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La memoria “battente”: a FDE, la danza antropologica di Aina Alegre

Intervista. Lo studio del gesto ritmico della performer catalana incontra l’esperienza personale dell’amico e ballerino Yannick Hugron per un racconto in movimento. L’appuntamento con «Fandango et autres cadences» è per il 28 giugno alle ore 19 presso il Chiostro del Carmine in Città Alta, per Festival Danza Estate. A seguire «Don’t be frightened turning the page» di Alessandro Sciarroni

Lettura 4 min.
Aina Alegre e Yannick Hugron (foto Nathalie Sternalski)

Aina Alegre e Yannick Hugron insieme per una performance dedicata alla tradizione popolare, in un viaggio che scava nelle origini delle danze basche. Dopo una formazione multidisciplinare in danza, teatro e musica a Barcellona, Aina Alegre si unisce nel 2007 al CNDC – Centre national de danse contemporaine di Angers (Francia). Al centro del suo lavoro c’è il gesto e la creazione coreografica è il terreno di cui si serve per “reimmaginare” il corpo. La fantascienza, l’esplorazione di culture e pratiche corporee diverse alimentano la sua ricerca, in cui affronta temi come il concetto di ibridazione, la plasticità del movimento, lo stato di “presenza” e l’esperienza del tempo. Il suo lavoro è stato presentato in tutta Europa e in America latina.

Insieme ad Aine c’è Yannick Hugron, ballerino formatosi al Centre Chorégraphique National di Montpellier e al Conservatoire National Supérieur di Lione. È entrato a far parte del CCN – Centre chorégraphique national di Grenoble di Jean-Claude Gallotta nel 1998 fino al 2016, interpretando quasi tutto repertorio del coreografo in Francia e all’estero. Allo stesso tempo, ha partecipato a molti progetti a livello internazionale. Nel 2005 ha co-fondato in Giappone il gruppo di progetto «Kayaku», un collettivo di artisti di diversa estrazione.

«Fandango et autres cadences» (biglietti acquistabili qui) è l’incontro tra l’indagine sul gesto del martellare di Aina Alegre e il mondo delle danze popolari basche che l’amico danzatore Yannick Hugron ha praticato per diversi anni. La ricerca coreografica si sviluppa a partire da una prospettiva antropologica, scavando nella storia di un rito collettivo che caratterizza un aspetto culturale specifico dei Paesi Baschi. I racconti di Yannick, emersi da una sorta di viaggio nella memoria del proprio corpo, diventano strumenti di composizione per Aina, rievocando nella coreografia il vissuto, i gesti e i movimenti di questo cerimoniale. Come in una specie di autoipnosi, Alegre chiede a Hugron di tuffarsi nel suo passato, nella sua memoria fisica, per elaborare una storia con lacune, vuoti temporali che gli consentano di attivare l’immaginazione. I ricordi compongono così una mappa di storie e immagini incarnata nei corpi dei due performer, come un dialogo ancora vivo e presente. Ne abbiamo parlato con l’interprete e coreografa Aina Alegre.

CD: Che origini ha il progetto, anche a livello sonoro?

AA: Inizialmente è nato come una commissione da parte del festival di Avignone. Quando mi chiamarono per propormi uno spazio per una performance stavo lavorando a ciò che io chiamo «studies», ovvero progetti di ricerca con la peculiarità di trattare la danza a livello antropologico. Riguardo alle sonorità: tutto il mio lavoro, da quando iniziai molti anni fa, ha un legame molto forte con il tema della percussione, del battere, del martellare; con gesti ripetitivi e ritmici, capaci di generare una forma di energia che può essere anche debordante.

CD: Come si coniugano danza e antropologia per te?

AA: Il mio lavoro non è accademico, non ho un metodo da antropologa, ma mi muovo sull’idea di scavare all’interno di un movimento. Seguendo il tracciato del gesto del percuotere, accumulo storie, memorie e archivi personali con una valenza culturale, che sono il motore di un potenziale coreografico. Credo che i gesti abbiano memoria e quello del battere per me ha un’origine arcaica, è la prima forma di comunicazione, di musica, di lavoro con la terra.

CD: Come si è sviluppato la parte di ricerca per questo spettacolo?

AA: Nel 2018 iniziai a lavorare a un’idea di indagine tra gruppi di persone che hanno a che fare con il tema del percuotere, non strettamente dal punto di vista artistico. Che si trattasse di operai agricoli e industriali o di gruppi di danza popolare e urbana, iniziai a collegare le conversazioni tra soggetti che avevano una storia da raccontare attorno al tema del ritmo. È interessante come, anche chi non si occupa di danza nella vita e non è un ballerino, possa parlare del suo corpo, del modo in cui lo usa e come si relaziona al gesto cadenzato del colpire.

CD: Non sei sola sul palco, qual è la peculiarità del tuo compagno?

AA: Sapevo che Yannick Hugron, interprete di questa piéce e ballerino di danza contemporanea, in infanzia aveva studiato le danze tradizionali basche. Le Euskal Dantzak (nome in Euskara, ndr) si caratterizzano proprio per il ritmo e la forza, in special modo nei piedi. Partendo da ciò decisi di proporre a Yannick questo progetto, ispirandomi alla sua memoria di quando era bambino. L’idea non era di fare di «Fandango et autres cadences» uno spettacolo sulle danze popolari basche, ma un lavoro sull’idea di come, attraverso la memoria, sia possibile costruire una sezione coreografica.

CD: Un percorso nell’intimo, che non coinvolge solo voi due.

AA: Sì, a partire dalle sue parole e dai suoi racconti, abbiamo iniziato a scrivere la nostra danza. Il lavoro di ricerca, come detto, è molto importante per me: ho passato del tempo con Yannick nei paesi baschi per incontrare altre persone che potessero raccontarmi la loro esperienza con le danze. Il materiale coreografico nasce da una polifonia di parole di diverse persone che comunicano attraverso il suono.

CD: Quali riflessioni hai raccolto addentrandoti nelle danze popolari?

AA: Al di là dello studio del gesto e dell’effetto acustico, le danze popolari aprono altre questioni per me importanti, come la trasmissione orale e la trasformazione inevitabile di una tradizione. Mi interessa chiedermi fino a dove può spingersi il processo di evoluzione. C’è inoltre una questione di genere su cui riflettere perché anticamente erano più che altro gli uomini a ballare, per una questione religiosa era vietato all’uomo prendere la mano alla donna in pubblico. Le donne potevano partecipare solo ad alcune danze basche.

CD: Come si traduce tutto questo in scena?

AA: In questo lavoro il mio obiettivo era che il pubblico – seppur non cogliendo tutto – potesse ascoltare l’archivio, le registrazioni che io ho fatto con le persone durante le interviste. In questo modo il montaggio sonoro diventa suono e parola ritmica. Era fondamentale per me che i presenti potessero vederci muovere, ma allo stesso tempo ascoltare alcune delle parole di questo archivio. Dichiarare il processo artistico di creazione è un modo per permettere a chi ti ascolta di restare connesso alla narrazione.

Al termine della serata seguirà «D_talk», una chiacchierata con gli artisti a cura di Lorenzo Conti.

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