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Come sta il teatro a Bergamo #2: Enzo Mologni di Albanoarte

Intervista. Nome storico del teatro ad Albano Sant’Alessandro, quest’anno l’associazione cura la direzione artistica di SalvaMenti ad Osio Sopra. Con una delle anime di questa bella realtà parliamo di come impostare una rassegna in provincia, delle conseguenze della cultura gratuita e del rapporto con le grandi rassegne della città

Lettura 4 min.
(Albanoarte)

Seconda puntata dell’inchiesta sullo stato di salute del teatro a Bergamo. Ad ogni appuntamento parleremo con un addetto ai lavori, per puntare l’obiettivo sui punti di forza e i limiti del settore sul nostro territorio.

A questo giro incontriamo Enzo Mologni, 41 anni, scenografo e docente di scenografia, da dodici anni presidente dell’associazione Albanoarte e per dodici edizioni (su ventisei totali) direttore artistico di Albanoarte Teatro Festival ad Albano Sant’Alessandro. Quest’anno ha curato, sempre come Albanoarte, anche le scelte artistiche di SalvaMenti – Ricerche teatrali d’esistenze ad Osio Sopra e nel 2018 il Festival Terre del Vescovado.

Il festival Albanoarte si può descrivere come una piccola isola felice della provincia: proposte interessanti, nomi famosi, soprattutto capacità lungimirante che ha permesso di assistere a titoli e interpreti diventati poi di successo. E il pubblico non mancava. Nel teatro dell’oratorio sono arrivati personaggi noti al pubblico televisivo come Raul Cremona e Ale e Franz, ma anche Mario Perrotta, Marta Cuscunà e Carrozzeria Orfeo.
Ho rimodulato la formula del festival e ho portato spettacoli da fuori, un po’ più impegnati per alzare sempre asticella. Ogni anno cercavo di capire cosa il pubblico di Albano e della provincia di Bergamo avrebbe apprezzato per creare una proposta caleidoscopica di spettacoli di alta qualità”, spiega Mologni.
Spettatori dai 35 anni ai 60 anni, provenienti da tutta la provincia e anche dal Nord Italia, come Verona, Pavia, Crema, Torino.

MV: Per Albanoarte, come sceglievi i titoli?

EM: C’erano alcune domande a cui uno spettacolo doveva rispondere. La prima: dal punto di vista tecnico, può stare nel nostro teatro? Poi le riflessioni riguardavano testo, linguaggio e cachet . Inoltre, quando ero in platea ad assistere a possibili titoli in altri teatri cercavo di percepire il pubblico, la sua risposta, per intuire se potesse andar bene per i nostri spettatori. Il pubblico cittadino è diverso da quello provinciale. E infatti, la provincia è considerata il campo di sperimentazione di tutte le compagnie teatrali.

MV: Ci sono spettacoli che sei orgoglioso di aver portato ad Albano?

EM: Davvero tanti. Ad esempio, quelli di Cristicchi, Perrotta, Musso, Questa, Cuscunà, Carrozzeria Orfeo e i tre internazionali. Due furono spettacoli francesi visti al festival di Avignone: “Micro” di Pierre Rigal, che fu anche il più costoso, pieno di energia con musica e danza, divenne un evento per un piccolo teatro di provincia; “Albertine Sarrazin” della compagnia Dare D’Art di Nimes, tradotto in italiano da una delle nostre attrici Grazia Vecchi, che poi fu preso dal Festival DanzaEstate e proposto al Teatro Sociale in Città Alta. Il terzo: “Teatro Delusio” della compagnia Familie Flöz.

MV: Quale è la strategia per fare crescere un festival simile?

EM: Ci sono strategie di gusto, ma anche marketing e poi azzardo come successe con lo spettacolo “Gomorra”. Tutto perché il festival potesse progredire e crescere nel contesto accentratore di Bergamo. La ricerca fu quella di riuscire a creare una piccola realtà a latere che fosse comunque d’ispirazione popolare, nel senso di storie che possano parlare alla gente, lasciando pensieri o sorrisi.

MV: Come si sosteneva la rassegna?

EM: Con il contributo fondamentale del Comune che nel tempo non è mai mancato ed è sempre aumentato. Poi Isacco Milesi, fondatore di Albanoarte, ebbe l’idea di far sostenere il festival dagli sponsor locali. Se Isacco chiedeva contributi a negozianti, io iniziai a domandare ad imprenditori, anche con l’aiuto della politica locale. Così è stato possibile chiamare ad esempio Cristicchi, Ale e Franz e “Micro”: gli imprenditori rimanevano affascinati dall’idea.

MV: Punti di forza e di debolezza per una rassegna piccola come Albanoarte?

EM: Di forza che gli attori si sono sempre sentiti trattati come amici e ospiti, si sentivano a casa. Aspetto che è sempre stato apprezzato e che li portava a loro volta a donarsi con generosità parlando con il pubblico a fine spettacolo. Per noi dell’associazione, poi, assistere a titoli di professionisti e magari andare a mangiare una pizza con loro era una gratificazione. Debolezza era la grande fatica per guadagnare spazio e farsi conoscere, anche a livello di stampa.

MV: Come sta il teatro a Bergamo e provincia?

EM: La gente ha molta possibilità di scelta. Ad esempio, l’offerta estiva è vastissima. Riflettendo in generale, però, una volta c’era una proposta molto più variegata, sperimentale, di peso. C’erano anche più soldi. Con il tempo, ci si è un po’ adagiati al mercato. Ora, un po’ anche per il fatto che organizzare un festival è sempre più difficile burocraticamente, si cerca di trovare spettacoli che possano dare meno problemi a livello organizzativo. C’è una grande città con il Donizetti, il Sociale, il Creberg e c’è una provincia che poco alla volta sta morendo, anche perché semplicemente i teatri non sono comunali, almeno non dalle nostre parti. Ad esempio in Emilia Romagna ci sono invece teatri comunali ovunque. Quindi come è successo anche a noi abbiamo dovuto chiudere perché c’era la fatica di trovare un altro spazio dopo che quello storico legato alla parrocchia del paese era venuto meno.

MV: Vi siete però spostati a Osio Sopra…

EM: Sì, per la direzione artistica di “SalvaMenti”: una rassegna con una sua specificità, legata al territorio e con tematiche sociali, che c’è stata affidata per cercare di valorizzare un teatro parrocchiale molto bello. Anche in questo caso, come per Albanoarte e Terre del Vescovado, l’ingresso è a pagamento con biglietti popolari. Un punto delicato, la gratuità.

MV: Cioè?

EM: La cultura non può essere gratuita, non in una nazione come quella italiana che non dà niente. Per cui, se io venissi pagato dallo Stato per dare cultura sarei felicissimo e proporrei cultura gratuita a tutti. Ma non è possibile perché nessuno mi dà niente per sopravvivere e perciò coloro che decidono di proporre spettacoli gratuitamente sono una sorta di pianeta a sé. La gratuità della cultura è un punto dolente e scatena tutta una serie di effetti collaterali. Basterebbero semplicemente due euro simbolici, un obolo che tolga dalla testa che la cultura è gratis. Così viene responsabilizzato di più il pubblico, rendendolo consapevole di avere contribuito affinché quel titolo fosse sul palco.

MV: Cosa ti piace del teatro nella Bergamasca?

EM: Ogni direzione artistica ha una sua logica intellettuale nello scegliere gli spettacoli, tutti hanno una loro specificità e tecnica. Insomma a occuparsi di teatro a Bergamo non ci sono persone sprovvedute, c’è oculatezza. Tuttavia il problema è sempre l’aspetto economico: come se avessimo dei piloti di Ferrari, ma stessimo guidando una Cinquecento.

MV: Tu in quanto direttore artistico come vivi il rapporto con il teatro in città?

EM: È una convivenza sapendo che nasce da due modi differenti di intendere la rassegna: la stagione teatrale di Bergamo ha una sua importanza storica e quindi ha l’obbligo di portare in città grande nomi, produzioni, regie. Ha anche un grande budget. Poi c’è una parte più sperimentale che però va a pescare su nomi consolidati e raramente prende realtà che suscitano una critica troppo forte. L’associazione Albanoarte non teme il confronto perché semplicemente non ci può essere.

MV: In che senso?

EM: Il budget è notevolmente inferiore, eppure abbiamo saputo dare anche suggerimenti alla città con spettacoli che sono andati nella rassegna maggiore di Bergamo e questo è molto bello. Forse la provincia ha sempre avuto questo aspetto: di non avere il peso di dover fare qualcosa di grande, d’istituzionale. Se ben piantata, la provincia non teme la città, ma la provincia sta diventando il dormitorio della città. E Bergamo è già il dormitorio di Milano. La cultura non ha spazi, la politica non investe perché ha pochi soldi e se deve tagliare lo fa nella cultura perché fa meno rumore. Eppure la cultura dovrebbe avere luoghi perché è parte integrante della vita delle persone.

Sito Albanoarte

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