pantaloni, ogni tipo di accessorio contemporaneo o di epoche diverse: dalla giubba del Medioevo, alla camicia del Rinascimento, tutto è una fedele riproduzione storica.

Prima di andare in scena con i costumi però ci sono le prove. Una prima, con l’abito non del tutto finito per valutare nel complesso se va bene, poi si torna in laboratorio a ultimare il lavoro sartoriale. Dopodiché Cinzia Mascheroni, insieme a Micheli, ai costumisti e agli altri dello staff si siede in platea, nel teatro chiuso, per assistere alle prove generali. «In quel caso il costume si trova al primo vero test ufficiale – spiega – Potrebbe essere confermato o totalmente rivisto, si deve valutare se è troppo lungo, corto o ci sono altri problemi: un conto è guardarlo indossato in un salottino prova, un altro è vederlo in scena con le luci. Solo lì si ha l’idea della resa: può saltare fuori ogni difetto e che si tratti di abiti, cappelli, occhiali o borse, tutto quello che veste l’attore deve essere perfetto».

Anche e soprattutto se gli abiti sono insoliti, oppure di carta. Perché Cinzia Mascheroni e il suo staff si è trovata anche a fare questo: «confezionare oltre 300 costumi di carta, che poi sarebbero stati stracciati in scena. Una sfida per noi della sartoria e un’idea geniale che un vulcanico come Francesco Micheli ha avuto per lo spettacolo “L’ange de Nisida”» , un’opera ritrovata di Gaetano Donizetti, rappresentata in delicatissimi abiti, che hanno richiesto un lavoro di mesi. «Abbiamo valutato tantissimi tipi di carta, tra mille difficoltà, cominciando a primavera per andare in scena a novembre. Abbiamo occupato l’intero Palazzo Suardi e riempito di tavoli ovunque per tagliare questi enormi fogli, da cui sono nati costumi che il pubblico credeva fossero in stoffa. Ricordo ancora l’”Oooh” stupito di quando sono finiti in pezzi davanti agli occhi degli spettatori».

Questo è solo una delle sfide lo staff della sartoria si è trovato ad affrontare in questi anni in cui il Festival Donizetti è cresciuto tantissimo. «Riusciamo sempre a fare tutto alla fine, ma non siamo mai abbastanza – spiega Cinzia Mascheroni – Siamo circa dieci, quindici persone che collaborano, più gli stagisti dell’istituto Caniana e del liceo artistico, che ci aiutano e allo stesso tempo scoprono i segreti della magia del teatro: si lavora in squadra, dove non arrivo io, arrivi tu, a volte si tenta l’impossibile, tra tempi, materiali e soluzioni, la tensione sale e la pressione pure». Poi arriva sempre il momento in cui si fa buio in sala. Lo spettacolo comincia. La sarta resta col fiato sospeso e con lei tutto lo staff. Infine, arrivano gli applausi. È andata. E quel momento in cui il pubblico restituisce l’entusiasmo ripaga di tutto. Sipario. «Ogni sera la magia si ripete e ogni volta penso a quanto adoro il mio lavoro».

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